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L’ISIS e i gatti

olo-isis-e-i-gatti-gatto-islamMai più gatti in casa. La notizia di una fatwa – sentenza religiosa – emessa dallo Stato islamico a Mosul, roccaforte irachena del Califfato ora sotto assedio, arriva dal giornale inglese Daily Mail, che cita la tv satellitare Al Sumaria, che la riprende a sua volta da Iraqi News. Andiamo dunque alla fonte.

Testo: (IraqiNews.com) Nineveh – Al Sumaria News reported on Tuesday that ISIS issued a fatwa in Monsul <sic> to forbid indoor cat breeding. Al Sumaria News stated, “The so-called Islamic State’s Central Fatwa Committee issued a fatwa (Islamic legal decree) prohibiting the breeding of cats inside houses in Mosul.” “ISIS called on the residents of Mosul to obey the fatwa and not violate it,” Al Sumaria explained. “ISIS issued dozens of fatwas in Mosul based on its vision, ideology and beliefs,” Al Sumaria added. The Islamic State group (ISIS) relies on a central committee to issue fatwas; it is comprised of influential clerics and figures from the terrorist group.

Dunque la notizia l’ha data per prima la rete televisiva Al Sumaria, la quale ha un sito ufficiale in arabo e in inglese.

Questa rete televisiva è molto professionale e relativamente liberale:

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le speaker p.es. non sono velate, e solo a scorrere i titoli scopriamo che il mondo islamico è molto meno schematico e rigorista di quanto siamo abituati a pensare. Inoltre, il sito è pieno di servizi giornalistici trasmessi da zone dove noi occidentali abbiamo pochi corrispondenti, quindi anche in futuro vale la pena di seguire questa rete simile ad Al-Jazeera. Non sono riuscito però a trovare la notizia sui gatti, anche se è registrata una buffa fatwa dell’Arabia Saudita che vieta dal 2015 i pupazzi di neve perché simili a idoli antropomorfi. Dove trovano la neve per farli non lo spiega. Questo però dà l’idea dello spirito che anima la rete televisiva: rispetto della religione islamica ma spirito liberale. Per saperne di più sulla proprietà, sulla redazione e sui paesi coperti c’è Wikipedia (voce solo in inglese e arabo)

E a rileggere il comunicato riportato da IraqiNews si dice che di fatwe l’Isis ne ha sfornate a dozzine e che a deciderle è un ristretto gruppo di chierici e capi terroristi.

Le principali testate italiane hanno quindi amplificato la notizia, parlando di caccia e sterminio felino dopo la direttiva impartita dagli uomini del califfo Abu Bakr al Baghdadi. In realtà Mosul è sotto assedio e a pochi giorni dalla battaglia finale gli uomini dell’Isis hanno ben altro da pensare che andar per gatti.

olo-isis-e-i-gatti-schermata-2014-08-26-alle-14-15-13-770x721-copiaAllora è una bufala? Visto che nessuno può andare oggi a Mosul a controllare, proviamo a ragionare. Intanto si parla di divieto ma non di strage felina. Strano: il gatto non è per l’Islam un animale impuro, come il cane o il maiale. Il presidente afghano Karzai si lamentava con i soldati americani perché entravano a rastrellare le case introducendo i cani, un’offesa grave per loro ma incomprensibile per noi. Purtroppo non m’intendo di teologia o diritto islamici e quindi non posso dire nulla sui gatti, ma è anche vero che l’Isis ha p.es. trasformato quest’anno il ramadan, mese della preghiera, del digiuno, della meditazione e della purificazione in un mese di guerra santa agli infedeli. E’ una radicale innovazione – eretica o fondamentalista – che dovrebbe aver suscitato anche discussioni all’interno dell’Islam stesso. E i gatti? Non è rara all’interno dell’islam la tendenza a smorzare quei tratti culturali che possono essere sentiti come identità altra rispetto alla loro. E qui più che il Corano conta la stratificata tradizione del diritto consuetudinario islamico, fatto di migliaia se non milioni di sentenze, detti, prese di posizione dei saggi e leggi tribali.

