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Disinibizione in salsa halal

Tutto il mondo è paese: alla faccia del rigorismo morale, il porno circola anche tra i musulmani, nonostante le censure coraniche. Questo grazie alla diffusione delle antenne paraboliche satellitari, dell’internet e dei nuovi dispositivi mobili, che evitano la circolazione di materiale a stampa o video facilmente sequestrabile, com’era avvenuto finora. Se guardiamo la mappa di Wikipedia (1) notiamo che il porno è illegale in mezzo mondo, con una forte concentrazione nei paesi musulmani e in Cina. Solo che nel frattempo la tecnologia ha di fatto scavalcato la censura: ancora nel 2000 l’Arabia Saudita affermava di essere sul punto di vincere la guerra contro la pornografia online, mentre ora in Malesia, come a Singapore, l’accesso al porno web non è reato mentre tali rimangono il possesso e la circolazione di materiale pornografico. Nell’impossibilità di una censura totale, è in fondo una soluzione pratica: siate discreti, in privato guardate pure quello che volete, ma non conservatelo né fatelo girare, né tantomeno se ne faccia commercio.
Fin qui nulla di strano. La sorpresa è invece scoprire l’esistenza di siti specializzati anche nei paesi dell’Asia musulmana. Le didascalie sono in genere in lingua malese o indonesiana, le immagini non sono di qualità, fatte quasi tutte con dispositivi mobili e nel complesso riportano al privato: gli spazi inquadrati sono quelli dello specchio del bagno, della camera da letto, del giardino di casa, né più né meno come nel sexting ormai esibito nei social da nostrane mogli, figlie e fidanzate. Non è chiaro chi siano queste donne che si fanno i selfie: prostitute o donne libere? Pubblicità fai-da-te o puro esibizionismo? Molte foto sembrano rubacchiate dai social, qualche volta c’è pure il marito o addirittura il pupo, magari ci si fa la foto con un gruppo di amiche. I volti sono in genere asiatici, le facce allegre, i corpi un po’ cicciotti per i nostri gusti di occidentali corrotti e perversi, mentre l’età apparente delle donne forse qualche volta è un po’ troppo bassa per le nostre abitudini sociali. Ma quello che incuriosisce è l’appartenenza religiosa DOC esibita con orgoglio: tutte o quasi tutte le donne in linea indossano il velo, anche quando in sequenza si levano tutto o fanno sesso, segno che per chi si connette a questi siti – si suppone un maschio musulmano – il richiamo identitario è un elemento rassicurante. Come diceva Kipling, “a ciascuno la sua tribù”.

1. https://it.wikipedia.org/wiki/Pornografia_nel_mondo

 

Islamia: Conflitti e Sconfitti

Il Dio dai molti nomi è capace di difendersi da solo da possibili offese e saper parlare al cuore di chi è disposto ad ascoltarlo.

Lasciamo al Dio giudicare gli insolenti che non rispettano la sacralità delle religioni, senza porlo allo stesso piano delle manchevolezze di politici e delle nostre umane debolezze.

I sacrifici umani non sono più di moda per quietare le ire della natura e l’inquisizione dovrebbe essere relegata alla narrativa.

È fuori da ogni possibile dialogo o contraddittorio la barbarie che si manifesta nel togliere la vita ad ogni qualsivoglia essere vivente, ma oltretutto la scelta di dare la morte diventa anche sfoggio di disumana crudeltà.

Atrocità espressa con un rogo, invenzione di truculenti film sui serial killer, è topica della decadenza dei costumi nell’Occidente che un certo Islam rifugge. Il problema potrebbe essere facilmente risolvibile con una sana separazione delle culture.
È una soluzione che può andare bene anche a quegli intolleranti di Pegida e a tutti gli oppositori del multiculturalismo.

Avversari di ogni confronto con gli Altri, probabilmente per una forma tumorale di sindrome d’inadeguatezza, si fanno fanatici dello scontro.

Un certo Occidente teme l’islamizzazione, come una parte dell’Islam rifiuta ogni contaminazione occidentale.

Ma non vi è alcuna necessità di confronto, ignoratevi, alzate dei muri per vivere in recinti e magiare i vostri cibi, che ognuno festeggi le proprie credenze e eventi.

Essere permalosi e precludersi ogni occasione di confronto non rende le persone felici, anzi ci si incancrenisce in un isolamento fondamentalista.

Anche la migliore delle persone ha sofferto almeno in un’occasione della sua vita una accentuata carenza di pazienza verso il vicino, rivolgendosi a lui con modi bruschi, esprimendo tutta l’intolleranza che un fastidioso mal di testa può far esplodere.

