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Macron: Un’Europa in salsa bearnaise

La Francia si è sempre dimostrata con una politica estera bivalente tra europeismo e interessi nazionali, schierandosi con la Ue e l’Onu nel appoggiare il capo del Consiglio del governo di unità nazionale libico, Fayez al-Serraj, ma simpatizzando con l’uomo forte di Tobruk, il generale Khalifa Haftar, tanto da garantirsi nella futura Libia un posto di riguardo.

Una posizione quella francese che ha certamente facilitato l’incontro tra le due parti alle porte di Parigi, nel castello di La Celle Saint Cloud, che non ha portato alla firma di un accordo sul cessate il fuoco e ad elezioni in primavera, ma solo a una dichiarazione d’intenti che non ha fatto limitato i toni trionfalistici, anche se Le Monde metteva in evidenza la mancanza di garanzie sul risultato Emmanuel Macron parraine un accord en Libye, sans garantie de résultat e l’irritazione di Roma per l’iniziativa non concordata.

Poche ore e i toni trionfalistici sull’accordo sponsorizzato dalla Francia sulla non belligeranza libica si trasformano in delusione ed ecco il generale Haftar non fa in tempo a ritornare in Libia che da del “fanfarone” ad al-Serraj, bollando come un Flop l’incontro parigino voluto da Emmanuel Macron per la Libia.

Forse si poteva essere prevedere un esito negativo, dopo il fallimento del primo tentativo, nel maggio scorso, ad Abu Dhabi.

Il caso ha voluto che la tradizionale politica francese si frantumasse davanti alla marcia trionfante di Macron, ma come la salsa bearnaise è nata dall’erroneo trattamento di uno degli ingredienti e con un nome riferito la soprannome di Enrico IV il Bearnaise, da Béarn della regione la nascita del sovrano conosciuto per la facilità di abiurare per interesse.

Un Macron che improvvisamente si trova a guidare la Francia che sogna di mettere al centro di ogni situazione geopolitica, i suoi predecessori si erano limitati a curare gli interessi francesi nelle ex colonie, lui vuol fare della grandeur La Grandeur, apprestandosi, dopo 10/15 anni di una Europa dal volto teutonico, a modulare la Ue con caratteri gallici, scoprendo un sovranismo europeista che si dilata nell’affaire Fincantieri-Stx, dove il patriottismo economico è un argine nel controllo italiano sul cantiere navale di Saint Nazaire, sulla foce della Loira, ma anche un’occasione di trattare per una parità in cambio di una cooperazione militare, oltre che civile.

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Migrazione: Non bastano le pacche sulle spalle

Per anni l’Europa non ha mostrato interesse alla questione migratoria che coinvolgeva le “frontiere” del Mediterraneo, poi sono cominciati i rimproveri per il poco impegno italiano nello schedare e nel non riuscire a tenere quei fuggitivi in Italia, nel rispetto della convenzione di Dublino, ma solo da poco si è inaugurata l’era delle pacche sulle spalle, dei ringraziamenti per il lavoro svolto.

Ora però sarebbe opportuno andare oltre la semplice rassicurazione del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker nell’affermare che l’Italia può “continuare a contare sulla solidarietà europea” sul fronte della crisi dei migranti.

Un piccolo passo è stato compiuto da Macron, europeista e sovranista, con la sua critica ai paesi dell’est che hanno confuso l’Unione europea come un emporio dove fare la spesa senza pagare la merce acquistata, mostrando cinismo nel trattare la questione dei rifugiati.

Il presidente francese pone comunque dei distinguo tra i profughi dalle violenze e quelli della carestie, come se morire di fame e sete non fosse una violenza pari a quella di trovarsi vittime di conflitti, solo per ribadire, come aveva fatto Hollande, che la Francia si attiene al nuovo trigono del motto della Rivoluzione francese in “Liberté, Égalité, Telibecchitè”, trovando la Fraternité obsoleta, chiudendo da tempo le frontiere.

Con il vertice di Parigi tra Italia, Francia e Germania, il ministro degli interni italiano ha posto la questione di un codice per le Ong impegnate nel Mediterraneo, oltre ad indirizzare le navi su altri porti per lo sbarco dei migranti ed a maggiori pressioni sui paesi europei non impegnati nella ricollocazione.

