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Artiste tra Italia e Grecia

L’iniziativa espositiva è un progetto articolato in due mostre distinte che dialogano sul concetto di Mediterraneo non solo come luogo fisico, bacino tra terre ed eterna culla di civiltà ma anche come spazio mentale, come metafora e come spazio virtuale di un futuro che oggi più che mai si pone come incerto e denso di problematiche molteplici e stringenti.

Il piano terra della galleria ospita “The Lost and Found Goddesses”, mostra curata da Paolo Cortese e Rosanna Ruscio e presentata a Malta lo scorso novembre nell’ambito della 4° edizione della APS Mdina Cathedral Contemporary Art Biennale. Questa rassegna raccoglie il lavoro di 10 artiste storiche italiane, la maggior parte già attive dagli anni ’70, anni in cui il fenomeno della globalizzazione era ancora una ipotesi fantascietifica.
I lavori esposti spaziano dalla Fiber art, al libro oggetto, alla poesia visiva, agli interventi sul territorio e offrono punti di vista originali sul tema del Mediterraneo. Partendo da una indagine sul passato e analizzando il presente che proietta la sua ombra sul futuro, queste opere inducono riflessioni e forniscono un’importante chiave di lettura di quello che negli ultimi cinquant’anni ha significato questo tema e dell’influenza che ha avuto su generazioni di artiste.

“On the Sea of my Tttttongue” è invece il titolo della mostra allestita al primo piano. Qui la curatrice ateniese Caterina Stamou ha invitato 10 giovani artiste greche che si impegnano in un rapporto diverso e reciproco con il mare, visualizzando così nuovi gesti affettivi, materiali e culturali.
Il valore aggiunto del progetto, nel quale Gramma_Epsilon per la prima volta espone giovani artiste greche, risiede nella possibilità di percepire differenze ed elementi di contatto, suggestioni e criticità che questo “ristretto spazio” ci suggerisce.

“Congiungere” e “fare da ponte” rappresenta uno dei punti cardine alla base della mission della galleria, e queste due mostre che mettono in relazione artiste italiane e greche ne sono il frutto.


Mediterranean Disturbances
Dall’8 febbraio al 9 marzo 2024

Gramma Epsilon Gallery
Atene (Grecia)

Orario:
martedì a sabato
11-19

“The Lost and Found Goddesses” a cura di Paolo Cortese e Rosanna Ruscio
Artiste: Mirella Bentivoglio, Francesca Cataldi, Chiara Diamantini, Anna Esposito, Elisabetta Gut, Gisella Meo, Patrizia Molinari, Greta Schödl, Maria Jole Serreli, Franca Sonnino

“On the Sea of my Tttttongue” a cura di Caterina Stamou
Artiste: Mairy Antonopoulou, Maria Ikonomopoulou, Marianna Karava, Athina Koumparouli, Elina Niarchou, Astra Papachristodoulou, Irene Ragusini, Elektra Stampoulou, Eirini Tiniakou, Myrto Vratsanou

Il progetto è stato realizzato con il patrocinio dell’istituto italiano di Cultura di Atene e l’Archivio Lettera_E di Roma.


Migrazione: Il balzello pagato dall’Occidente

L’Europa continua a distribuire soldi per bloccare la migrazione, rincorrendo i cambiamenti dei flussi, affidandosi a stati o a gruppi che non hanno mai dato dimostrazione di operare nell’ambito dei Diritti umani.

Si è trattato per arginare gli spostamenti dai paesi dell’est, dal Medioriente e dal nord Africa, lasciando il lavoro sporco agli altri, limitandosi ad elargire contributi, mostrandosi sempre con le mani pulite, ma non è così. L’Europa cerca di creare una rete di sentinelle esterne e interne ai confini europei.

Una Unione europea che foraggia alcuni stati perché “ospitino” migliaia di persone, fa finta di ignorare l’edificazione di muri e il Parlamento europeo si lava la coscienza promovendo il Premio Sacharov  per la libertà di pensiero, affermando di sostenere i diritti umani.

Delega ad altri drammi e scontri sociali per non sapere come si tiene lontani dall’Europa i popoli che fuggono da conflitti e carestie, ma poi accade che uno dei tanti Adan muore a 13 anni nelle civilissime contrade europee per il rispetto delle burocrazie e qualcuno si indegna perché è venuto a conoscenza che è accaduto davanti alla propria porta e non gli avevano nascosto il fattaccio.