È in quelle occasioni che l’individuo dovrebbe riflettere quanto lui potrebbe migliorare nell’apprendere dal suo vicino.

Non può essere una colpa prediligere un cibo piuttosto che un altro o se la sua storia personale è differente dall’altra.

Conflitti che coinvolgono i fedeli di tre religioni monoteiste che paradossalmente hanno radici comuni in Abramo, ma con ritualità diverse. Una vera guerra del potere che nel mondo mussulmano non si esprime solo tra sunniti e sciti, tra arabi e persiani, ma soprattutto all’interno degli stessi sunniti. È sconfortante il livello di litigiosità dell’umanità nell’impegnarsi così tanto nel trovare le differenze e rimanere invece indifferenti su ciò che ci accomuna.

Il Mondo arabo, in fermento da anni, è in cerca di una democrazia che superi i governi autoritari teocratici, con la loro ispirazione oscurantista, e quelli laici protesi verso una modernizzazione sociale, ma lontani dall’idea di libertà d’opinione e d’espressione.

Un Islam dalle mille sfumature, con una maggioranza che non si riconosce nel fanatismo e lancia la campagna #NotInMyName (Non in nome mio) o i come nelle testimonianze dei 15 attivisti musulmani, tra blogger-giornalisti e artisti, che sfidano il settarismo.

Il vero nemico della convivenza è rappresentata dall’inadeguadezza di quelle bellicose minoranze che vogliono convertire le maggioranze con ogni mezzo e questo Samuel P. Huntington, nel suo saggio pubblicato su Foreign Affairs nel 1993, ben lontano dall’11 settembre 2001, The Clash of Civilizations?, approfondito successivamente nel libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, non lo aveva previsto, anche perché erano ancora lontane le manifestazioni per la democrazia nel mondo mussulmano.

Un Mondo mussulmano facilmente messo sotto accusa, dopo l’11 settembre, per ogni strage, come quella dei 77 norvegesi uccisi da un xenofobo autoctono. Un’islamofobia analizzata da Martha C. Nussbaum nel libro La Nuova intolleranza, del 2012, e superare la paura dell’Islam e vivere in una società più libera.

Prima erano le ideologie sociali a mobilitare i popoli, ma dopo la Guerra Fredda sono l’identità culturale, soprattutto la religione, ad alimentare i conflitti. Ma la distinzione non è così semplice. Anche all’interno di aree identitarie esistono dei distinguo tra gli uni – gli individui – propensi a capire, dagli altri – la massa – reclusi in dogmi o ancorati ad una visione arcaica della società per dare la caccia ai blasfemi che siano protesi verso un “modernismo”.

Distinzioni rituali che dilania tanto l’Occidente quanto l’Islam, senza escludere le altre realtà culturali di questo Pianeta, estremizzando il conflitto non tra civiltà, ma anche tra chi impone la separazione tra Potere e Sudditi. Il vero conflitto è tra chi si elegge a casta atta a manipolare un’identità religiosa o culturale per avere una schiera di seguaci e chi non vuole dare nulla per scontato, in cerca della conoscenza e della tolleranza, per capire ciò che ci circonda, scambiandosi le esperienze per progredire.

Un futuro auspicabile non dovrebbe contemplare sacrifici ad una Fede impersonata in un Dio o nello spietato profitto personale, ma un’equità nella condivisione ed avere una posizione relativista sulla quotidiana convivenza.

Ma per ora ci si continua a scannare per l’interpretazione di uno scritto o per un lembo di terra da strappare a quelle comunità che vi abitano da decenni se non da secoli, per alimentare conflitti che infliggono sconfitte anche a chi pensa di essere il vincitore.

 

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Dove la politica è sotto confisca

L’Islam non è solo islamista, ma è un composito universo di religiosità e laicità, con una componente araba che è solo una parte di questo mondo. Sunniti e sciiti, wahabiti e alawiti, salafiti e drusi, socialisti e liberali, nasseriani e baatisti, marxisti e monarchici.

Tante anime che stanno trasformando l’ostilità in conflitto permanente non solo tra chi vuole imporre la componente religiosa come riferimento per le leggi e i comportamenti di intere popolazioni e chi vuol tenere separati gli aspetti della fede a quelli dell’amministrazione pubblica, ma anche all’interno dei singoli ambiti.

Un conflitto che sempre più sta trasformandosi in sistematica violenza degli uni contro gli altri in Egitto e che la Tunisia si appresta ad intraprendere la stessa strada. In Libia si susseguono attentati.