Un vertice quello parigino che si è posto come preparatorio a quello del G20 a Amburgo, ma soprattutto all’incontro informale dei ministri dell’Interno dell’Unione a Tallinn per superare le minacce italiane di chiudere i porti italiani alle navi straniere, con una revisione del Trattato di Dublino.

Mentre l’Italia minaccia la chiusura dei porti, Francia e Spagna, insieme ad altri paesi che non si affacciano sul Mediterraneo, sprangano i loro approdi e l’Austria mette in scena un spot elettorale, poi rientrato, con il voler schierare i blindati sulla frontiera del Brennero, come dimostrazione di tanta ammirazione e empatia per lo sforzo italiano.

Anche l’avvertimento del commissario alla Migrazione Dimitris Avramopoulos sul “Ricollocarli o ci saranno sanzioni” gridata contro l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca, pronto a proporre l’apertura di procedure d’infrazione, rimane solo una vaga minaccia.

A Berlino, al vertice preparatorio del G20, il primo ministro italiano Paolo Gentiloni ringrazia “i leader per la solidarietà e la comprensione per le difficoltà che dobbiamo affrontare in comune”, ma aggiunge anche che dopo tante espressioni di solidarietà è ora di passare ad un aiuto più concreto.

Il concreto aiuto che l’Italia si aspetta, viene specificato dal ministro degli interni Marco Minniti, in un maggiore coinvolgimento europeo nell’ospitalità dei profughi e nell’impegno di guardare all’Africa come soluzione e non come fonte del problema. Minniti all’incontro di Tallinn non ha commosso nessuno e vedere l’Africa come una risorsa rimane difficile con una Libia ufficialmente divisa in due governi e centinaia di tribù e milizie, oltre al fatto che la Cina si è radicata proprio negli stati africani da dove proviene gran parte della migrazione.

La Cina ha fatto dell’Africa, in questi ultimi decenni, un suo territorio d’oltre oceano, con gli enormi scambi di dare avere che difficilmente portano del benessere alle popolazioni native che continuano a migrare, anche per la cessione dei terreni più fertili alle compagnie cinesi, oltre ai conflitti per territori e ricchezze.

Tra pacche sulle spalle, tante parole d’incoraggiamento, ma soprattutto risatine di arroccamenti europei e porte chiuse, interviene Emma Bonino affermando che siamo stati noi a offrire i nostri porti, nell’ambito dell’operazione europea Triton, per gli sbarchi, ed ora è complicato disfare quell’accordo.

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Trump Il commesso viaggiatore tra i sauditi e gli israeliani

Gli Stati uniti, anche con questo presidente, proseguono nella politica di far fare il lavoro sporco a quei governi che “democraticamente” hanno le mani libere, ma se con Barack Obama si chiedeva di non utilizzare certe armi proibite sui civili, con Trump non ci sono pubbliche remore e si fornisce armamentario per 110 miliardi di dollari all’Arabia saudita, anche se sarà usato sulle popolazioni dell’Yemen.

Nel primo viaggio di Trump in Medio oriente lo si vuole far apparire come uno “statista” impegnato nella rappacificazione israelopalestinese. Nessun altro aveva mai osato tanta spavalderia, ma forse viaggiare tra l’Arabia e Israele potrebbe portare ad una ripresa dei colloqui di pace, se non per umanità, certamente per convenienza politica.

Nella valigetta di Trump non ci sono soluzioni ma una serie di contratti per vendere armamenti di ogni genere e dopo aver ottenuto buone commesse con i Paesi del golfo, è la volta di Israele che non dovrebbe essere da meno, perché non basta chiamare gli stati arabi sunniti alla guerra al terrorismo e fare muro contro l’Iran sciita.

Nella sua valigetta ha anche delle proposte commerciali saudite per Israele, in cambio della sospensione di nuovi insediamenti nei territori occupati, tentando di coalizzare gli stati arabi sunniti e gli israeliani contro l’Iran sciita, oltre al terrorismo che fa male ad una parte degli affari.

Più che uno statista appare simile al disinibito “commesso viaggiatore” Alberto Sordi in Finché c’è guerra c’è speranza (1974), un commesso viaggiatore che fa l’unica cosa che gli riesce meglio: vendere.

