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Turchia: il dramma di essere donna

Turchia: il dramma di essere donna

Trecentosassentacinque donne in undici mesi. Tutte uccise da uomini in Turchia, in un 2017 che non si è ancora chiuso. Sono i dati agghiaccianti offerti in una documentazione redatta dall’associazione dei diritti “We will stop feminicide”. Il 15% di queste donne stava chiedendo il divorzio, l’11% cercava una vita indipendente dal partner, il 7% prima di cadere vittima della violenza di genere lo era sul fronte finanziario, il 4% si era rifiutata di accettare una riconciliazione, un altro 4% era in contrasto sulla prole. Dell’altro 60% di casi di omicidio non si hanno notizie particolari se non quelle del machismo assassino imperante. Il 75% delle donne assassinate per richiesta di divorzio hanno un’età compresa fra il 25 e i 35 anni. Come spesso accade, molti degli eventi delittuosi avvengono fra le mura domestiche o in situazioni in cui i coniugi o le coppie si ritrovano soli: in strada, in un parco pubblico, in auto o in luoghi appartati.

Fra gli assassini non si annoverano solo i mariti, compagni abituali o occasionali, padri e fratelli della donna vestono anch’essi il macabro ruolo, secondo un copione purtroppo globalizzato al di là di culture, fedi e coordinate geografiche. Il rapporto presentato è meticoloso, riferisce gli stessi sistemi utilizzati per le uccisioni e le aree dove i delitti sono più ricorrenti: sulle sponde del Mar Nero, nella zona mediterranea di Mersin e Atalya, nella provincia kurda di Şırnak. Sull’ennesimo libro macchiato di sangue che riguarda l’Anatolia, già colpita da infinite violenze politiche, pesa pure l’altra forma di maschilismo: lo stupro e l’abuso sessuale. Quest’ultimi, spesso, trovano le vittime incapaci e impossibilitate a denunciare i fatti, anche perché la famiglia d’origine e l’ambiente dove vivono tendono essi stessi a colpevolizzarle. Questo sentirsi doppiamente abusate conduce parecchie donne al suicidio.

Enrico Campofreda, 22 dicembre 2017

Articolo originale
dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

Turchia: in barca alla Biblioteca di Celso

Turchia: in barca alla Biblioteca di Celso

Fare della spianata di Efeso un’oasi archeologica collegata al Mar Egeo è uno dei sogni da Terzo Millennio della cangiante Turchia di Erdoğan. Il governo del premier Yıldırım, tramite l’apposito ministero che cura acque e foreste, ha lanciato un concorso per la realizzazione di un canale che porti direttamente dalla costa il turismo in visita allo storico sito. E’ previsto lo scavo di poco più di sei chilometri di canale e un’apposita commissione dovrà scegliere fra 35 progetti. Afferma un comunicato ufficiale: “Un ingresso della lunghezza di seicento metri, in struttura di pietra locale, permetterà l’accesso di yacht e imbarcazioni con una zona di ancoraggio. Accanto sorgerà un ponte per veicoli e pedoni, e mentre le perforazioni geologiche sono terminate ci si appresta a decidere chi eseguirà i lavori”.  L’idea non è nuova, circolava sin dagli anni Novanta, lanciata dal partito repubblicano della municipalità di Selçuk, cui appartiene il distretto. E’ stata rispolverata e inserita nei mega progetti di modernizzazione che hanno caratterizzato i governi dell’Akp da quando Erdoğan, da sindaco di Istanbul è diventato primo ministro, quindi presidente di una nazione che, sulla sua spinta, ha trasformato la Costituzione in un presidenzialismo fortemente accentratore. Secondo i sostenitori un innovatore, restauratore invece – e non in senso architettonico – per i detrattori Erdoğan si è speso moltissimo per trasformare il volto del Paese anche attraverso grandi opere. Tutto è partito da Istanbul, metropoli-simbolo della rinnovata Turchia, cui il presidente tiene in particolar modo, considerandola naturale proscenio della sua ascesa al potere.