Il Marocco vive una crisi di governo con il passaggio all’opposizione del partito Istiqlal, la componente conservatrice della coalizione governativa che chiude con l’esperienza a guida islamista per l’inadeguatezza del partito islamico di Giustizia e Sviluppo nell’affrontare i problemi economici del paese.

Il presidente Abdelaziz Bouteflika, con la sua gestione autoritaria del potere, non ha ancora permesso che in Algeria si esprima rumorosa la contrarietà per uno stato d’impoverimento dei Diritti, vigilando sullo scontento giovanile e soprattutto su quello islamista.

Il periodo del Ramadam è il tempo della purificazione fisica e dalle tentazioni carnali, ma soprattutto un’occasione di riflessione e mai come in quest’anno giunge in un momento drammatico per il mondo arabo.

I contrasti nell’universo islamico non sono solo tra religiosità e laicismo, ma si addentrano nei diversi riferimenti storici delle varie comunità. Correligiosi che non riescono ad andare d’accordo, dilaniandosi in rivalità che nel panorama geopolitico si muovono con grande senso pragmatico verso i diversi schieramenti. Non tutti gli osservanti o ortodossi e fondamentalisti si trovano dalla stessa parte. Piuttosto si dislocano come in Occidente: secondo i momentanei interessi gli avversari non sono sempre rivali, ma possono essere alleati.

Questo Ramadam possa essere l’occasione per comprendere la divisione tra sciiti e sunniti che da secoli travaglia l’Islam, non nelle dimensioni che conobbe l’Europa del ‘600 tra cristiani, ma che continua a causare quotidianamente vittime in Pakistan come in Iraq, in Siria e nell’ambito delle rivolte arabe del nord Africa e con le ribellioni tentate nei paesi del Golfo.

Uno stillicidio tra sciiti e sunniti, i primi sono minoranza in gran parte dell’Islam, generato da una differente lettura dell’eredità di Maometto. I sunniti riconoscono ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto, l’eredità religiosa e politica, mentre per gli sciita la successione doveva essere riconosciuta ad un consanguineo del profeta come il cugino e genero Ali.

In un Medio oriente dove si muovono in schieramenti sparsi islamisti sciiti come gli Hezbollah impegnati a difendere la laicità siriana impersonata da Assad, mentre i sunniti vorrebbero liberarsi dalle leadership corrotte.

Nel Mali i laici Tuareg hanno pensato di allearsi con gli integralisti della sharia per realizzare il loro sogno d’indipendenza, per poi trovarsi estromessi dalle città conquistate sino all’arrivo delle truppe maliane fiancheggiate dai francesi.

Nell’Iraq di Hussain era la minoranza sunnita del paese a governare sulla maggioranza sciita, come le case regnanti di alcuni paesi del Golfo bloccano ogni rivalsa degli sciiti, mentre finanziano le primavere in altri paesi arabi.

In questa complessa rimescolanza di posizioni il punto fermo, il discrimine, è individuabile nella rabbiosa avversità di alcune fazioni verso la cultura e le adolescenti come Malala che sfidano quotidianamente i Talebani per garantire il diritto allo studio. Quella di Malala è una sfida ribadita anche davanti all’assemblea dell’Onu. Nel Mondo i 2/3 degli analfabeti sono donne e la cultura resta l’unico strumento per superare ogni incomprensione tra i popoli e sconfiggere ogni forma di terrorismo.

Alcune fazioni sciite si trovano in sintonia con quelle sunnite solo nell’emarginare le donne dalla società, ponendole in un continuo stato di controllo, sino ad arrivare ad un vero e proprio abuso psicologico e fisico.

Appare difficile solo pensare che possa esserci un futuro dove i popoli possono vivere in pace, quando le genti con le stesse radici culturali hanno difficoltà nell’andare d’accordo, sino ad arrivare ad essere rivali, pronti a fronteggiarsi a colpi di business o di auto bomba.

Quando il massacro siriano avrà fine, perché prima o poi anche questa mattanza concluderà, nessuno avrà vinto. Ognuno avrà perso qualcuno e qualcosa, tanto vale terminare gli omicidi al più presto, senza attendere che l’Occidente ponga fine allo smisurato guadagno dei trafficanti d’armi. Entrambe le parti hanno potuto collaudare vari armamenti e fatto esplodere auto bombe. Non è una cifra più che rispettabile l’elenco di 100mila vittime o non è questa la quota di morti che si era prognosticata?