Un commesso viaggiatore che a Riyadh trova a attenderlo non solo il re saudita Salman bin Abdulaz, ma anche il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi per dar vita ad una delle più inquietanti, quanto esilaranti, foto di gruppo dove i tre poggiano le mani su di una sfera luminescente, in una sorta di seduta spiritica o di delirante intesa per impossessarsi del mondo, mentre migliaia di volti si intravedono nell’oscurità, come testimoni di uno scellerato patto.

Trump vende armi agli arabi per poi sollecitare l’attenzione di Israele sulle sue offerte di fornire altri armamenti più potenti e minacciare, indirettamente, gli iraniani.

Nella campagna elettorale, Trump, propugnava una politica estera non certo propensa all’islam, ma con gli arabi così danarosi è un altro discorso, tanto è vero che progettava anche di strappare l’accordo sul nucleare con l’Iran, ma per ora si limita a monitorarne l’applicazione.

Gli affari sono affari e anche se nel vocabolario dei Paesi del golfo non è contemplato il termine democrazia, sono meglio dell’Iran dove, nonostante i numerosi filtri e ostacoli alle libertà fondamentali, si può andare a votare e scegliere, con moderazione, da chi essere governati.

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Francia: Due presidenti al prezzo di uno

La Grandeur francese trova nuovo significato con Emmanuel Macron, non solo nel aver usato più volte il termine “immenso”, nel suo discorso nella piazza del Louvre, ma nel dare alla première dame un compito che travalica la sola gestione “domestica” dell’Eliseo, per essere qualcosa di più di una consigliera per il 39mo presidente di Francia e dei territori d’oltre mare.

Usare il vocabolo “immenso” per definire il compito che spetta a lui, a sua moglie, e ai francesi nel moralizzare la vita pubblica, garantire la sicurezza e rilanciare l’economia, forse è poco politico ma un pò di poesia non guasta.

Un Presidente con un sogno, avendo i piedi ben piantati a Terra, per un patriottismo che si apre al Mondo, senza paura di dialogare, e non quello sventolato dalla Le Pen di chi si chiude in una cupa solitudine, asserragliandosi per paura e innalzando muri, chiamando l’isolazionismo: difesa del paese.

È possibile che gli operai e i contadini, dalla vita difficile, abbiano votato per Le Pen, mentre i 2/3 hanno preferito Macron, e aggiungendo un 35% di astenuti, si potrebbe dedurre che la Francia è in gran parte benestante, ma in realtà è talmente scontenta che più di un terzo degli aventi diritto al voto ha preferito delegare ed affidarsi all’ottimismo del più giovane dei presidenti.

Il risultato, per ora, è aver smembrato il partito socialista e rafforzato le compagini estreme, apprestandosi a mettere in seria difficoltà, affidando l’incarico al moderato conservatore Edouard Philippe di formare il governo, la destra repubblicana-gollista.

Se a destra la nomina di Edouard Philippe crea scompiglio, a sinistra le femministe la criticano per il suo romanzetto «Dans l’ombre», scritto insieme a Gilles Boyer (2011), per la sua impronta machista. Liberation la definisce la “buona frattura” (de bonne fracture), ma forse la posizione del quotidiano di sinistra pecca di piaggeria, visto che il neo premier ha scritto una serie di articoli sulla campagna presidenziale, definendo Emmanuel Macron un «banchiere tecnocrate» senza carisma.

Sono 22 i membri, tra ministre/i e sottosegretari/e (11 donne e 11

uomini) del governo Macron/Philippe, che spaziano dalla destra alla sinistra passando per il centro, coinvolgendo politici di professione ed esponenti della società civile

Questa volta i francesi non hanno uno, ma ben due presidenti, ma forse potrebbe costare il doppio il nuovo status della première dame nell’Eliseo.

Una Francia dove Macron ha preso le distanze da un’imperante russofilia, guardando alle larghe intese, impegnato a ravvivare l’intesa franco-tedesca, aperto europeista, proteso a rinvigorire l’Unione, ma si, però… il nodo gordiano che dovrà sciogliere sarà rendere l’Europa comprensibile e più vicina alle genti del vecchio continente, per cominciare a scalfire l’euroscetticismo che fa proseliti ormai anche a sinistra.