Dal 2007 sono sorti: il secondo aeroporto (Sabiha-Gökçen nella Istanbul asiatica), ulteriori ponti sul Bosforo e il tunnel sotterraneo, il secondo canale che smaltisce il traffico navale da e verso il Mar Nero. La smania di cambiamenti che lasciano il segno ha rappresentato la delizia e la croce per il suo propugnatore. Le accuse di tangenti che hanno seguìto certi lavori rappresentano uno dei problemi politici con cui Erdoğan s’è scontrato negli ultimi anni. Ne è coinvolto il clan familiare, col figlio, fratello e cognato dello statista nel sospettato ruolo di collettori dei guadagni straordinari, e depositi bancari ben celati nel paradiso fiscale dell’isola Man. Solo i gravosi problemi che il coriaceo politico turco ha dovuto affrontare nelle crisi internazionali (guerra in Siria) e interne (ripresa dello scontro coi kurdi, tentato golpe contro di lui, attacchi terroristici) hanno messo in secondo piano la vicenda della presunta corruzione, che egli taccia di  congiura politica. Attualmente il progetto del canale verso Efeso non è implicato in nessuno scandalo, però trova perplessità in alcuni  studiosi che temono lo squilibrio di un sottosuolo che si è conservato per millenni. Geologi fanno notare come l’intera regione su cui insiste il sito archeologico sia un terreno di riporto. E c’è chi lancia quest’allarme: con la creazione del naviglio i tratti più invasivi del traffico turistico, che ora si svolgono a Kuşadası (dal controllo passaporti alla presenza di botteghe di souvenir) si riverserebbe sulle banchine dell’area archeologica, facendo perdere al luogo la magìa di un’estatica apparizione. Eppure non contenti, sfrenati sostenitori dell’innovazione sotto braccio a focosi impresari prevedono un ulteriore “servizio”: l’aeroporto di Efeso. Rombante, presso le colonne della mitica Biblioteca.

Enrico Campofreda

Pubblicato 1 dicembre 2017
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dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

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Gaza, l’età del bronzo sacrificata alle case

Gaza, l’età del bronzo sacrificata alle case

Il bisogno di case opposto al desiderio di cultura. Su questo discutono gli uffici del Ministero per le abitazioni e un gruppo di archeologi che ha lavorato in un sito risalente all’età del bronzo scoperto venti anni addietro. Accade nella Striscia di Gaza, 360 chilometri quadrati divisi in cinque aree: Rafah, Khan Yunis, Deir al-Balah, Gaza city, Nord di Gaza, dove si addensano 1.700.000 abitanti, cioè 4.570 abitanti per ogni quadrato di chilometro. Con un’autodeterminazione periodicamente soffocata da aggressioni armate di Israele che mietono vittime soprattutto fra i civili, tre devastanti nell’ultimo decennio: Piombo fuso, Pilastro di Difesa, Margine di protezione con circa 4000 morti. E il noto stato di perenne aiuto internazionale dovuto al controllo delle frontiere, operato sul confine egiziano e su quello israeliano dalle Forze Armate di Tel Aviv che spesso impediscono alle merci di entrare e uscire, contraendo o azzerando le poche attività produttive interne. Bloccare il lavoro e creare disoccupazione è una delle strategie usate da Israele per piegare i gazawi, aggravandone le condizioni esistenziali, mentali e fisiologiche. Dati dell’Onu segnalano come l’80% di quella popolazione vive in condizione di estrema necessità o di palese povertà.

Questo panorama conduce gli stessi amministratori a trattare quasi esclusivamente temi primari: sicurezza, nutrizione, abitazioni. Così Ibrahim Radwan, il ministro che s’occupa del problema della casa, questione in continua emergenza, viste le reiterate distruzioni del territorio operata dall’aviazione d’Israele, afferma: “Il nostro bisogno abitativo è enorme, per la sovra popolazione e le distruzioni attuate dai sionisti. Ovviamente teniamo in considerazione la storia, che è anche vita e cultura dei palestinesi, ma dobbiamo cercare un compromesso fra le due necessità”. Più che al compromesso il governo di Hamas pensa a offrire un tetto agli sfollati. E poiché talvolta le demolizioni di edifici ampiamente devastati non è resa possibile dalla mancanza di grandi pale meccaniche o di esplosivo per abbattere le armature di cemento, gli scheletri restano e si cercano nuovi spazi per le costruzioni, cui non sfuggono aree d’interesse archeologico. Chi ha lavorato agli scavi ha recuperato anfore e altri reperti, conservati in appositi magazzini per l’archiviazione prima di essere esposti. Comunque sottolinea che un luogo simile può offrire chissà quante altre sorprese, sacrificarlo per delle costruzioni è un sacrilegio. Un comitato di cittadini ha anche manifestato per preservare la zona da ruspe e sbancamenti, però la burocrazia e il realismo socio-politico incombono e per ora non si fermano.

Enrico Campofreda

Pubblicato 3 novembre 2017
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dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

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