Ma il problema è che l’informazione da noi si è fatta subito propaganda: delle vittime civili nello Yemen o ad Aleppo o a Mosul infatti poco ce ne cale, ma guai a toccare gli animali. E qui voglio aprire una parentesi forse sgradita.

“Poche idee, primitive, ma ripetute di continuo e amplificate dai moderni mezzi di comunicazione”. Non è la descrizione dell’ISIS ma del nazismo, fatta a suo tempo da George Mosse, il maggiore storico della moderna storia politica tedesca. Mentre verso il nazismo la gente normale prova una repulsione istintiva (perlomeno dopo aver visto le immagini dei campi di sterminio o di altri crimini di guerra), lo stesso non si può dire delle violenze perpetrate dal c.d. Califfato nelle zone occupate. C’è da parte della gente comune un atteggiamento misto d’indifferenza, rassegnazione e paura, ma non odio o rigetto. Eppure in televisione e in rete abbiamo visto di tutto, dagli sgozzamenti degli infedeli alla distruzione dei villaggi, dai proclami violenti alla guerra santa, dall’addestramento dei bambini alle bandiere nere. Forse che una parata della Hitlerjugend era diversa? Eppure le reazioni non sono le stesse, anche se è vero che il nostro odio verso il nazismo è maturato dopo una guerra europea e settant’anni di educazione scolastica e civile. Si direbbe invece che l’islamismo radicale non sia stato ancora metabolizzato al punto di creare anticorpi.

Uno dei motivi è sicuramente la distanza culturale. L’Islam è l’ultima grande religione monoteistica e si pone come superamento dell’ebraismo e del cristianesimo, ma delle tre è in realtà la più arcaizzante, e il tentativo dell’ISIS di riportare l’Islam alle sue origini – in realtà è un mito politico – peggiora le cose, visto che la modernità non può essere governata con le leggi che si erano dati gli allevatori nomadi mille se non duemila anni fa.

L’altra osservazione è che il dissenso non ha la reale possibilità di esprimersi in modo corretto. Partiamo dall’espressione “islamofobia”. Perché mai un atteggiamento politico dev’essere ascritto a categorie legate alla psichiatria? Chi dissente è forse un instabile mentale o un “asozielle Element”, come dicevano i nazisti? Nessuno ha mai definito Togliatti e Pertini “fasciofobi”. Come si vede, etichettare il dissenso non porta molto lontano ma fa comodo. Ma nel momento in cui i vari governi occidentali mantengono una sostanziale ambiguità verso chi finanzia il terrorismo internazionale o temono per l’incolumità dei depositi bancari prima ancora che di quella dei cittadini, mantenere basso il livello della polemica è strategico.

Terzo elemento, l’ambiguità di una certa “intelligencija”. I movimenti islamisti sono nati come anticoloniali, a cominciare dai Fratelli Musulmani, che in Egitto sono attivi e ben strutturati almeno dagli anni ’30 del secolo scorso, quindi hanno avuto la benedizione delle forze democratiche internazionali. La rivolta antioccidentale usa la religione in realtà da pochi anni, ma qualcuno sembra essersi dimenticato del laico marxismo-leninismo e sottovaluta l’estraneità della strumentalizzazione religiosa nella costruzione della modernità. In più, l’Islam tutto è meno che una cultura subalterna da proteggere. E’ una contraddizione dalla quale non si è ancora usciti.

Infine, i sensi di colpa per gli errori culturali e strategici recenti: cosa vuole dire “Islam moderato”? E in Siria chi sono realmente i guerrieri finanziati dagli USA? Tutti sappiamo che i Talebani sono stati creati proprio da loro per combattere i sovietici, salvo poi pentirsene amaramente. Se dalla Siria all’Iraq è saltato l’equilibrio raggiunto negli anni ’20 del secolo scorso – equilibrio fissato dalle potenze europee – questo si deve anche all’invasione dell’Iraq e l’incapacità di governarlo realmente o di renderlo autogovernabile. Anche le primavere arabe hanno visto troppi attori esterni entrati in massa e male. Quindi per ora nessuno sembra legittimato a dire l’ultima parola.

