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Ue: La Brexit come occasione europea

La Brexit chiude le porte alla manodopera non qualificata degli europei per aprire alla migrazione all’interno del Commonwealth, magari per rifondare l’impero e vivere sulla finanza del riciclaggio dei patrimoni arabi, russi e cinesi.

La Gran Bretagna si sta avviando a scoprire se il suo malessere è dovuto all’Europa o alla tristezza di voler dare la colpa agli altri.

C’è da domandarsi se con la fuga britannica è opportuno lasciare l’inglese una delle lingue ufficiali della UE. Ma soprattutto quale sarà lo status dei funzionari britannici che lavorano a Bruxelles e a Strasburgo su progetti europei?

L’anacronismo dell’isolazionismo, diminuirà le visite degli europei in Gran Bretagna, ma i britannici stanno imboccando la strada dell’invisibilità nel contesto culturale, per godersi in solitudine i fish and chips.

Con la Brexit è stato aperto il vaso di Pandora degli attriti e delle rivendicazioni: dalla restituzione dei marmi del Partenone ai greci alla sovranità di Gibilterra, dalle controversie anglofrancesi sulla pesca alla volontà di quel 53% di britannici che hanno sperperato il loro sentimento europeista su vari partiti.

Per la Gran Bretagna, i prossimi anni, sarà l’occasione per scoprire se il malessere britannico sia dovuto ad una contiguità all’Europa o alla tristezza di voler dare la colpa agli altri. Per l’Unione europea sarà un’opportunità, come lucidamente spiega Enrico Letta in una lettera a Repubblica (4 febbraio), di superare i veti britannici e trasformarli in opportunità di crescita, fissando tre punti e una modifica lessicale.

Sicuramente è l’armonizzazione fiscale, il primo punto elencato da Letta, al superamento del sistema ibrido partorito dal veto britannico, offrendo l’occasione di scardinare alcuni paradisi fiscali all’interno della Ue, che ha creato una disparità di trattamento tra cittadini europei con la medesima moneta.

Alcuni paesi praticano facilitazioni fiscali a società che intendono investire, rendendo floride alcune economie a discapito di altre, mentre altri praticano la “vendita” di passaporti europei, previo esborso dalle 250mila ai 2milioni di euro. Una pratica mascherata da investimenti, che apre le porte della Ue non solo a facoltosi russi, cinesi, arabi etc., ma anche a infiltrazioni criminali ed a terroristi.

Scompaiono muri e confini, filo spinato e polizia armata per chi ha a disposizione portafogli colmi di euro per entrare, anche con cattive intenzioni, in Europa.

Non esiste una migrazione uguale all’altra, come il sistema tributario o il sistema sociale o come anche l’istruzione, un altro veto britannico, che la Ue è riuscita ad aggirare con il progetto Erasmus e che Enrico Letta propone di aprirlo ai sedicenni, per essere integrato nel corso di studi obbligatori a tutte le scuole europee. Un Erasmus ampliato per facilitare non solo l’applicazione del principio comunitario della “mobilità dei cittadini”, stimolando non solo la conoscenza delle lingue, ma anche delle culture e dei differenti modelli di vita a carico del bilancio europeo.

Il terzo ed ultimo veto preso in considerazione è quello sullo stato sociale che rende l’Europa difforme nel trattamento salariale, non solo una concorrenza sleale tra paese e paese nel produrre a basso costo, ma anche uno sfruttamento della manodopera senza le garanzie sindacali e con un welfare minimo unificato.

Il tema del salario minimo e del welfare dovrebbe comprendere anche l’unificazione del trattamento pensionistico e quello dei parlamentari.

Enrico Letta, con la sua lettera, prende anche in considerazione una modifica lessicale, ponendo il problema di percezione del cittadino rispetto al termine “Commissario” a quello di “Ministro”, identificando il primo come prepotente, mentre il secondo scelto come amministratore, scardinando la retorica sovranista e anti-europea “di una Ue che, dall’alto, è prevaricatrice dei diritti e dei comportamenti dei cittadini che stanno in basso”. Una scelta linguistica non di poco conto.

La riflessione di Enrico Letta va ad arricchire il piano di Ursula von der Leyen su una Green Deal europea per una indipendenza non solo energetica, ma anche sulla produzione di qualsiasi manufatto, per superare la dipendenza della delocalizzazione senza incorrere al rallentamento economico come avviene durante i conflitti o per le epidemie, con il blocco dei trasporti e dell’eterei benefici della globalizzazione.

Un’importante passo verso una coscienza europea condivisa può rappresentare la formazione di una Forza armata europea, per superare i bollori sovranisti.

La Brexit non è solo un’occasione per ripensare all’Europa, è una riflessione sulla fragilità del sistema economico, con l’interdipendenza della globalizzazione, messo in evidenza dal Covid-19 che confini e muri non riescono ad argina questa vigorosa influenza.

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Clima: Da una delusione alla Green Deal europea

CO2

La 25ma Conferenza sul Clima (Climate Change Conference) si è conclusa senza alcuna buona intenzione che aveva stigmatizzato le precedenti Cop, ma solo delle parole, come parole sono anche gli ammonimenti degli scienziati e delle persone che scendono per le strade e chiedono ai governanti un cambiamento di politica verso la conservazione dell’Ambiente.

