Il 18 maggio si annuncia l’apertura dei musei e di spazi espositivi, oltre alle biblioteche, gli operatori culturali del settore privato arriveranno impreparati all’appuntamento per non aver adeguato gli spazi alla sicurezza dal contagio, ma sarà l’occasione di ripensare alle proposte espositive.
Una pandemia che porterà ad una più accorta programmazione e ad una prenotazione obbligatoria che eviterà le estenuanti file per visitare mostre con budget pubblicitario rilevante ma da contenuti superficiali.
La quarantena ha modificato le nostre abitudini, invogliando all’utilizzo delle visite virtuali di collezioni museali reali o ricostruite, in “documentario” o interattive, ma comunque limitate alla conoscenza che possono o vogliono dare l’accesso.
Le mostre “visitabili” via internet potranno essere la normalità come quella dedicata a Raffaello.1520-1483, una “passeggiata” nello spazio espositivo per superare le ristrettezze sociali imposte dalla situazione pandemica.
Il PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano, aumenta l’offerta dei contenuti da vedere su tablet e smartphone, tra performance e incontri divulgativi.
Attraverso gli incontri di Family Lab Digitali, per famiglie e classi, si può sperimentare laboratori a distanza, aprendo il dibattito sul lavoro di artisti come: di Alexander Calder e Ugo Mulas, di Yayoi Kusama e Daniel Buren e di Eva Marisaldi e Armando Testa.
Alcuni artisti, come Cesare Viel (Il Giardino di mio padre. Gli oggetti sotterrati) e Anna Maria Maiolino (Al di là di), hanno reso disponibili online le registrazioni delle performance che hanno realizzato al PAC. Grazie alla disponibilità di molti di loro, saranno pubblicate sul canale YouTube.
Un modo per avere un punto di vista avulso dall’emotività dell’azione per godere del lavoro dell’artista e apprezzarne la professionalità o scoprirne la debolezza.
Le città, con il Coronavirus, hanno
svelato una nuova dimensione difficilmente paragonabile a quella vissuta negli
anni ’70 con la crisi energetica o le lontane permanenze ferragostane di una
metropoli deserta.
Non si tratta di un vigoroso
ridimensionamento del traffico stradale o di una presenza pedonale limitata
all’essenziale, ma di corpi trasformati in immagini; quello che conoscevamo ha
acquisito una nuova presenza, nel tempo che Freud definiva del perturbante, il
familiare che si trasforma in estraneo e l’assente che diventa quotidiano.
Cittadini che riscoprono la pazienza e
l’educazione di affrontare le file per l’acquisto di alimentari e farmaci, per
accedere ai servizi postali e bancari, per una riparazione informatica o
nell’acquistare materiale da bricolage e sistemare ciò che l’abitazione
attendeva da tempo.
Un periodo sospeso nel tempo da
utilizzare per le riparazioni casalinghe da tempo rimandate o un libro che
attendeva di essere letto, scoprire la cultura su internet visitando musei o
ascoltare musica, guardare film e documentari, sfogliare o gustarsi un romanzo
letto con patos.
La società si comprime sui singoli
individui, per celebrazioni comunitarie di balconi plaudenti, canterini, in una
lontananza che avvicina le persone nell’affrontare un diverso stile di vita che
abbatte il consumismo dello spreco, abbracciare l’oculatezza dell’acquisto,
dopo un primo momento di panico esternato in acquisti compulsivi da carta
igienica e scatolame vario.
File educate di persone con una bassa
conoscenza della geometria che sceglie alla linea retta quella a zig-zag o
quella sinuosa della serpentina, ponendo i pedoni interessati ad andare oltre
lo scendere dal marciapiede o affrontare calcoli algebrici per non entrare in
collisione negli spazi altrui.
La speranza è che al termine di questa
vicissitudine le persone possano aver acquisito l’educazione necessaria per
convivere con le altre persone.
Il rumore delle città ritornerà a
coprire il cinguettio e in quel momento è augurabile che persone, al termine
della pandemica reclusione, possano aver fatto tesoro dell’esperienza, per un
oculato stile di vita e di rapporto con gli altri.
