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(Pre)Potenza Militare

Sentendo la radio e leggendo giornali e blog devo prendere atto che genitori e insegnanti si stanno mobilitando contro quella che ritengono una militarizzazione delle scuole, sempre più spesso invitate a cerimonie o visite o iniziative promosse dalle Forze Armate, le quali in realtà queste attività le svolgono da sempre. Dunque ne è cambiata la percezione collettiva, finora genericamente pacifista, ora realmente “disarmata”, costretta a prendere coscienza della dura realtà della guerra. Negli ultimi trent’anni i nostri militari sono stati proiettati in missioni di pace (?) in terre lontane, ma impegnando a rotazione reparti formati da professionisti, con perdite esigue e un certo ritorno d’immagine. La guerra in Ucraina ora ha cambiato la scena e questo è stato un trauma per tutti. Iraq e Afghanistan sono stati dimenticati, esiste solo il buco nero di una guerra in Europa, ma chi aveva rimosso il problema ora è in crisi.
La guerra in Ucraina dura da un anno, ma nasce da lontano. Facile descrivere la scena attuale: trincee, distruzioni, armi e proclami politici, mentre il fronte rimane fermo come nella prima guerra mondiale. Meno facile capire cosa ha innescato una guerra nel centro dell’Europa dopo settant’anni di equilibri strategici armati ma nel complesso stabili (ex-Jugoslavia a parte, ma ci torneremo). Come al solito bisogna partire dalla caduta del Muro di Berlino (1989) e seguire lo sfaldamento dell’Unione Sovietica. Il vuoto di potere così creato non ha portato a un nuovo equilibrio, quanto piuttosto a uno squilibrio permanente nelle relazioni fra stati. La NATO, nata come struttura difensiva, si è allargata a Est a spese dei paesi soggetti al Patto di Varsavia, realizzando il Drang nach Osten tanto caro ai Tedeschi e suscitando le frustrazioni della Russia, in quel periodo troppo debole per reagire. L’adesione delle nazioni alla NATO è stata libera, quanto rapida è stata la loro accoglienza. Purtroppo la fine della Guerra Fredda e l’allargamento della NATO furono presentati come una vittoria sul nemico, mentre più logico sarebbe stato sciogliere un’alleanza difensiva in favore di una nuova agenzia di sicurezza che coinvolgesse anche la Russia, perlomeno la parte europea. Il resto lo sappiamo: la Russia di Putin vuole riprendersi il maltolto, ma strategicamente la guerra l’ha già persa; può vantare successi tattici, ma l’obiettivo iniziale non è stato raggiunto e per ora la situazione ricorda la prima guerra mondiale.