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Islamia: accoliti con benefit

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Donne e Primavera araba. Libertà è anche una patente

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Medio Oriente: Apprendisti stregoni

Ricordate Fantasia, il film di Walt Disney dove c’era anche Topolino apprendista stregone? Ebbene, i suoi discepoli oggi sono tanti, tragicamente pasticcioni e incapaci di frenare gli sviluppi delle reazioni a catena che hanno incautamente provocato.

Ma passiamo ai fatti. L’Isis o Califfato che dir si voglia, ha effettivamente spiazzato gli analisti. Una volta raggiunta la massa critica, un movimento politico esplode in tutta la sua dinamica aggressività, è normale. Ma perché nessuno se ne era accorto prima? Evidentemente erano stati sottovalutati i segnali, oppure i protagonisti sono stati capaci di dissimulare le loro azioni. Oppure ancora, era difficile mandare giornalisti in zona. Ma esiste un’altra, inquietante interpretazione: gli apprendisti stregoni hanno perso il controllo della loro creatura. Andiamo per ordine.

Quando i sovietici occuparono l’Afghanistan negli anni ’80 del secolo scorso, gli Statunitensi finanziarono Bin Laden e i suoi, armandoli anche con micidiali missili Stinger che poi avrebbero ricomprato a caro prezzo. In seguito, l’Iran finanziò gli Hezbollah per far sloggiare gli Israeliani dal sud del Libano, mentre gli Alleati invadevano l’Iraq senza pensare che la guerra vera sarebbe iniziata una volta entrati a Baghdad e – quello che è più grave – senza avere un piano preciso per il dopoguerra. Dunque, sono proprio gli Statunitensi ad aver addestrato e armato i Talebani per combattere i Sovietici in Afghanistan. Risultato: una volta andati via i Sovietici, il paese presto crolla e viene conquistato proprio dai Talebani, i peggiori invasori che quel paese potesse avere e soprattutto i peggiori nemici per le forze alleate che cercano da più di dieci anni di ricostruire il paese e modernizzarlo. Noi italiani ne siamo usciti ora, ma dopo 13 anni e 53 militari caduti ancora non sappiamo chi ha vinto: nessuno ce lo ha saputo o voluto spiegare.

Andiamo avanti. Recentemente il governo iraniano ha pubblicamente detto all’Onu che il terrorismo islamico è un pericolo per l’umanità. Niente male per chi ha inventato gli Hezbollah ed ora, nel generale rovesciamento delle alleanze, si trova ad essere un fedele alleato degli Statunitensi nella lotta contro i Sunniti del Califfato. Neanche a dire che è stata proprio la miopia settaria dello sciita Al-Maliki a contribuire allo smembramento dell’Iraq, anche se prima di lui Ali Moussa Sadr era andato contro gli alleati senza avere un piano di lungo termine. Ma se pensiamo che in fondo gli Sciiti e i filosciiti sono da sempre iraniani o filo iraniani, non è difficile vedere in questo conflitto l’antica insofferenza dei Persiani verso gli Arabi, musulmani ma disprezzati da una cultura superiore.

