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Roma: Tor di Valle, lo Stadio, l’Urbanista e il Mibac

Roma Tor di Valle stadioViviamo in un’epoca di ingenui, per lo più falsi, e di cinici, in gran parte reali, dove la deontologia in ogni campo sembra essere un optional.

Il precario giornalista del quotidiano torinese forse non ha riflettuto delle conseguenze o è stato lo strumento in mani altrui per interessi, oltre a fare un pessimo servizio all’informazione, mettendo alla berlina la “fonte”.

Sono ben lontani i tempi dove il giornalista difendeva la fonte, sino a rischiare il carcere, ma nei fatti romani di rilevante c’è la considerazione che solamente conferma  ciò che molti sospettavano da tempo: “Raggi impreparata, circondata da una banda”. Il resto è pettegolezzo, un sentito dire che non ha nulla di rilevante per il recupero e la crescita di Roma.

Tra una Sindaca Serena e una Giunta Incredula c’è una Cittadinanza Ingenua davanti ad una Situazione Bollente, ma tutto si riduce alla questione dello Stadio a Tor di Valle.

Ogni Sindaco deve confrontarsi con la cementificazione e con la lobby dei palazzinari e la nostra Sindaca è davanti alla possibilità di dover sconfessare la promessa fatta come candidata al Campidoglio del M5S : «Se divento sindaco, ritirerò la delibera per l’impianto di Tor di Valle» o di limitarsi a puntare i piedi su di una riduzione della colata di cemento, ma prima sarà necessario prevedere un radicale intervento alla viabilità, perché la via del Mare è troppo stretta per far circolare convogli di camion e betoniere per intervenire sull’area dell’ex ippodromo.

È da escludere che la Sindaca voglia approvare il mega progetto come vuole la società sportiva, ora che si è indebolita la posizione dell’Assessore-Urbanista e, prima di essere cacciato, sbatte la porta e se ne va’.

Google Maps

È angusta l’area scelta per lo stadio giallorosso, con un complesso residenziale composto anche da tre grattacieli, a Tor di Valle, stretto tra una via del Mare e il Tevere, inserendosi nel delicato equilibrio ambientale della zona, e del resto i problemi delle periferie non si risolvono con una cementificazione sulle rive del Tevere.

I vari organi d’informazione, in questa kermesse di stadio si o stadio no, sembra non dare spazio al pensiero ambientalista. Un silenzio tombale dove un lieve sibilo proviene da un comunicato diffuso da Italia Nostra e ripreso dal sito Forza Roma, dove si ricorda alla Sindaca il programma elettorale per il quale è stata eletta.

studio-daniel-libeskind-towers-rome-tor-di-valle-designboom-051Ma su tutto c’è la spada di Damocle che Margherita Eichberg, responsabile della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma, aveva cominciato ad agitare già nel novembre del 2016 sulla testa dello Stadio, per non aver preso in considerazione dell’impatto ambientale del complesso la Soprintendenza «ha individuato come criticità della proposta la presenza di edifici di notevole altezza oltre che di opere infrastrutturali che vanno ad interferire con i beni monumentali e paesaggistici».

Il Mibac, per voce della Soprintendente arch. Margherita Eichberg, rincara la dose con «l’avvio di dichiarazione di interesse particolarmente importante» dell’impianto di Tor di Valle, in quanto rappresenta «un esempio rilevante di architettura contemporanea» per le «soluzione tecnico-ingegneristica e di applicazione tecnica industriale in fase di realizzazione» progettato dall’architetto spagnolo Julio Garcia Lafuente (scomparso l’11 giugno 2013).

