Ascoltando alla radio i Ricordi di libreria di George Orwell mi sono divertito: figlio di un libraio antiquario, condividevo la delusione di chi lavora con i testi antichi, rari o esauriti e inizialmente crede che tali librerie siano frequentate da bibliofili e collezionisti, salvo prendere atto che entrano per lo più perditempo, ladri di libri e studenti che tirano sul prezzo dei manuali. Personalmente avevo stabilito una regola: se dopo la terza volta lo sfaccendato usciva senza aver comprato almeno un opuscolo, allora non gli rivolgevo più la parola o lo facevo educatamente uscire. Uno addirittura si giustificò affermando di essere “un pensatore strutturale”. Una libreria è un esercizio commerciale (negotium, il contrario di otium); può anche diventare un cenacolo di cultura, ma non una biblioteca pubblica, perché al libraio non arriva lo stipendio a fine mese, ma campa con la merce che vende. La libreria Feltrinelli alla fine levò le poltroncine “di prova”: la gente leggeva i libri senza comprarli (1). Quanto all’esperienza del giovane Orwell, mi fa piacere sapere che tutto il mondo è paese. Quando mio padre neanche trentenne aprì nel 1951 la sua libreria antiquaria in piazza Pasquino “o dei librari” (dietro piazza Navona), la scelta fu felice: se avevi i contanti, nel dopoguerra si potevano comprare intere biblioteche, la gente leggeva molto e le ristampe erano meno frequenti; in più si potevano stampare cataloghi da mandare agli abbonati, pratica comune fino agli anni Ottanta del secolo scorso, quando l’Internet ha sostituito i fascicoli spediti a tariffa agevolata. Conservo qualche foto storica della nostra prima libreria, e ancora mi chiedo come mai un giovane laureato appena sposato abbia pensato di aprire un’attività tipica dei pensionati. Mio padre voleva che la libreria divenisse un circolo culturale e la sua clientela era internazionale. Peccato che una pleurite lo costringesse a chiudere bottega dopo uno o due anni. Nel frattempo ero nato io. Avrei dovuto aspettare quindici anni prima di vedere riaperta la nostra libreria, stavolta ai piedi del Quirinale, dove è sopravvissuta come bottega storica fino al 2018. Dico sopravvissuta perché, morto mio padre nel 2003, mia madre ha voluto continuare l’impresa senza delegarne la gestione ai figli e di fatto invecchiando insieme alla bottega, chiusa definitivamente a pochi mesi dalla sua morte a 91 anni. Ma c’è dell’altro: la zona di Fontana di Trevi e gran parte del centro storico – peraltro limitato dalle ZTL – erano ormai diventate il Luna Park del turismo di massa, ignorante e distruttivo, capace di girare in mutande e fotografare le cartoline per non comprarle. I miei genitori e io stesso eravamo diventati “pittoreschi” e per questo continuamente fotografati, ma il commercio ha bisogno di clienti e non di voyuers. Il libro stava poi perdendo rapidamente la sua centralità: l’epoca d’oro dell’esaurito cedeva il posto alle facili ristampe digitali, quando negli anni 90 la composizione in piombo fu abbandonata per tecnologie più moderne. Le edizioni in linea e altre fonti in rete hanno poi fatto il resto in un paese dove comunque si stampa troppo e si legge troppo poco. Nei mercatini oggi si trovano a meno di un euro volumi che da studente non mi potevo permettere e le enciclopedie oggi addirittura le ritrovi buttate nei cassonetti, tanto c’è Wikipedia, con la quale peraltro collaboro. Mi resta invece l’ingombro di almeno 3000 volumi che non riesco né a vendere, né a regalare a biblioteche: sempre mi rispondono dicendo che non hanno spazio, ed è vero: negli ultimi vent’anni non si è investito nel settore e lo spazio resta sempre quello iniziale. In più c’è il fattore umano: meno libri significa meno lavoro, tanto lo stipendio arriva comunque. E avendo lavorato nelle biblioteche per quarant’anni, certi colleghi li conosco bene.
Ma se il libro usato ha perso qualsiasi valore commerciale, assistiamo a un fenomeno nuovo: l’offerta e lo scambio gratuiti, qualcosa che va ben oltre il book crossing:. Tanto per fare un esempio, all’interno del mercato comunale Talenti (sulla Nomentana) c’è un ampio spazio dove chiunque può portare i libri che non usa più e prendere quelli che vuole leggere o ritiene utili. Parliamo di centinaia di opere messe in disordine ma non accatastate. Le scaffalature sono state create con le cassette della frutta messe per traverso e impilate, con l’avvertenza di non recuperarle per il mercato. C’è di tutto: libri scolastici, atlanti, romanzi, volumi di enciclopedia, libri per ragazzi, saggistica. Per me ho recuperato un’edizione rilegata de I sette pilastri della saggezza di Lawrence d’Arabia. Perso dunque il valore commerciale, ne resta dunque il valore intrinseco: il libro mantiene ancora il suo valore funzionale prima ancora che simbolico.
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- Lo stesso fece la Deutsche Grammophon (stava a via Frattina) con le cabine di prova dei dischi: la gente li ascoltava per intero e poi li restituiva al banco.
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