Passiamo ora ai Francesi guidati da Sarkozy, i quali nel 2011 s’intromettono d’iniziativa nella guerra civile libica e ci spingono dentro anche gli altri. Berlusconi è amico personale di Gheddafi, ma in quel momento è troppo debole per resistere alle pressioni degli Statunitensi, i quali inventano persino un nuovo concetto giuridico: la guerra umanitaria preventiva. Alla fine Gheddafi viene eliminato, col risultato di creare un vuoto di potere, di espandere a sud la guerra per bande, di far dilagare l’esodo dei migranti verso l’Europa e spaccare il paese in due parti più o meno strutturate, Tripolitania e Cirenaica – una delle quali tendenzialmente islamista – più un enorme deserto crocevia di traffici di ogni genere. Attualmente, in mancanza di un vero procedimento democratico, ci limitiamo ad appoggiare i signori della guerra meno islamizzati o più affidabili, concetto relativo in una nazione gestita tradizionalmente da una quindicina di clan tribali. Il guaio è che noi italiani le coste libiche le abbiamo proprio davanti. La famosa quarta sponda per ora porterà solo guai.

Ma torniamo allo sciita Al-Maliki, presidente dell’Iraq, che riesce a scontentare e dividere il paese sbilanciando il potere a favore della maggioranza sciita e provocando l’unione dei Sunniti a parte del Califfato, realtà stranamente emersa dal nulla ma subito divenuta potente protagonista sulla nuova scena storica. Erano stati spesi dagli Statunitensi 25 miliardi di dollari per ricostruire l’esercito iracheno, che si è decomposto in pochi giorni, facendo finire armi ed equipaggiamenti moderni in mano nemica. Tanto valeva dividere subito l’Iraq in tre stati: sunnita, sciita e curdo.

Due parole anche per Israele, che in anni recenti ha indebolito l’OLP solo per vedere una protesta palestinese sempre più radicalizzata e la frontiera con il Libano gestita dagli Hezbollah. Ne valeva la pena? Erano queste le aspettative della pur esperta e scaltra diplomazia israeliana? Sicuramente in israele contano molto gli equilibri politici interni, ma tutto ha un prezzo.

In ordine di tempo, seguono i Turchi, la cui politica neo-ottomana ha finora appoggiato l’ISIS in funzione antisiriana, sperando che si eliminassero anche i Curdi presenti in loco. Ora il governo di Erdogan lascia passare i guerrieri nati in Europa che vanno ad arruolarsi nelle file dell’ISIS. Ufficialmente la Turchia è un fedele alleato dell’Occidente nella lotta al terrorismo, ma non quando si tratta di dar fastidio ai vicini. Miglior figura fanno i Curdi, che in effetti riescono a contenere l’offensiva dell’ISIS sia a Kobane che nel Kurdistan iracheno. E soprattutto, difendono sé stessi.
Sempre in Siria, riecco gli Statunitensi che, dopo aver finanziato l’opposizione moderata al regime di Assad, scoprono che questa si è unita all’ISIS in alleanza tattica contro il comune nemico, col risultato di eliminare qualsiasi opposizione se non moderata, almeno civile.

Nel frattempo i separatisti ucraini filorussi sono stati armati sottobanco dai Russi, anche se questi negano. Come in Crimea, i miliziani hanno stranamente tutti lo stesso fucile e le stesse giubbe, anche se prive di distintivi. Finora ha funzionato, ma non è detto che il controllo su di loro sia eterno ed efficace.

Infine, Arabia Saudita ed emirati vari, i quali prima finanziano i movimenti islamisti più fondamentalisti e poi temono che la loro espansione minacci la base del proprio potere. E’ curioso vedere l’Arabia Saudita o l’Oman da entrambe le parti del conflitto: come finanziatori di moschee wahabite e come alleati degli Statunitensi contro il terrorismo dell’ISIS. Curioso perché in casa loro quei regimi portano avanti idee molto simili a quelle dei loro nemici. Nemici del loro potere.

Quello che quasi diverte poi è la faccia tosta con cui i presidenti di Turchia e Niger partecipano alla grande manifestazione a Parigi in favore di Charlie Hebdo e della libertà di espressione e poi vietano la diffusione del giornale o delle sue vignette nei loro paesi, non prima però di aver scattato la foto ricordo con i grandi della Terra.

Islamia #NotInMyName La campagna Non in nome mio lanciata da musulmani 6a43421b-2e23-41e8-80f3-6ac33815d973

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