Ma è soprattutto i costi delle infrastrutture a spese dell’Amministrazione capitolina che l’ex assessore Berdini aveva messo in evidenza, durante l’audizione alla Commissione regionale Urbanistica, da non non permettere di far ritenere lo Stadio d’interesse pubblico e non è solo la necessità di realizzare un sistema d’idrovore «che il Comune dovrà gestire dall’apertura dello stadio fino all’eternità», con una spesa di 9,6 milioni di euro, per lo smaltimento delle acque piovane, un ponte, duplicato di quello dei Congressi (Eur-Magliana) già in progetto dal 2001 (seconda Giunta Rutelli) e ora nuovamente in discussione, con svincoli per collegare la zona con la Roma-Fiumicino.

Un intervento che potrebbe facilitare la viabilità, ma che Roma, con i suoi 13,5 miliardi di deficit, non può sopportare, soprattutto per un’area che ha ben altre necessità che non sia uno Stadio.

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I grattacieli davanti Greenwich

Recarsi in un luogo a distanza di una trentina di anni significa riscoprirlo, suscitando l’emozione che si potrebbe vivere nel passare da un’immagine in bianco e nero ad una versione a colori. In entrambi i casi qualcosa si perde e qualcos’altro si acquista.

La Londra di tre decadi or sono era certamente grigia, uscendo dai soliti percorsi turistici, oppressa da un velario di polvere, dove le case a schiera del proletariato urbano erano in attesa di un restyling strutturale e sociale, zone dickensiane immutate, distante dalla Swinging London di quegli anni eppure inseparabili dal cambiamento che era in pieno fermento.

Oggi è un continuo recuperare zone abbandonate o dimesse, una riqualificazione urbana e culturale che l’offerta gratuita di musei e la diversa esperienza di pubblica lettura hanno reso la capitale britannica una metropoli vicina ad una visione umana che spinge all’esterno degli itinerari turistici i senza fissa dimora.

Le “oscillazioni” della vita londinese degli anni ‘70 si sono trasformate in “attraversamenti” culturali. Alcune periferie rimangono lontane dal concetto di vivibilità, ma l’appuntamento con il secondo millennio è stato ben fruttato dalle amministrazioni.

Le varie realizzazioni con il prefisso “millennium” hanno marcato il panorama londinese, come il ponte di Norman Foster che collega la riva del Tamigi della cattedrale di St Paul con quello della Tate Modern o la deludente sala espositiva del Millennium Dome, sino alla spettacolare ruota panoramica.

Foster ha ridisegnato il profilo di Londra anche con il St Mary Axe, soprannominato “Il Cetriolino”, con una cuspide verticalità premiata nel 2004 per il suo design, nonostante l’estrema goffaggine della forma, stimola più di una perplessità vederlo dal ponte, spuntare oltre il complesso fortificato della Torre di Londra. Mentre sull’altra riva del Tamigi, a destra del ponte, sono ben visibili una serie di edifici che tagliano il panorama, come City Hall London City Hall o National Film Theatre. Il primo è un esempio estremo di architettura ideologica dell’onnipresente Norman Foster che riprende le curve del “cetriolino” per offrire una versione translucida di una grossa zucca per la sede alla Greater London Authority (ente amministrativo della Grande Londra), oltre che residenza del Sindaco della città, un tripudio di vetrate protese verso il fiume, mentre il secondo è la glorificazione della fortezza come tipologia architettonica. Mentre nelle vicinanze del Millennium Bridge, a Victoria Street, non passa inosservato il “cubo” di vetro della nuova sede della Salvation Army (Esercito della Salvezza), realizzato nel 2004 dallo studio Sheppard Robson. Una Londra pervasa da un’architettura autoctona, poco propensa ad aprirsi all’esperienza degli architetti europei, e tanto meno all’esperienza di quelli di altri continenti.

Attraversare Londra in lungo e in largo significa giungere anche nell’East End, nell’area conosciuta come Docklands e teatro delle imprese di Jack lo Squartatore. Un’ampia zona recuperata al degrado negli anni ottanta, con l’istituzione della London Docklands Development Corporation (LDDC).