La Ue ha una fievole voce nell’ambito dei Diritti umani, fa delle dichiarazioni di rito, magari minaccia, ma non riesce ad andare ai fatti. L’Unione che esiste quando fa i richiami e le reprimende, apre procedure d’inflazione ai singoli stati o infligge multe sui rifiuti o sull’anti-trust delle grandi compagnie, non riesce poi ad aggregare l’attenzione per partecipare agli oneri di una politica migratoria condivisa e non lasciata come zavorra ad alcuni paesi, salvo quando è il commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks che invia una missiva direttamente al ministro degli interni Minniti per avere dei chiarimenti sull’accordo con Libia, sul tipo di sostegno operativo e se i diritti degli migranti sono rispettati.

La questione dei migranti economici è un ispido punto che ha trovato l’ostilità di Macron non più lontano di un paio di mesi fà, ma Junker conosce i numeri e prevede che l’Europa avrà bisogno anche di nuovi lavoratori, una necessità per un continente europeo che sta invecchiando, prospettando l’apertura di canali legali, ma perché proporre dei «progetti pilota, quando i corridoi umanitari sono ben collaudati dal dicembre del 2015, dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche e dalla Tavola Valdese che hanno sottoscritto un protocollo con Viminale e Farnesina, corridoi attivati in Libano, Marocco e Etiopia, a spese delle stesse associazioni, grazie alle risorse provenienti dall’8 per mille, con controlli scrupolosi e la rilevazione delle impronte digitali?

I corridoi umanitari pensati per la Ue sono differenti, non sono a fine umanitario, prevedono di agevolare l’ingresso in Europa dei migranti qualificati e il rilascio della Carta blu, contrastando il pensiero di Macron del luglio passato, basato sulla diversificazione dei diritti, ostacolando la migrazione di chi è in cerca di lavoro, ribadendo la necessità di istituire “una polizia europea delle frontiere”.

Più che una polizia europea abbiamo, con le ultime elezioni politiche in Austria e nella Repubblica Ceca, un cordone xenofobo che dalla Polonia scende giù nei Balcani per bloccare la nuova via di migrazione che dalla Turchia porta alla Romania, più che alla Bulgaria presidiata da milizie anti profughi, dove la migrazione è attiva con battelli per attraversare il Mar Nero.

È un’illusione pensare di bloccare le migrazioni, tuttalpiù si possono momentaneamente arginare, ma poi trovano altre vie ed ecco timidamente si riapre il flusso dal Marocco alla Spagna, ma anche dalla Tunisia e molti sono i migranti salvati dai pescatori tunisini e altri, molti altri, come purtroppo la sessantina di corpi, tra giugno e agosto 2017, sono arrivati senza vita sulle coste tunisine di Zarzis.

L’Occidente paga per spostare sempre più lontano dai sui confini i centri per “ospitare” i tanti profughi, invece di creare e gestire in prima persona la migrazione, le strutture di accoglienza e di assimilazione.

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Qualcosa di più:

Migrazione: Un monopolio libico
Migrazione: non bastano le pacche sulle spalle
Migrazione: umanità sofferente tra due fuochi
Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Migrazione: L’Europa e i suoi flussi condivisi

La cancelliera tedesca Angela Merkel, anche in occasione del mini vertice parigino sui flussi migratori condivisi, si pone come nume tutelare e apri pista a nuovi equilibri per una regolamentazione dell’accoglienza, come il “momentaneo” blocco dei ricongiungimenti in Germania, ed ecco che oltre a lodare l’operato italiano in Libia e per il codice di comportamento dedicato alle Ong, toglie ogni veto al superamento del trattato di Dublino, per non vincolare il profugo alla spiaggia d’arrivo e rendere partecipi tutti i paesi dell’Unione.

Nell’incontro di Parigi, oltre alla Francia e alla Germania, hanno partecipato i rappresenti di Italia e Spagna, oltre a quelli del Ciad, Niger e il premier libico al Serraji, ma non l’uomo forte dell’atra Libia generale Khalifa Haftar, per rafforzare i confini, e per dare un senso di ufficialità anche  all’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini.

Un vertice per venire incontro non solo allo sforzo sostenuto dall’Italia, ma anche a quello sopportato dalla Grecia, stato che nessuno però ha ritenuto d’invitare, con la differenza che l’impegno italiano si addentra nelle zone grigie, intrattenendo rapporti con le varie milizie presenti in Libia.