Ora, in Italia esiste da anni una discrasia fra una linea di Governo allineata con la NATO e un’opinione pubblica scettica o pacifista, la quale comunque poco incide sulla politica estera. Meno palese è che molte analisi puntuali e fuori del coro si devono invece proprio ai militari, in genere ufficiali superiori ora in pensione ma con lunga esperienza sul campo. Spesso esposti in prima linea, hanno informazioni di prima mano sulla realtà al di là della narrazione ufficiale e delle immagini televisive. Purtroppo il loro atteggiamento critico è privo di influenza sulle decisioni politiche nazionali. Vale però la pena di leggere i libri che scrivono. Consiglio L’uso della forza. Se vuoi la pace comprendi la guerra , del generale Carlo Jean (1996) e La NATO nei conflitti europei, ex Jugoslavia ieri, Ucraina oggi , del generale Biagio Di Grazia (2022). Il primo analizza realisticamente (e quindi senza l’ipoteca dell’ideologia) non solo cosa significhi scegliere la guerra come strumento di politica nazionale, ma il motivo per cui una classe dirigente deve per prima cosa chiarire quali sono gli interessi nazionali o internazionali. L’Italia è sempre stata opportunista, senza una condivisa strategia di lungo periodo; da qui avventure coloniali o post-coloniali, entrate in guerra decise la sera prima, guerre lampo impantanate o insabbiate per mesi a seguire e – più recente – un’ansia di presenzialismo e visibilità purché sotto comando statunitense.
Il libro del generale Di Grazia è diverso: forte della sua esperienza nell’ex-Jugoslavia, analizza i meccanismi perversi attraverso i quali l’ONU è stata scavalcata dalla NATO dopo la caduta del Muro di Berlino e oggi si permette di alimentare una guerra (in Ucraina) senza ufficialmente farla. La disgregazione della ex-Jugoslavia è stato il banco di prova durante il quale le varie missioni ONU si sono dimostrate poco capaci e prive di strumenti operativi: basti il paradosso di un Consiglio di sicurezza dove ha diritto di veto anche chi è parte in causa di un conflitto. Ma la NATO, forzando i regolamenti, in pratica si è da quel momento arrogata il diritto di gestire in proprio le crisi locali o addirittura di proiettare verso l’esterno quella che era nata come alleanza puramente difensiva, trasformando dopo l’attacco alle Torri gemelle (2001) l’articolo 5 della NATO (se un membro dell’alleanza viene attaccato tutti lo devono difendere) in un mandato in bianco per guerre contro tutti: i Serbi, il Terrorismo internazionale, Saddam, i Talebani. Con non poche incoerenze: l’indipendenza del Kosovo confligge con i principio dell’inviolabilità delle frontiere e ha dato esca legale al Donbass. Ancora: in Bosnia gli Stati Uniti hanno appoggiato uno stato islamico per poi combatterlo altrove, col risultato di impegnare per vent’anni anni tempo e risorse in paesi musulmani che nel profondo disprezziamo, refrattari come sono alle influenze esterne. La morale? L’importante è avere sempre un nemico, il che ricorda quel film di Alberto Sordi: Finché c’è guerra c’è speranza. In realtà sia la Serbia che la Russia, sia pur indeboliti, potevano essere ottimi alleati, a prescindere dal loro sistema di potere, ma per ora la saggezza non è di questo mondo.