A quale numero si vuol arrivare per ritenersi soddisfatti di aver perso il proprio vicino? Un numero pari al confitto Iraq-Iran o quello della guerra dei Balcani è già sufficiente? Magari le vittime causate dallo sradicamento dei gruppi armati islamici in Algeria può essere costo di vite accettabile.

I musulmani, metaforicamente scrivendo, sono rimasti perplessi per il messaggio augurale tweettato del presidente Barack Obama per il Ramadam. Una confusione che ha trovato in Twitter il canale di sfogo per il disaggio di un messaggio augurale pervenuto dal presidente degli Stati uniti impegnato nell’utilizzo dei droni per attacchi mirati, colpendo non solo i terroristi, ma causando anche vittime tra i musulmani innocenti. Oltre al regime di carcerazione al quale i detenuti sospettati di terrorismo vengono sottoposti nel carcere extraterritoriale di Guantanamo.

Un’irritazione ben focalizzata dal tweeter che paragona, con i dovuti distinguo di eccesso, gli auguri di Obama a quelli che Hitler avrebbe potuto inviare agli ebrei per un felice Hanukkah con Auschwitz in attività.

I conflitti potranno dare un successivo stimolo all’economia o magari facilitare la realizzazione di progetti urbanistici, ma perché non vanno a giocare alla guerra nel bel mezzo di un deserto, senza coinvolgere l’infanzia e le loro madri?

È possibile che il dono della parola possa servire ad elargire sproloqui e non a comunicare con il prossimo per capire che nonostante le differenze culturali apparteniamo alla stessa umanità.

Il costante conflitto che il Mondo islamico sta vivendo è la prevaricazione di un essere su di un altro, ma l’Occidente è maggiormente interessato a mettere in sicurezza le forniture d’idrocarburi, come dimostra l’energico intervento in Libia e la flemma con la quale l’Italia si sta impegnando ad espletare l’incarico che la Ue e gli Stati uniti gli hanno affidato nell’organizzare a Roma una conferenza di pacificazione tra le diverse componenti, potrà dimostrarsi tardiva con il susseguirsi di attentati e scontri tra opposte fazioni.

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L’Egitto si è rotto

Egitto: laicità islamica

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Egitto: democrazia sotto tutela

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Una Primavera di libertà congelata dall’inverno

Turchia: Autocrazia Ottomana

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 07 OlO Altri di Noi Riflessione islamica Malala adolescente all'Onu per il diritto allo studio

L’apparenza inganna

Nel 2010, mentre imperversano le manifestazioni studentesche a Lahore, un giovane pachistano, il professor Changez Khan (Riz Ahmed) viene intervistato dal giornalista americano Bobby Lincoln (Liev Schreiber). Changez, che ha studiato a Princeton, racconta a Lincoln il suo passato di brillante analista finanziario a Wall Street. Parla del luminoso futuro che aveva davanti, del suo mentore, Jim Cross (Kiefer Sutherland), e della bellissima, sofisticata Erica (Kate Hudson), con la quale si preparava a condividere il futuro.

All’indomani dell’11 settembre, il senso di alienazione e il sospetto con il quale viene improvvisamente trattato, lo riporta nella sua terra di origine e dalla sua famiglia, alla quale è molto affezionato. Il suo carisma e la sua intelligenza lo fanno subito diventare un leader sia agli occhi degli studenti pachistani che lo adorano sia del governo americano che lo guarda con sospetto.

La facciata del cordiale incontro tra Lincoln e Changez, in una sala da tè di Lahore, lascia lentamente spazio alla vera ragione per cui questa improbabile coppia si è incontrata in un giorno di estate – un professore straniero è stato rapito dagli estremisti e la sua esecuzione è una questione di ore. La famiglia di Changez è perseguitata e corre un reale pericolo. Bobby ascolta con attenzione, ma ha qualcosa in mente. In un viaggio attraverso i mondi culturalmente ricchi e seducenti di New York, Lahore e Istanbul, The Reluctant Fundamentalist esplora i pregiudizi e il fenomeno della globalizzazione nei suoi aspetti, allo stesso tempo, brillanti e inquietanti.

 

Una regista indiana che realizza un film su un uomo pachistano dall’omonimo romanzo (Ed. Einaudi) di Mohsin Hamid.