Una situazione complessa quella nella quale l’Italia si è calata, superando ogni amletico dubbio, come viene posto all’odierna Mostra del Cinema di Venezia 2017 nel film L’ordine delle cose di Andrea Segre, tra etica e ragion di stato. Funzionari dello Stato italiano vigilano da tempo sulle interazioni tribali di una Libia post Gheddafi e ora osserva da vicino una Ue che nega se stessa e ogni diritto a quell’umanità “ospitata” nei discussi centri di raccolta.

L’Italia va oltre ai problemi esistenziali di un funzionario di polizia catapultato in Libia, toccando con mano la disperazione di un’umanità che non è formata, come sostengono in molti, da delinquenti. Donne e bambini non possono essere dei farabutti e molti uomini fuggono non solo dalla carestia, ma anche dalle persecuzioni religiose o tribali.

Venezia è anche dove l’artista cinese Ai Weiwei ha presentato il documentario Human flow, dedicato alla migrazione come un epico inarrestabile flusso umano. Un biblico mosaico di vite impegnate, visto il contesto nel quale si muovono, in una transumanza.

Nel film di Segre è espresso un travaglio esistenziale, con Ai Weiwei si ha un documentario stile National Geographic, dove tutta la tragicità della vita e i momenti gioiosi vengono proposti con gusto estetico.

Sulla migrazione vengono proposte visioni di spostamenti collettivi, ma esiste un esodo “privilegiato”, senza dover intraprendere perigliosi viaggi, fatto di un biglietto aereo o navale per chi è in possesso di documenti

Quello che potrebbe essere imbarazzante per la Ue che ha istituito il Premio Sacharov, ed è tacitamente permesso ai singoli stati dell’Unione, è come aprire agli accordi con il turco Erdogan o ipotizzarne altri con l’egiziano al-Sisi, ed ora ci si appresta a trattare con i governanti del Ciad e del Niger, dove la democrazia non è un consuetudine, e dove la Francia pensa di rafforzare la presenza militare con la scusante degli hotspot.

L’Unione europea si dimostra sempre più composta da singoli Stati più che da un corpo unico necessario per concertare un’unica posizione verso una Turchia che periodicamente è tentata a rendere permeabile, come fece Gheddafi, il suo confine verso l’Europa, per alzare la posta sugli aiuti.

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Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza

Migrazione Orban sfida la Ue per una nuova accoglienza Viktor-OrbanL’Ungheria di Orban ci riprova, con il suo senso nazionalistico, a scoraggiare i migranti nel passare per quelle contrade. Dopo il Muro e la proposta di relegare clandestini su un’isola del nord Africa, da dove potranno fare domanda d’asilo, è ora la volta di fare un ulteriore passo in avanti per irritare l’Unione europea nella proposta di accogliere i migranti in strutture carcerarie, con la motivazione di prendere le dovute precauzioni contro l’imperante minaccia terrorista.

Questa particolare scelta di Orban, diversamente dalle precedenti iniziative, può avere degli aspetti relativamente umanitari, nell’accogliere persone che hanno affrontato pericoli ed esposti alle intemperie di un inverno che non ha scoraggiato la fuga dalle zone di conflitto, raggruppandole in strutture carcerarie dove non gli si negherà cibo e assistenza sanitaria, invece di lasciarli senza un tetto, in balia delle intemperie.

Ma Orban non si vuol limitare a reinterpretare personalmente il significato di assistere il prossimo in difficoltà: vuole avere il completo controllo, mettendo al bando ogni persona impegnata nel rispetto dei Diritti umani e le organizzazioni come Hungarian civil liberties union, Transparency international e Hungarian Helsinki commitee, legate al finanziere d’origine ungherese e di genitori ebrei George Soros, accusandolo di essere al servizio dei poteri forti e di tramare contro il governo.

Mentre in Francia, tra le montagne della valle della Roia, Cédric Herrou è un uomo dedito all’allevamento e all’agricoltura e interpreta alla lettera l’insegnamento, non solo cristiano, di dare ospitalità allo straniero, offrendo non solo un giaciglio e un pasto ai migranti di passaggio, ma aiuta i migranti a passare il confine senza dover sottoporsi alla dura burocrazia delle nazioni.