L’ uso della forza. Se vuoi la pace comprendi la guerra
di Carlo Jean
Editore: Laterza, 1996, pp. 140
EAN: 9788842049579
ISBN: 8842049573
Prezzo: € 7.75


La NATO nei conflitti europei. Ex Jugoslavia ieri, Ucraina oggi Condividi
Autore: Biagio Di Grazia
Editore: Delta 3, 2022, pp. 184
EAN: 9791255140481
Prezzo: € 16,00


Homo videns

Come è cambiata l’informazione con la comunicazione di massa e con l’avvento della televisione? Non c’è bisogno di risalire alle opinioni di Pasolini, agli sketch comici di Guzzanti sul telegiornale o ancor di più alla pellicola “Videocracy”, presentata al Festival del Cinema di Venezia, per intuire cosa è avvenuto da circa cinquant’anni or sono. Ma parlare del tema è utile solo per alimentare la chiacchiera heideggeriana? Abbiamo veramente compreso la portata di certi meccanismi?
Giovanni Sartori quasi 10 anni prima di Crouch Colin punta il dito sul fenomeno del “tele-vedere” e del “video vivere”. Il politologo italiano nel suo libro “Homo videns” pretende di dimostrare, senza lasciare spazio a spiragli di ottimismo, l’effetto totalmente deleterio dello strumento televisivo.
Con una sagace dissertazione Sartori asserisce che la televisione sta producendo una metamorfosi che investe la natura stessa dell’uomo: ribalta il rapporto tra capire e vedere. “La televisione non è soltanto uno strumento di comunicazione, è anche al tempo stesso, paidèia, uno strumento «antropogenetico», un medium che genera un nuovo ànthropos, un nuovo tipo di essere umano”: l’homo videns appunto.
E’ il “prevalere del visibile sull’intellegibile che porta a vedere senza capire”, ad atrofizzare il processo cognitivo. Disabituarsi a capire e a pensare tramite il processo di astrazione che ci differenzia dagli animali, produce l’homo videns, ultimo anello della catena non evolutiva ma involutiva!. “L’homo sapiens è entrato in cri-si, in crisi di perdita di sapienza e capacità di sapere”.
In estrema sintesi l’homo videns, è un essere videodipendente non più capace di un pensiero razionale ma preda delle sensazioni emotive indotte dalle immagini e da un flusso di notizie il più delle volte inconsistenti. L’informazione che non spiega l’immagine ma è scelta in funzione dell’immagine e della sua capacità di creare “sensazione” a prescindere dal valore della notizia crea “disinformazione” e vuoto conoscitivo.
Contro i nuovi profeti della democrazia virtuale, della tecnocrazia al potere e contro tutti i “negropontini”, il nuovo Savonarola mette anche in guardia dall’uso d’internet, che potrebbe essere un nuovo mezzo di crescita culturale se, l’adolescente o l’adulto che si avvicina, non fosse stato il bambino nutrito da tanta televisione. Il cibernauta “non avendo un interesse cognitivo più sensibilizzato in chiave astraente”, naviga con obiettivi per lo più ludici, rischiando di perdere il senso del reale, cioè il confine tra vero e falso o tra esistente e immaginario.
Sartori denuncia i Murdoch e i Berlusconi – e tutti i grandi burattinai dell’informazione – che nutrono di spazzatura lo spettatore, perenne video-bambino, pilotando la sua bulimia a favore dell’accrescimento del portafoglio o e del potere.
Proprio in merito al condizionamento televisivo Sartori introduce osservazioni ancora attuali sulla trasformazione del potere politico, mediante l’uso dell’immagine televisiva.
La televisione diventa l’autorità cognitiva per eccellenza: “si esibisce come portavoce di una opinione pubblica, che è in realtà l’eco di ritorno della propria voce”.
Se da un lato l’opinione del pubblico intervistato non da luogo necessariamente ad un’azione coerente con l’opinione stessa (ad es.: l’opinione di voto politico rispetto al risultato elettorale), il sondaggio d’opinione darà risultati variabili in funzione di come verrà posta la domanda. L’homo videns ascolta il messaggio televisivo non relativizzando l’informazione che riceve, anzi a volte è indotto in errore per l’inadeguata descrizione delle rilevazioni statistiche presentate che “sono « false» nella interpretazione che ne viene data”.
Senza aderire radicalmente al pensiero di Sartori a distanza di 20 anni il panorama è desolante: colui che è stato esposto alla “disinformazione” televisiva e successivamente a quella dei quotidiani, ora deve recuperare un gap conoscitivo che non gli richiede solo sforzo di tempo e di attenzione (almeno fino a che l’informazione immagazzinata non arrivi alla sua massa critica), ma ha anche difficoltà di reperire una informazione valida ed accessibile per creare un reale bagaglio conoscitivo.
Anche dissentendo dalla linea di Sartori, è difficile non osservare come la televisione, oggi forse meno incisiva a causa dell’effetto assuefattivo, sembra aver modificato comunque i modelli di riferimento e gli stereotipi: nutrirsi d’immagine ed essere immagine. Basta apparire! fare spettacolo, essere spettacolo a tutti i costi non importa se in maniera triviale: vince chi urla più forte, l’affermazione eclatante, la posizione più eccentrica, se aggressiva meglio, lo stile più inusuale. In fondo anche i politici, che ci rappresentano sono così!
Una possibile via di uscita? Fuggire gli schemi, anche quelli della protesta e del cinismo! Ritornare sul proprio sé e solo dopo individuare le proprie scelte e il modo personale di percorrerle.

 

******************************04 DemosKratia Homo videns Giovanni Sartori

Titolo: Homo videns. Televisione e post-pensiero
Autore: Giovanni Sartori
Editore : Laterza (collana Economica Laterza), 2007, XVI-166 p.,
Prezzo: € 8,50

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I sondaggi da: Tunnel

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