Il Coronavirus come un corso di
rieducazione per il rispetto del prossimo, senza dare in escandescenze,
nell’uso dei mezzi di trasporto privati per brevi distanze. Le ipotesi di come
sarà il dopo comprende anche scenari di una diseguaglianza accentuata e di un
accentuato conflitto sociale.
La Brexit chiude le porte alla
manodopera non qualificata degli europei per aprire alla migrazione all’interno
del Commonwealth, magari per rifondare l’impero e vivere sulla finanza del riciclaggio
dei patrimoni arabi, russi e cinesi.
La Gran Bretagna si sta avviando a
scoprire se il suo malessere è dovuto all’Europa o alla tristezza di voler dare
la colpa agli altri.
C’è da domandarsi se con la fuga
britannica è opportuno lasciare l’inglese una delle lingue ufficiali della UE.
Ma soprattutto quale sarà lo status dei funzionari britannici che lavorano a
Bruxelles e a Strasburgo su progetti europei?
L’anacronismo dell’isolazionismo,
diminuirà le visite degli europei in Gran Bretagna, ma i britannici stanno
imboccando la strada dell’invisibilità nel contesto culturale, per godersi in
solitudine i fish and chips.
Con la Brexit è stato aperto il vaso di
Pandora degli attriti e delle rivendicazioni: dalla restituzione dei marmi del
Partenone ai greci alla sovranità di Gibilterra, dalle controversie
anglofrancesi sulla pesca alla volontà di quel 53% di britannici che hanno
sperperato il loro sentimento europeista su vari partiti.
Per la Gran Bretagna, i prossimi anni,
sarà l’occasione per scoprire se il malessere britannico sia dovuto ad una
contiguità all’Europa o alla tristezza di voler dare la colpa agli altri. Per
l’Unione europea sarà un’opportunità, come lucidamente spiega Enrico Letta in
una lettera a Repubblica (4 febbraio), di superare i veti britannici e
trasformarli in opportunità di crescita, fissando tre punti e una modifica
lessicale.
Sicuramente è l’armonizzazione fiscale,
il primo punto elencato da Letta, al superamento del sistema ibrido partorito
dal veto britannico, offrendo l’occasione di scardinare alcuni paradisi fiscali
all’interno della Ue, che ha creato una disparità di trattamento tra cittadini
europei con la medesima moneta.
Alcuni paesi praticano facilitazioni
fiscali a società che intendono investire, rendendo floride alcune economie a
discapito di altre, mentre altri praticano la “vendita” di passaporti europei,
previo esborso dalle 250mila ai 2milioni di euro. Una pratica mascherata da
investimenti, che apre le porte della Ue non solo a facoltosi russi, cinesi,
arabi etc., ma anche a infiltrazioni criminali ed a terroristi.
Scompaiono muri e confini, filo spinato
e polizia armata per chi ha a disposizione portafogli colmi di euro per
entrare, anche con cattive intenzioni, in Europa.
Non esiste una migrazione uguale
all’altra, come il sistema tributario o il sistema sociale o come anche
l’istruzione, un altro veto britannico, che la Ue è riuscita ad aggirare con il
progetto Erasmus e che Enrico Letta propone di aprirlo ai sedicenni, per essere
integrato nel corso di studi obbligatori a tutte le scuole europee. Un Erasmus
ampliato per facilitare non solo l’applicazione del principio comunitario della
“mobilità dei cittadini”, stimolando non solo la conoscenza delle
lingue, ma anche delle culture e dei differenti modelli di vita a carico del
bilancio europeo.
Il terzo ed ultimo veto preso in
considerazione è quello sullo stato sociale che rende l’Europa difforme nel
trattamento salariale, non solo una concorrenza sleale tra paese e paese nel
produrre a basso costo, ma anche uno sfruttamento della manodopera senza le
garanzie sindacali e con un welfare minimo unificato.
Il tema del salario minimo e del welfare
dovrebbe comprendere anche l’unificazione del trattamento pensionistico e
quello dei parlamentari.
Enrico Letta, con la sua lettera, prende
anche in considerazione una modifica lessicale, ponendo il problema di
percezione del cittadino rispetto al termine “Commissario” a quello
di “Ministro”, identificando il primo come prepotente, mentre il
secondo scelto come amministratore, scardinando la retorica sovranista e
anti-europea “di una Ue che, dall’alto, è prevaricatrice dei diritti e dei
comportamenti dei cittadini che stanno in basso”. Una scelta linguistica non di
poco conto.