Fermare i profughi è impossibile: la via balcanica non è stata mai chiusa e la via mediterranea non ha cessato di essere utilizzata.

Nonostante i pericoli che comporta una migrazione affidata ai trafficanti di esseri, l’umanità che fugge non rinuncia alla possibilità di trovare un luogo lontano da conflitti e carestie, senza dover aspettare di essere scelti per i Corridoi umanitari.

Un mezzo quello dei Corridoi umanitari ben collaudato dalla comunità di Sant’Egidio, con la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese. Un progetto, finanziato con l’8 per mille e protocollo d’intesa firmato con il Viminale e la Farnesina, che ha portato in Italia un numero di rifugiati non lontano da quello che l’intera Unione europea è riuscita sinora a ricollocare, con tanta parsimonia, nei singoli paesi.

I vertici dell’Unione europea non si lasciano scappare occasione per stigmatizzare la necessità di non lasciare la questione dei migranti solo sulle spalle dei paesi in prima linea (Grecia, Italia, un po’ Malta e Spagna in minima parte), ma non riesce ad essere altrettanto convincenti a far rispettare la ridistribuzione migratoria come quando minacciano sanzioni ai paesi inadempiente verso le percentuali deficitarie.

Una nuova iniziativa dell’Unione europea intende schierare le navi a ridosso delle coste per dissuadere i trafficanti della migrazione a mettere le bagnarole in mare. Per questo progetto la Ue stanzia 100milioni di euro per il governo libico riconosciuto dall’Onu.

Trattare con uno dei governi che attualmente legiferano in Libia non appare una buona mossa, tanto più se accompagnata da un’elargizione di milioni di euro in stile accordo euro-turco.

La Ue ha mostrato tutta la debolezza nell’affidare alla Turchia il ruolo Migrazione Orban sfida la Ue per una nuova accoglienza muro_54131882di sentinella dei confini europei, senza permettere al Commissario europeo per le migrazioni, il greco Dimitris Avramopoulos, e al lettone Nils Muižnieks, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, di vigilare sul rispetto dei Diritti nei luoghi di “filtro” migratorio.

È oltre modo utopistico poter scuotere le coscienze dei benestanti in pelliccia e cravattino sulle pene di un’umanità in migrazione con Fuocoammare, il lavoro pluripremiato di Gianfranco Rosi e ora candidato all’Oscar come miglior documentario, come ottimistico è affidare ad operazioni navali come Mare Nostrum e Triton o all’agenzia Frontex la sicurezza e la gestione dei confini europei.

Non ultimo è l’impegno di nel ministro degli Interni Marco Minniti nel non lasciare in mano della destra lo scettro della mano pensante verso la migrazione, organizzandosi per  aprire un centro Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione) in ogni regione, per una specie di internamento del frutto dei “rastrellamenti” attuati nelle città per scovare chi viene trovato privo di documenti, senza utilizzare un carcere, adeguandoci all’idea di accoglienza modello Orban.
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Da Treviso ad Atene: riconnettere i fili di un’opposizione politica e sociale in Italia e in Europa

