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Statue come Simboli

Hanno abbattuto anche la statua del presidente Wilson. Per noi poco male: nella memoria italiana Wilson è il responsabile della “vittoria mutilata” nel 1919, tant’è vero che da noi non esiste nessuna via o piazza a lui intitolata. E’ comunque l’ultimo atto della recente, violenta tendenza politica che vuole distruggere le icone di uomini politici altrimenti famosi per ben altro. Il problema è che alla fine non si salva nessuno: anche i più grandi statisti, generali, esploratori e persino i santi erano figli della loro epoca e ne condividevano idee, abitudini e alcuni pregiudizi. Dico “alcuni” perché i grandi uomini, come i protagonisti dei romanzi storici, sentono i limiti della loro cultura e la superano dando l’esempio agli altri. Churchill era razzista, ma ha combattuto come un leone per distruggere i nazisti, senz’altro più razzisti di lui. Kipling esaltava il colonialismo britannico, ma ne percepiva benissimo i limiti e il futuro declino. E così via.

Certo, come romano potrei scrivere molto sulle statue e i monumenti: ho lavorato per anni nei Musei Capitolini, uno dei templi della statuaria greco-romana. Ma anche passeggiando per il centro sei frastornato da monumenti e statue di ogni tipo ed epoca. Entrando poi nelle chiese e ammirando le statue dei santi, magari sospetti che il cristianesimo è dovuto venire a patti con la cultura pagana. Ma quante erano le statue nella Roma imperiale? Migliaia, tutte colorate; quello che resta nei musei è una minima parte di quante erano esposte. Distrutte perché simboli pagani, oppure riutilizzate per far calce o puro ornamento, senza capirne più il senso. Marco Aurelio si è salvato solo perché scambiato per Costantino, e chi volesse distruggerne oggi la statua sappia che per tempo abbiamo messo sulla piazza del Campidoglio una copia. La guerra alle statue come si vede ha una lunga storia. Prima dei cristiani, Abramo e Mosé avevano distrutto tutti gli idoli, e lo stesso avrebbe fatto dopo di loro Maometto. La guerra iconoclasta che indebolì l’Impero Romano d’Oriente nell’VIII secolo vide dunque due visioni del mondo: le zone che rifiutavano le immagini sacre erano non per niente quelle legate alle religioni ebraica e islamica. Ma altrettanto decisi furono i protestanti francesi nel XVI secolo nelle città conquistate al loro credo. Per capire un atteggiamento che per noi è solo fanatismo religioso, bisogna prendere atto delle differenze culturali: quelle per noi sono opere d’arte, per loro sono idoli pagani. Questo non significa che non possa esistere una religione basata sull’idea di una trascendenza pura, intraducibile nelle immagini terrene, che per noi cattolici invece trascendono l’esperienza fisica e diventano un tramite con Dio. Quello che sorprende è che ancora oggi che abbiamo tanti altri modi di esprimerci, esista gente – e non parlo solo dei Talebani – che non riesce a distaccarsi emotivamente dal simbolo concreto quale può essere per l’appunto una statua. Quando nel ‘300 fu scoperta durante uno scavo la Venere Capitolina, abbiamo resoconti di chierici turbati dalla visione di quel “nudo artistico”. L’impatto emotivo dev’essere stato enorme, al punto che nacque persino la leggenda dello scultore sposato con la statua di Venere. Ma non avrei mai creduto che 700 anni dopo la stessa statua sarebbe stata coperta durante la visita ufficiale di una delegazione iraniana ai Musei Capitolini, il che suggerisce che dietro la violenza iconoclasta (dal greco: rompo l’immagine) si possa nascondere qualcosa di ben più preoccupante.

Ritornando però al discorso iniziale, io difendo le statue come difendo le lapidi e i monumenti non solo come opere d’arte (alcune non lo sono affatto, o sono kitsch) ma come documenti storici. Noi siamo quello che siamo in seguito a quello che prima di noi hanno fatto i nostri antenati, buoni o cattivi che siano. Sono da conservare anche i documenti delle imprese negative, altrimenti se ne perderebbe la memoria: restino dunque i nomi dei toponimi coloniali nel quartiere “Africano” di Roma. Resti la scritta DUX nell’obelisco del Foro Italico, che solo un paio di anni fa qualcuno ha proposto di abbattere (chissà perché non prima). La storia non è fatta solo di santi e i documenti non vanno distrutti: piuttosto, vanno contestualizzati, storicizzati. Solo così manterremo o costruiremo la nostra identità, senza pregiudizi ma anche senza ipocrisie.