La riflessione di Enrico Letta va ad
arricchire il piano di Ursula von der Leyen su una Green Deal europea per una
indipendenza non solo energetica, ma anche sulla produzione di qualsiasi
manufatto, per superare la dipendenza della delocalizzazione senza incorrere al
rallentamento economico come avviene durante i conflitti o per le epidemie, con
il blocco dei trasporti e dell’eterei benefici della globalizzazione.
Un’importante passo verso una coscienza
europea condivisa può rappresentare la formazione di una Forza armata europea,
per superare i bollori sovranisti.
La Brexit non è solo un’occasione per
ripensare all’Europa, è una riflessione sulla fragilità del sistema economico,
con l’interdipendenza della globalizzazione, messo in evidenza dal Covid-19 che
confini e muri non riescono ad argina questa vigorosa influenza.
Timidi tentativi di raffigurare una
realtà più aderente a una America a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento si
hanno con pittori come Cari Wimar, intenti a scoprire l’altra America, quella
degli indiani, delle praterie e della grandi foreste, pur rimanendo legati ai virtuosismi
della vecchia Europa. In questo contesto fatto di una tradizione ricostruita e di
una realtà non interamente rappresentata nasce, nel 1882, Edward Hopper.
Divenuto un trentenne illustratore newyorkese e occasionale pittore
“estivo”, Hopper visita l’Europa tre volte, tra il 1906 e il 1910.
Durante questi viaggi conosce Cézanne e si scontra con una realtà artistica
vitale, luminosa; non più ferma alla maestria settecentesca, ma ricca della
lezione impressionista, fauvista, simbolista e surrealista. Affascinato dai
colori e dalla luce, decide di dedicarsi a tempo pieno alla pittura, realizza i
suoi primi “appunti” di viaggio pittorici.
Dall’esperienza europea ritornerà in
patria con una pittura lontana dalla “pana” folla e ricca di
attenzione per l’architettura, pronto per avviare il discorso di un
“realismo americano”.
Contemporaneo di Norman Rockwell e di
Sen Shahn, Hopper si colloca tra loro, tra la tradizione illustrativa americana
e un certo tipo di Espressionismo europeo, realizzando una pittura che trae
ispirazione dalla quotidianità paesaggi, oggetti e persone immerse nella luce,
anche nell’ambientazioni notturna, atmosfere velate del surrealismo alla
Magritte, irreali quanto un set cinematografico.
Tra il 1915 e il 1923 Hopper si dedica
quasi esclusivamente all’acquaforte e alla puntasecca, un lavoro che gli
permetterà di approfondire una visione architettonica nella costruzione dello
spazio pittorico, sostituendo le macchie di colore con le grandi stesure
cromatiche.
La modernità di Edward Hopper nel
narrare le atmosfere urbane, i paesaggi costieri di Cape Cod, i granai del
Massachusetts e gli immensi orizzonti del Sud, è nell’osservare la vita
americana, tra gli anni Venti e i primi anni Sessanta, e raccontarla con
apparente oggettività e freddezza. Da cronista cala i personaggi in un inquietante
silenzio.
Con Hopper nasce il moderno mito
americano del viaggio, con i suoi motel, i distributori di benzina, la
ferrovia. la poetica dell’incomunicabilità e della solitudine rappresentata da Hopper
offre dei personaggi colti in un attimo non ben definito del tempo e
dell’azione, in un momento di riflessione o, forse, di ripensamento, fotogrammi
di un’epoca malata di malinconia.
Un’America tragica e generosa alla
Faulkner.
I personaggi assorti nella lettura o nelle fantasie del “sogno americano” , mentre sullo sfondo, oltre il finestrino del treno o dell’albergo, scorre il paesaggio. Una pittura americana autonoma che darà impulso all’Action Panting di Jackosn Pollock, all’lperrealismo e alla Pop Art, influenzando pittori come Eric Fischl.
È
l’inizio di un nuovo anno che offre l’occasione alle varie testate
giornalistiche di esercitarsi in pronostici e asserzioni su grandi e piccoli
temi, tra personali propositi e auspici collettivi.