Accennerò appena agli assalti ai rifugiati di Quinto di Treviso e di Casale San Nicola. Essi sono degli episodi (non i primi e probabilmente non gli ultimi) che meritano di essere considerati non solo per le conseguenze materiali prodotte (in primis su quei poveri uomini «trattati come cani, picchiati e insultati» ), ma soprattutto per quel che rappresentano nella attuale narrazione della politica italiana (ed europea). Attraverso il Jobs Act e la “Buona Scuola” il governo Renzi ha completato l’obiettivo perseguito da Mario Monti con la riforma Fornero e la legge sul pareggio di bilancio in Costituzione, ovvero quello di “distruggere la domanda interna”, come lo stesso Monti aveva dichiarato nella sua intervista alla CNN del 2013 . Durante la crisi, le istituzioni e i poteri dello Stato italiano hanno definitivamente dismesso quelle poche lacere vesti di enti “super partes” del conflitto sociale e si sono completamente trasformati in strumenti “privati”, immediati e arbitrari della classe sociale dominante che ha gestito la crisi e dei novelli “despoti” (ieri Berlusconi, oggi Renzi, domani Salvini?); sulle ceneri dello Stato liberale novecentesco si erge la contemporanea democrazia totalitaria, basata su governi “carismatici” e modelli politici leaderistici in cui, va riconosciuto, buona parte della società si riconosce. Una classe politica corrotta e dequalificata, aveva già denunciato Michele Ciliberto qualche anno fa , gestisce un nuovo autoritarismo di massa imperniato sull’esercizio del consenso, attraverso gli immaginari diffusi e conculcati dai media mainstream. Come hanno invece recentemente ricordato Judith Revel e Sandro Mezzadra durante il Festival Internazionale dei Beni Comuni a Chieri, la linea di demarcazione fra “pubblico” e “privato” è diventata impercettibile, a scapito della solidarietà e del concetto di “comune”. In questo contesto che ho sommariamente ricostruito, i partiti del populismo xenofobo e nazionalista (Lega Nord, Fratelli d’Italia, in parte Movimento 5 Stelle, coi loro addentellati come Casa Pound e Forza Nuova) si sono abituati a muoversi perfettamente su un terreno in cui le politiche autoritarie della “terza repubblica” e la crescita dell’individualismo e dell’egoismo sociale stanno creando (sicuramente con importanti, ma rare eccezioni) seri problemi di isolamento sociale alle idee e alle forze che si basano sull’azione collettiva, sul conflitto sociale, sulla solidarietà di classe. Nelle vuote navate di una cattedrale costituzionale ormai svuotata (basti pensare alle attualissime riforme istituzionali), si ingrossa e si moltiplica quindi la voce dei razzisti e dei “fascisti del terzo millennio”. L’aumento costante delle pressioni sociali accelerato anche dalle contraddizioni aperte dal processo di unificazione europea (il cui vero volto di operazione di strozzinaggio internazionale i fatti di Grecia hanno oggi mostrato), danno oggi rinnovato spazio a queste forze, che solo pochi anni fa erano ridotte a relazionarsi con i vari governi, come coloro che, magistralmente rappresentati da Ken Kalfus nel suo romanzo “Il compagno Astapov”, aspettavano la morte di Tolstoj per riuscire ad accaparrarsi qualche briciola del suo testamento.
Gli episodi di Treviso e di Roma Nord, come altri che l’avevano preceduto (assalto al centro rifugiati di Tor Sapienza a Roma nel novembre 2014; caccia all’uomo a Corcolle, sempre Roma, nel settembre 2014), sono sì il prodotto dello sfaldamento sociale e identitario (in termini di appartenenza di classe) del mondo del lavoro autoctono, nel quale però le bande neofasciste e xenofobe spadroneggiano, grazie alle “larghe intese” delle forze filo-austerità e all’inanità delle residue e sempre più assottigliate forze della cosiddetta “sinistra radicale”, e col sostegno ponziopilatesco dei dirigenti del M5S, come testimonia l’intervista a Di Battista del 18 luglio .
Non nutro alcuna fiducia, tanto per sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, in eventuali provvedimenti del Governo, che anzi ha dimostrato, in epoca recente, dall’aggressione agli attivisti del Centro Sociale Dordoni di Cremona alle medaglie d’oro assegnate “per errore” agli ufficiali repubblichini, la sua continuità coi governi precedenti in tema di rimozione della memoria della Resistenza e di sostanziale impunità del neofascismo.