Una “penisola” a ferro di cavallo, erroneamente definita Isle of Dogs (isola dei cani), disegnata dal Tamigi, di fronte a Greenwich, il cui nome, probabilmente, lo deve al ricovero per i cani da caccia di Enrico VIII o alla storpiatura dell’originale “Isle of the Docks” (Isola dei bacini).

L’ex area portuale dell’Isle of Dogs, ormai conosciuta come Canary Wharf, era nell’800 anche una zona ad alta densità popolare, ora zona residenziale, con la linea ferroviaria che si insinua tra e sotto gli edifici – la Docklands Light Railway (DLR) e l’estensione della Jubilee Line con la monumentale stazione di Norman Foster – dalle eclettiche architetture.

Una sorte di parco tematico della finanza, con la presenza della Credit Suisse, HSBC, Citigroup, JPMorgan che subentra nella vecchia sede della Lehman Brothers, Morgan Stanley, Bank of America e Barclays, un ampio catalogo di chi ha soppiantato l’economia produttiva, quella reale, con quella virtuale, oltre a grandi firme dell’informazione, tra cui The Telegraph, The Independent, Reuters, e il Daily Mirror, conquistando l’appellativo di piccola Manhattan, con abitazioni e uffici di prestigio. In questo dinamico quartiere sorgono i tre edifici più alti del Regno Unito, come il Canary Wharf Tower (244 m di altezza) con la caratteristica copertura a piramide, ma si vivono anche le contraddizioni di una grande metropoli. Spazi sottratti alla destinazione abitativa, favorendo l’incremento degli uffici di prestigio, costose abitazioni che schiacciano le vecchie case popolari sopravvissute al risanamento e alla speculazione di una delle zone che erano ritenute tra le più depresse della Gran Bretagna.

Un’area opulenta che convive con il disagio dell’emarginazione di immigrati e minoranze etniche delle zone limitrofe, rivaleggiando con il tradizionale distretto finanziario londinese della City, ma anche una meta per lo shopping, grazie anche all’apertura del centro commerciale Jubilee Place, che prima di inserirsi nella graduatoria delle zone ambite di Londra, ha dovuto superare i momenti difficili del collasso del mercato immobiliare e i ritardi sull’ampliamento della rete dei trasporti, soprattutto della Jubilee Line e del servizio di traghetto fluviale.

Un’area con sculture antropomorfe e scalinate che scivolano verso le immobili acque dei canali sui quali si specchiano i caffè e le architetture neo rinascimentale che si incrocia con un neo barocco per omaggiare un razionalismo aulico, su tutto echeggia il silenzio delle composizioni di Ralph Vaughan Williams e di William Walton. Banchine dove fanno bella presenza barche d’altri tempi e barconi utilizzati come abitazione, ormeggiati ai moli che erano funzionanti sino al 1961 e servivano le zone industriali nella parte orientale della città.

Canary Wharf salì alla ribalta delle cronache il 10 febbraio 1996, quando l’IRA fece esplodere una bomba nella South Quay DLR station, oltre l’omonima soap opera che ebbe breve durata, trasmessa da L!VE TV, una televisione britannica via cavo, che usava come set gli spazi in loco di proprietà dell’emittente.

Ai margini dell’area, a un chilometro e mezzo da Canary Wharf, nelle vicinanze della stazione East India della linea DLR, è possibile vedere il Trinità Bouy Wharf, l’unico faro di Londra costruito da Michael Faraday nel 1863.

Docklands, con Canary Wharf, troverà la sua compiutezza con i lavori che coinvolgono Londra per le Olimpiadi del 2012. Un cambiamento che non si limiterà ad adeguare la cartellonistica stradale o a convertire le miglia in km, ma potenziando la rete dei trasporti su rotaia, con ulteriori miglioramenti della Metropolitana di Londra Est, riqualificando la Docklands Light Railway, oltre alla nuova linea “Javelin Olimpico”.

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