Dal
settimanale francese Le Monde Diplomatique, con l’editoriale di Serge Halimi De Santiago à Paris, les peuples dans la ruehttps://www.monde-diplomatique.fr/2020/01/HALIMI/61216,
ci si sofferma sulle prospettive delle varie forme di dissenso contro i
differenti governi che, dal Medioriente al Sudamerica, avvolgono il Pianeta.
Manifestazioni che il 2019 lascia in eredità, senza alcuna soluzione, al 2020,
di manifestanti per strada per opporsi coraggiosamente alle egoistiche visioni
dell’ esercizio del potere, come il nascente movimento delle Sardine che sta
varcando i confini italici per promuovere una quotidianità senza partigianerie
ideologiche ed esclusioni.
Mentre
Daniel Franklin (The Economist) si addentra in un ampio sguardo su The World in 2020https://worldin.economist.com/edition/2020/article/17308/world-2020,
passando dalla politica alla società, dall’economia gli anniversari come quelli
di Raffaello (500 anni dalla morte), 400 da quando Mayflower salpò per
l’America, 300 dal fallimento speculativo della Compagnia dei Mari del Sud, ma
sarà anche l’Anno per la sostenibilità, con il progetto del Presidente della
Commissione Europea Ursula von der Leyen, dell’incontro sulla biodiversità di
Kunming (Cina) nell’ambito della Conference of the Parties to the Convention on
Biological Diversity (COP15) sul tema “Civiltà ecologica – Costruire un
futuro comune per tutta la vita sulla Terra”, la Cop26 di Glasgow (9 -19
novembre 2020) e il coinvolgimento dei giovani con la “Youth Cop” e soprattutto
sarà Greta Thunberg, con Global Strike Futurehttps://www.fridaysforfuture.org, ad essere ancora uno
stimolo ai governi sul Climate Change.
I
propositi del 2020 di Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, sono più
personali, ma che potrebbero avere delle ripercussioni sulle buone azioni
altrui, come l’astenersi dall’acquistare l’acqua minerale in bottiglie di
plastica o “Essere gentile, essere professionale, ma avere sempre un piano per
uccidere chiunque incontro. Fare pace con Roma. Imparare a fare i selfie.”
Poi
ci sono le personali speranze per un 2020 capace di disperdere ogni ombra
accumulata dal 2019, ostacolando le strumentalizzazioni di ogni protesta e
perché i popoli trovino appagate le loro rivendicazioni.
In
un 2020 capace ad insinuare un barlume di umanità in tutti gli estremisti che
non accettano altre culture, incapaci di dialogare con gli altri, imbarbariti
dalle loro chiusure, che trovano “infedeli” in ogni angolo di strada e
innalzano muri ovunque.
Un’unica
barriera può essere ammessa su questa Terra ed è quella per fronteggiare
razzismi di colore e culturali.
Un
Anno che doni la raucedine ammutolendo gli strilloni di ogni tipologia, un poco
di lentezza agli invasati della frenesia e della velocità, alzare finalmente lo
sguardo sul Mondo al popolo che vive con gli occhi incollati sugli schermi di smartphone
e tablet, espropriare ogni avere a ogni persona convinta di possedere anima e
corpo degli altri esseri viventi, un inciampo a chi corre per aggredire
un’altra persona, un atterraggio sulla schiena a chi è abituato a guardare il
proprio ombelico e non ha mai osservato il cielo, la rugiada agli aridi di
cuore, la poesia agli avidi, l’amore agli egoisti.
Ma
soprattutto nel 2020 spargere coraggio sul capo dei timorosi nel difendere i
più deboli, nell’accogliere gli altri, nel riconoscere e rispondere a chi
chiede un aiuto.
Magazine di Spunti & Riflessioni sugli accadimenti culturali e sociali per confrontarsi e crescere con gli Altri con delle rubriche dedicate a: Roma che vivi e desideri – Oltre Roma che va verso il Mediterranea e Oltre l’Occidente, nel Mondo LatinoAmericano e informando sui Percorsi Italiani – Altri di Noi – Multimedialità tra Fotografia e Video, Mostre & Musei, Musica e Cinema, Danza e Teatro Scaffale – Bei Gesti