L’incontro madrileno sul clima, se non è stato un fallimento, è stato sicuramente deludente, dopo i grandi propositi della Cop21 di Parigi, fa retrocedere le politiche sul Clima a prima del Protocollo di Kyoto (Cop3 1997). Ora resta il 2020 come l’ultima occasione perché le nazioni industrializzate possano trovare un accordo sul taglio delle emissioni di CO2 che non penalizzi con carestie e alluvioni le piccole comunità, anzi le possa aiutare verso uno sviluppo sostenibile.

Gli appuntamenti di avvicinamento alla Cop26 di Glasgow (9 -19 novembre 2020), prevedono una “pre Cop” milanese di ottobre, per definire tutti i contenuti del negoziato e il coinvolgimento dei giovani provenienti da tutti i 198 paesi, con la “Youth Cop”.

La Youth Cop potrà essere l’occasione per le nuove generazioni di passare dalla protesta alla proposta ed a Glasgow verrà messo in scena un altro gioco delle parti, per difendere la paura di alcuni paesi (Polonia, Australia, Cina, Stati uniti, etc.) a dover rinunciare all’estrazione ed all’utilizzo del carbone.

È difficile mettere d’accordo centinaia di nazioni, come dimostrano 25 anni di incontri, con pratiche coscienziose per la salvaguardia del Pianeta, mentre il massimo che si è riusciti ad ottenere sono i consensi su vaghe parole, consegnando l’attuazione delle buone intenzioni all’individuale impegno.

Non sarà il raggiungimento di un accordo globale tra nazioni a dare il futuro al nostro Pianeta, ma l’impegno delle amministrazioni locali e delle singole comunità.

Il governo statunitense non crede ai cambiamenti climatici, ma la California, New York, Maryland e Connecticut hanno intrapreso delle politiche per rendersi indipendenti dai combustibili fossili, seguendo autonomamente le indicazioni di Parigi, sfidano l’ottusità di Trump.

Singoli stati non sono una nazione, ma possono dare il buon esempio per rendere la vita migliore per tutti, affrontando la desertificazione, evitando l’innalzamento delle acque, scongiurando la scomparsa di isole e spiagge, con l’aria respirabile.

Grazie alla rete internazionale di amministrativi locali che nel 1990 diede vita all’Alleanza per il clima (Climate Alliance) si è potuto superare gli scetticismi e varare delle iniziative per proteggere il clima mondiale.

In Olanda è la Corte suprema dell’Aja a sollecitare il governo di rispettare gli articoli 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani sul diritto alla vita ed al benessere delle persone, riducendo del 25% le emissioni di gas serra entro la fine del 2020, rispetto al 1990.

Quello che non riescono a decidere i politici lo fa  la Magistratura indicando la strada per delle scelte sostenibili, ma non è, per fortuna, sempre così ed ecco degli amministratori locali che sperimentano termovalorizzatori per un teleriscaldamento a freddo e magari vincendo un premio come migliore Architettura Italiana per la committenza privata all’impianto del quartiere di Figino, nella periferia occidentale di Milano, o nel comune bresciano di Ospitaletto.

Non saranno i termovalorizzatori di Copenaghen, Vienna o Parigi, ma è un passo per superare le infondate paure della dispersione di polveri e CO2 da impianti che non solo smaltiscono la nostra incapacità di contenere l’appartenenza ad una società consumistica, ma fornendo  energia senza l’utilizzo di combustibili fossili.

Termovalorizzatori interrati o capaci di esprimere tutta la loro bellezza architettonica alla luce del sole, per smaltire i rifiuti producendo energia, è una soluzione da prendere in considerazione come alternativa alla continua individuazione di discariche a cielo aperto che non sono apprezzate dalle comunità.

Il progetto di una Green Deal europea, annunciata dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, comincerà a dare i primi frutti per un continente climaticamente neutro per il 2050, con una roadmap in 50 azioni, dove saranno i singoli comuni e regioni a doversi muovere, soprattutto nel meridione, per fermare l’offesa all’ambiente, rendendo l’impronta umana meno invasiva.

Il Green Deal della von der Leyen è più mirato dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile promossa dall’ONU https://www.unric.org/it/agenda-2030, oltre ad avere un maggior potere persuasivo di un qualsiasi organismo che in definitiva lascia sempre alla buona volontà dei singoli.

Siamo nell’era geologica dell’Antropocene, dove l’umanità industrializzata dimostra tutta la sua voracità, con un dispendio di energie e di materie, ferendo il Pianeta con il continuo distruggere e costruire, nascondendo i rifiuti delle malefatte in luoghi strappati alla Natura ed agli altri esseri viventi, ma viviamo di paesaggi da cartolina photoshoppata o stiamo in fila per salire su vette innevate o ci immergiamo in acque cristalline tra pesci variopinti, senza rendersi conto di quante microplastiche stiamo disperdendo con abiti e cosmetici.

Greenpeace ritiene che gli sforzi proposti da Ursula von der Leyen siano sufficienti, perché “la natura non negozia”, ma è già molto per decenni d’inerzia e  comunque saranno sempre i singoli a salvaguardare il futuro del Pianeta ed in molti stanno lavorando ad utilizzare l’opera dei batteri per fornire energia.

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