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Biblioteche: La carta in Rete

Eitoriale Digitare la conoscenza Libri

Il Ministro dei beni e delle attività culturali, Dario Franceschini ha scelto la conferenza “Cultura e turismo per la crescita del Paese”, presso l’Accademia dei Lincei, per dare l’annuncio che l’ICCU verrà dotato del servizio Digital Library, il quale coordinerà i programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale, elaborerà il piano nazionale di digitalizzazione e ne curerà l’attuazione, anche in collaborazione con altri enti pubblici o privati. Grandi pacche sulle spalle e congratulazioni a non finire per il provvedimento che il Ministro ha firmato a marzo per finanziare con due milioni di euro la nascita della Digital Library Italiana. Un lodevole proposito quello del Ministro, ma se l’iniziativa fosse stata battezzata Biblioteca Digitale, nessun motivo per sottolinearne la nazionalità.

L’Italia s’impegna dunque a valorizzare il patrimonio d’immagini conservato nei 101 Archivi di Stato, nelle 46 biblioteche statali e negli archivi fotografici delle soprintendenze. Ma piuttosto che varare Digital Library Italiana, non era più logico potenziare il Sistema bibliotecario nazionale (SBN) http://www.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/free.jsp, magari ampliandone i servizi? SBN non discrimina le biblioteche in base alla gestione (statale o enti locali, etc.), ma permette di offrire in qualsiasi luogo del mondo i propri servizi e acquisire informazioni su milioni di pubblicazioni conservate in strutture piccole e grandi.

Proprio quelle che meriterebbero più risorse. Infatti il Ministro afferma che quel patrimonio è “un bene ineguagliabile di enorme valore culturale che nell’era della rete ha anche un valore economico considerevole”, ma lascia finanziamenti irrisori ad Archivi e Biblioteche di Stato, strutture fisiche con materiale cartaceo e personale in carne e ossa. E proprio l’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane) http://www.iccu.sbn.it/opencms/opencms/it/ ha fatto notare al Ministro che si sta varando ennesimo pirotecnico progetto, un gran bel fuoco d’artificio che abbaglia, ma non prende in considerazione la realtà del patrimonio culturale italiano. Prima di digitalizzare è necessario conservare e per farlo bisogna avere dei luoghi idonei e del personale con le attrezzature adatte per tradurre il patrimonio cartaceo adattandolo alla consultazione in Rete.

Rete già piena di relitti: nulla si è più saputo del coinvolgimento e Argentina Buenos Aires letture sotto terra permite_descargar_mas_de_200_libroscontributo italiano nel World Digital Library www.wdl.org/en che nel giugno del 2011 era stato presentato dall’allora Ministro Galan. Un progetto gestito dalla Library of Congress of Washington https://www.loc.gov/, con il patrocinio dell’UNESCO, e in collaborazione con centinaia d’istituzioni nel mondo, indirizzato ad ampliare gli orizzonti del sapere, grazie ad una biblioteca digitale multilingue. Da non dimenticare poi l’esperienza di Internet Culturale http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/index.html.

Era il portale di Stato inaugurato nel 2005, che s’inseriva nel quadro del progetto “Biblioteca digitale italiana” risalente al 2001, con l’obiettivo di rendere disponibili i cataloghi e parte delle informazioni contenute nelle biblioteche pubbliche. Un portale web promosso dagli addetti ai lavori di allora (Salvatore Italia, Capo Dipartimento per i Beni Archivistici e Librari e Luciano Scala Direttore Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali) per il Servizio bibliotecario nazionale, tenendo invece ai margini Ministro di allora Rocco Buttiglione, peraltro più preparato di altri.

Ma torniamo alla World Digital Library (WDL). Essa mette gratuitamente a disposizione sul Web materiali che testimoniano le diverse culture del mondo. Manoscritti, lettere, carte geografiche, stampe, giornali, libri rari, documenti, filmati, registrazioni sonore, manifesti e illustrazioni sono messi a disposizione da istituzioni di tutto il mondo, mentre la Digital Library italiana vuol essere originale e far pagare il sapere.

Sembra dunque che in Italia, più che in altri Paesi, i portali Web hanno la capacità di moltiplicarsi sulle stesse tematiche per poi rimanere sospesi nel nulla. Un modo come un altro per far apparire il politico di turno estremamente efficiente nello spendere e spandere, mentre i fondi speciali nelle biblioteche degli enti locali sono lasciati alla rara sensibilità di amministratori senza soldi o alla ottusità di personaggi pavidi e poco interessati alla valorizzazione il patrimonio librario come bene comune da condividere.

Gianleonardo Latini – Marco Pasquali
(Librarians and Digital publications)

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Digitare la conoscenza

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