Il secondo anniversario della rivoluzione che ha deposto Hosni Mubarak è stato segnato da una protesta dilagante contro i Fratelli musulmani e il loro presidente.
Due anni dopo, le tende sono ancora in piazza Tahrir. Alla rivolta dell’opposizione contro la deriva islamista Morsi ha risposto ordinando di cancellare i murales “critici” e mettere sotto inchiesta la satira, se non basta far intervenire l’esercito.
Una rivoluzione spontanea senza una leadership, caratterizzata dall’utilizzo dei social network come Facebook e Twitter. I siti web varia informazione come quello The National Council for Women dedicato alle donne che manifestano o Join 18 Days In Egypt che si rivolge a chi ha vissuto i giorni di piazza Tahrir per raccogliere ogni testimonianza dei giorni della protesta. In un twitter si affermava che L’Egitto viene trasformato in inferno da gente che pensa di andare in Paradiso. La violenza sui manifestanti si trasforma in vere aggressioni sessuali nei confronti delle donne che si sono organizzate realizzando il sito Harassmap per segnalare episodi di molestie sessuali via SMS in forma anonima o i gruppi di difesa delle donne denominati Tahrir Bodyguard anche su Twitter che non si limitano ad una presenza sul web, ma girano con caschetto e pettorina fosforescente, per garantire il diritto delle donne a manifestare e contro i predicatori impegnati ad addossare ogni responsabilità delle aggressioni sessuali alle vittime. Secondo gli islamismi sono le stesse donne ad essere responsabili dei loro stupri se si mescolano con gli uomini per partecipare a raduni.
A queste deliranti affermazioni si contrappone la campagna contro le molestie sessuali anche attraverso i disegni sul blog che è un omaggio alle donne.
Una domanda che molti si pongono è se Morsi, il signor nessuno sino al momento della sua elezione a presidente dell’Egitto post Mubarak, a tenere le redini della nazione o sono i suoi Fratelli Musulmani a suggerirne la sua condotta? Di certo c’è che l’Egitto non può fare a meno degli investimenti esteri come i 20miliardi di dollari del Qatar o il discusso ponte sul Mar Rosso promosso dall’Arabia Saudita e che allarma gli ambientalisti. All’Egitto necessita anche il prestito dai 3,2 ai 4,8 miliardi dollari dal FMI (Fondo Monetario Internazionale), richiesto dal governo egiziano per affrontare la crisi finanziaria e il deficit di bilancio, tanto più ora che il turismo sembra un ricordo, nonostante l’impegno del presidente di garantire la sicurezza dei turisti, e Morsi si esibisce nel rincaro di tasse sulle sigarette, birra, bevande analcoliche, elettricità, oltre che su una serie di licenze, sulla pubblicità e nel settore immobiliare.
Nel panorama di precarietà finanziaria l’Egitto conta sul prestito della Banca per lo sviluppo africano (AfDB), per sostenere l’economia nazionale e finanziare progetti di sviluppo specifici, e sul rinnovo degli impegni stipulati dagli Stati uniti, non solo a livello militare, con il precedente governo.
La crisi economica rappresenta in Egitto un argine contro la pressante imposizione di una religiosità sfrenata nella struttura statale. Morsi deve rendere conto alle varie organizzazioni e ai singoli stati dei prestiti e debiti contratti con l’Occidente e il Mondo arabo.
Gran parte degli egiziani sentono che due anni di cambiamenti sono serviti a tradire la rivoluzione e percepire Morsi schiacciato tra gli accordi internazionali e la fratellanza musulmana.
I Fratelli musulmani sono nati come una società di mutuo soccorso, ma in questa fase politica sembrano presi solamente dalla gestione del potere, mettendo in secondo piano le quotidiane necessità dell’egiziano mussulmano o copto che sia.
Le famiglie egiziane sono diventate più vulnerabili non hanno abbastanza soldi per comprare cibo, vestiti e riparo. Questa è la conclusione dell’ultima indagine dell’Egyptian Food Observatory’s.
L’Egitto non riesce a risollevare il turismo e dare sicurezza al turista, con i ciclici scontri tra sostenitori e oppositori di una vita laica e gruppi islamisti armati che vagano nel deserto pronti ad intervenire.
Solitamente le crisi economiche sono foriere d’instabilità politica, ma per l’Egitto può diventare l’unica possibilità di uno status quo tra i fautori di un’islamizzazione della vita quotidiana e chi non vuol rinunciare alla laicità dello Stato, anzi vorrebbe accrescere i diritti dei singoli.
In Egitto la laicità della vita pubblica non appartiene al contesto filosofico, ma semplicemente finanziario: non eccedete nell’introduzione di esternazioni religiose nella quotidianità pubblica e vi mancherà il sostennio anche finanziario dell’Occidente. Niente discriminazione verso chi non porta alcun tipo di velo o di abbigliamenti riconosciuti rispettosi dell’islam.
Le agenzie di rating continuano a declassare i titoli egiziani e la disoccupazione aumenta. Si aumentano i prezzi di alcuni generi per poi recedere su alcuni. Una continua acrobazia per confondere la popolazione e far sembrare i governanti sensibili alle necessità della popolazione.
Un apparente status quo, perché Morsi e i suoi sponsor continuano ha prendersi ampi spazi di potere, attraverso le vie istituzionali e con sotterfugi, per poi restituire un po’ del maltolto dopo le furiose manifestazioni di piazza e le proteste nel web.
Un web che si è mostrato utile per far crescere l’indignazione con la messa in Rete del video che pare documenti il trattamento riservato a un uomo nudo dalla polizia.
Se ci si domanda se Morsi o la Fratellanza Musulmana è a tenere le redini del potere in Egitto è ancor più enigmatico il ruolo delle forze armate che sempre più spesso svolgono attività di polizia e di barriera in difesa delle sedi istituzionali minacciate dai manifestanti.
Il Governo si affida all’esercito, scegliendo di schierarlo a difesa dei principali edifici pubblici, oltre che dei commissariati, ma le forze armate hanno metabolizzato le epurazioni che le hanno colpite o stanno attendendo che l’esasperazione della popolazione renda “necessario” il loro intervento.
Intanto il presidente Morsi riunisce il Consiglio di Difesa per far fronte al caos in cui sta precipitando il Paese e tende la mano all’opposizione laica che continua ad presentarsi in ordine sparso, provando a formare un governo di unità nazionale.
Una rivoluzione tradita è il titolo che dal 2011 rimbalza e ricorre periodicamente sulle testate giornalistiche di vari paesi.
Il periodico Limes, nel suo ventesimo compleanno, dedica a “L’Egitto e i suoi Fratelli” gran parte del numero di febbraio per ripercorrere i due anni che hanno scandito le speranze degli egiziani e avere qualche informazione di più se la “Primavera” araba non si stia trasformando in un inverno islamico.