 

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Cinema Il fondamentalista riluttante locandinaIl fondamentalista riluttante

Regia di Mira Nair

Con Riz Ahmed, Kate Hudson, Liev Schreiber, Kiefer Sutherland, Om Puri, Shabana Azmi, Martin Donovan, Meesha Shafi, Haluk Bilginer, Nelsan Ellis, Victor Slezak, Mark Oliver, Clayton Landey, Adil Hussain, Christopher Nicholas Smith

Genere Thriller

produzione USA, Gran Bretagna, Qatar, 2012

Durata 130 minuti circa

 

Tratto dal romanzo “The Reluctant Fondamentalist”di Mohsin Hamid

(edito in Italia da Einaudi)

 

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Un Nobel in conflitto d’affari

Mai un riconoscimento come quello del Nobel, per l’impegno a favore della Pace, è stato tanto spudoratamente disatteso come sta avvenendo con il comportamento dell’Unione europea per la sua non decisione sull’embargo di armamenti verso la Siria. Qualche dubbio sull’opportunità di conferire quel riconoscimento all’Ue, motivato per il contribuito che aveva dato alla riconciliazione, alla democrazia e ai diritti umani in Europa, era stato comunque in precedenza sollevato, vista l’incapacità di fermare prontamente il massacro nei Balcani e l’aver ripetutamente taciuto sulle tragedie del Mediterraneo, oltre ad operare con una forza militare quale è Frontex per dissuadere l’umanità disperata di trovare in Europa un luogo dove vivere.

E’ con questi precedenti che la Ue ha dunque affrontato lo scorso 27 maggio a Bruxelles il nodo siriano, con i ministri degli esteri dei diversi stati, e ha pensato di risolverlo togliendo l’embargo sulle armi alla Siria. In prima fila a sollecitare le forniture militari all’Opposizione siriana ci sono la Gran Bretagna e la Francia che, constatando l’incapacità dell’Occidente a fermare il quotidiano massacro di civili che dura da due anni, hanno pensato di trarne profitto – come sta facendo la Russia – smerciando armi proprio ora che si entra nel vivo della preparazione per la Conferenza di Pace di metà giugno a Ginevra, l’appuntamento sembra slittare a luglio. Nel frattempo l’Opposizione siriana continua a discutere in riunioni interminabili, l’ultima delle quali si è protratta a Istanbul per giorni e giorni senza alcun risultato, per marcare la divisione tra posizioni laiche e islamiste.

Si continua a parlare di pace, ma tutti sembrano soffiare sul fuoco, trasformando la Siria autoritaria, con un’economia turistica stabile e una posizione geopolitica di garanzia nell’area mediorientale, in terreno di scontro tra sunniti e sciiti, tra Russia ed Europa, tra Cina e Stati uniti, tra laicità musulmana e islamismo. Creando sodalizi pericolosi come tra Iran e Iraq in una sorta di alleanza sciita per emarginare le altre componenti dell’Islam.

Per ora il campo di battaglia tra le due componenti islamiche si svolge cruentamente nel territorio siriano, con mercenari e fanatici che arricchiscono uno scenario circoscritto, ma la situazione ribolle in Iraq con la silenziosa mattanza quotidiana e nell’attiguo Libano con una complesso alternarsi di alleanze variabili. In più, combattenti stranieri in ambo gli schieramenti, fondamentalisti con Bashar al-Assad e con chi gli si oppone, mercenari e idealisti che si fronteggiano. In occasioni simili mai è risultato saggio affidarsi a mercenari per conservare il potere. Ma il fronteggiarsi di sunniti e sciiti (difficilmente comprensibile fuori dell’Islam) pervade gran parte del mondo islamico. In Iraq, al tempo di Saddam Hussein, era la minoranza sunnita a detenere il potere, ora i ruoli sono invertiti, con i sunniti a trovarsi limitati nei diritti e organizzare attentati. Nel Bahrein la minoranza sunnita controlla invece con autorità gli sciiti. E in Pakistan sono frequenti gli attentati nei confronti della comunità sciita.

Più semplicemente la Russia gongola, guardando la Ue che si divide, ambendo ad essere egemone nell’emisfero settentrionale, mentre la Cina scansa gli Stati uniti da quello meridionale. E dopo che il regime di Bashar al-Assad è stato continuamente foraggiato in armamenti da Russia e Iran, ora è la volta che l’Europa procuri armamenti adeguati a rendere più equilibrato lo scontro e accrescere le file di vedove e orfani. I contrasti religiosi e culturali sono un lucroso affare per i mercanti d’armi e un modo per risollevare dalla crisi l’Occidente che detiene la maggioranza della produzione bellica.

L’Europa nel suo non decidere unitariamente si dimostra incapace di mostrarsi come degli stati con un unico futuro. Non è la zona euro a essere in crisi, è l’idea complessiva dell’Europa, con rappresentanti succubi dei governi nazionali e una leadership opaca.

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