Il mero antifascismo e antirazzismo, sebbene condizione necessaria, è però, per quanto scritto all’inizio, non sufficiente. Esso non ci mette al riparo dalle drammatiche conseguenze della macelleria sociale operata nei confronti di un mondo del lavoro ormai profondamente diverso e molto più sfaccettato e (attualmente) debole di quello novecentesco. Distruzione della domanda interna fa rima con austerità, alla quale dobbiamo saper rispondere con nuove rivendicazioni e con un nuovo modello di welfare riappropriandoci, come ha detto Toni Negri sempre nel festival di Chieri, del “comune” (inteso come sostantivo e non come aggettivo) che ci appartiene. Per fare ciò, però, dobbiamo avere chiaro che lottare contro il “nostro” Governo non sarà sufficiente e che oggi ci troviamo di fronte un soggetto – l’Unione Europea e le sue strutture, dall’Eurogruppo alla Commissione, dal Consiglio d’Europa alla BCE – che costituisce il sistema europeo dell’austerità. D’altronde, per tornare al tema iniziale, è lo stesso sistema che blinda i suoi confini e i suoi mari (dal Mediterraneo alle Alpi, dalla Manica ai Carpazi), col terrificante e vergognoso corollario di morti migranti, di pogrom razzisti, di populismo xenofobo che, come è sotto gli occhi di tutti, non riguarda solo l’Italia.
Lotta contro xenofobia, razzismo e neofascismo e lotta contro l’austerità sono quindi aspetti inscindibili, e la dimensione nazionale, sebbene immediata e inevitabile, rischia di essere depotenziante se non si inscrive nel contesto più ampio di un movimento di opposizione politica e sociale a livello europeo, se non anche mediterraneo. Di questo compito urgente non possiamo illuderci si facciano carico le continue riorganizzazioni dei settori della sinistra istituzionale eredi della tradizione del PCI (ex PD, SEL, PRC, ecc.), che, sebbene impegnati in un eterno rimescolamento delle (poche) carte che ormai hanno a disposizione non hanno alcuna intenzione di uscire dalla logica politica che vuole ricercare a tutti i costi una compatibilità fra i nuovi assetti imposti dall’austerità e dalla democrazia totalitaria e le prospettive di liberazione sociale per quel “nuovo proletariato” precario (autoctono, meticcio o immigrato che sia) che proprio dell’austerità è la prima vittima.
In ballo c’è molto e le prospettive sono francamente fosche al momento: la guerra civile in Ucraina, la destabilizzazione in tinta islamista dei Paesi del lato sud del Mediterraneo (Libia, Tunisia, Egitto), ed infine il terribile diktat imposto dall’Eurogruppo a guida germanica alla Grecia di un (alla fine) pavido Tsipras sono inquietanti avvisaglie di un processo politico in cui, nel nome della stabilità e della crescita finanziaria, si destabilizzano non solo società e popolazioni ritenute subalterne ed “inferiori”, ma si fomenta un nuovo nazionalismo che oggi assume i contorni delle contraddizioni franco-italiane a Ventimiglia o britannico-europee sull’immigrazione, oppure della follia ungherese del muro contro l’immigrazione serba, ma che, in un ipotetico quanto probabile peggioramento delle generali condizioni economiche e sociali nel continente europeo – dovute sempre a quella “distruzione della domanda interna” che sembra diventata la nuova religione del mercato – potrebbero non tardare a far deflagrare conflitti molto ben peggiori di quelle attuali.
Ecco, oggi in Italia ci si trova ad una svolta molto grave della nostra vita sociale, politica e culturale, senza avere gli strumenti necessari per capire cosa fare e come farlo. Gli avvenimenti ucraini, greci, nordafricani, ecc. sono rimasti conoscenza solo di pochi “addetti ai lavori” o militanti generosi, come testimonia la insufficiente partecipazione di massa alle manifestazioni o attività di sensibilizzazione che in questi mesi sono state organizzate.
Come ha giustamente scritto la redazione di Effimera qualche giorno fa, l’Europa è in guerra . Non solo una guerra economica “civile” dichiarata dalle élites finanziarie agli abitanti dell’UE, ma anche una guerra “di civiltà” dichiarata di fatto ai Paesi nordafricani e mediorientali, e una guerra di espansione dichiarata a Est contro la Russia attraverso la guerra civile in Ucraina. Una guerra che però si sta già ritorcendo contro la stessa fortezza Europa (come dimostrano i sanguinosi fatti di Parigi) e che potrebbe in breve, medio periodo deflagrare nel cuore stesso dell’UE, qualora la questione greca (come io credo) non dovesse risolversi per il “meglio”.
Conclusione? È sicuramente necessaria quella razionalità e quella profondità di comprensione degli avvenimenti che eviti di farci scivolare dentro una nazionalistica “opposizione anti-tedesca” (pur essendo la Germania la prima protagonista della macelleria sociale europea). Al tempo stesso è però necessario rimettere in moto intelligenza, passione e generosità per riconnettere i fili di un’opposizione politica e sociale all’austerity (e alle recrudescenze razziste e fasciste che ne sono uno dei prodotti) non solo sul piano nazionale, ma quanto meno europeo. Avendo, infine, presente che di fronte ci troviamo (e ci troveremo) un potere oligarchico continentale (e le sue propaggini nazionali) oramai divenuto una perversa commistione di potere pubblico e privato che ha di fatto svuotato, come aveva già denunciato qualche anno fa Colin Crouch, le già traballanti democrazie tradizionali attraverso una prassi politica autoritaria.

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