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Roma: Sulle tracce architettoniche del potere fascista

Camminare per Roma e non vedere i luoghi come sono oggi, come ce li hanno consegnati il cinema prima e poi la televisione; vederli invece com’erano negli anni venti, feriti e sanguinanti, scovarne le tracce nascoste: è questo l’obiettivo degli itinerari ricostruiti in questa guida da Anthony Majanlahti e Amedeo Osti Guerrazzi, la cui ricerca non ha lasciato inesplorato alcun palazzo, vicolo, quartiere. La Prima guerra mondiale non fu gentile con l’Italia. E con Roma in particolare. Esaurita la disponibilità di case popolari, gli immigrati e i poveri che affluivano ogni giorno nella capitale, già sovraffollata e irrequieta, costruirono baracche accanto agli acquedotti e alle vecchie torri fuori le mura. Erano agglomerati miseri, squallidi, pericolosi ai quali il governo e la nuova classe media guardavano con sospetto. L’indolente e soleggiata città dei cesari e dei papi si scrollò di dosso secoli di immobilismo con un sussulto violento, e ne risultarono spaccature profonde. La disillusione generata dalla pace di Parigi, incarnata dal mito dannunziano della «vittoria mutilata», non fece che esacerbare le divisioni e i contrasti – fra ricca borghesia e indigenti, fra studenti e forze dell’ordine –, finché nel 1919 una nuova, dolorosa lacerazione si aprì nel tessuto sociale urbano: quella del fascismo. Eppure la Storia sembra aver dimenticato le ferite che lo squadrismo inferse a Roma: non c’è traccia degli scontri che insanguinarono i rioni popolari di San Lorenzo e del Trionfale, nessun monumento ricorda i massacri perpetrati dalle Camicie nere, nessuna targa commemora i nomi delle vittime. A recuperare questa memoria dolorosa ma essenziale interviene Roma divisa. I suoi dettagliati percorsi ci conducono nei luoghi da cui il tempo e la negligenza hanno lavato via i segni di quegli anni tumultuosi e contraddittori, come la sede del sindacato dei fornaciai su via Tolemaide, dove si concentrarono – subito dopo la Marcia su Roma – gli attacchi dei fascisti che volevano «dare una lezione» ai lavoratori; o come il caffè Aragno, animato centro culturale frequentato fra gli altri da Vincenzo Cardarelli, Filippo Tommaso Marinetti e Leonardo Sinisgalli, dove nel 1921 l’onorevole socialista Alceste Della Seta fu bastonato duramente da alcuni irriducibili mussoliniani. O ancora come largo Chigi, a pochi metri da dove fu orchestrato il delitto di Giacomo Matteotti. Una guida per non dimenticare, ancora una volta, che il fascismo non avrebbe mai potuto stroncare l’opposizione popolare senza un alleato quanto mai fedele, lo Stato italiano, e per vedere Roma con occhi diversi.

Un libro che segue quello dedicato da Rino Bianchi e Igiaba Scego alla Roma negata (Editore Ediesse, 2014) di Passeggiate coloniali.

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Il libro verrà presentato
Giovedì 27 novembre 2014
Presso i Musei Capitolini

Invito_Roma divisa_Roma

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Invito_Roma divisa_Roma coverROMA DIVISA 1919 – 1925
Itinerari, storie, immagini
di Anthony Majanlahti e Amedeo Osti Guerrazzi

Editore: Il Saggiatore, 2014
Pagine: 320
Prezzo: € 19,50
ISBN 9788842820109
EAN:9788842820109
E-book € 10,99

 

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Anthony Majanlahti (Montréal, 1968) è docente universitario di Storia e urbanistica di Roma e associato dell’Accademia Britannica. Nel 2007 ha pubblicato Guida alle grandi famiglie che fecero Roma (Vallardi, 2007), tradotto in diversi paesi.

Amedeo Osti Guerrazzi (Roma, 1967) collabora con l’Istituto storico germanico di Roma. Tra le sue ultime opere ricordiamo: Noi non sappiamo odiare. L’esercito italiano tra fascismo e democrazia (Utet, 2010), L’esercito italiano in Slovenia, 1941-1943. Strategie di repressione antipartigiana (Viella, 2011) e Storia della Repubblica sociale italiana (Carocci, 2012).

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L’estate nera del “Sacco di Roma”

“Il Sacco di Roma” è senza dubbio uno dei tanti fatti storici di rilievo che la nostra Capitale ha da raccontare. Avvenuto nel 1527 sotto il pontificato del Papa mediceo Clemente VII, il Sacco fu per il popolo romano un duro colpo non solo per via dell’occupazione imperiale ma anche per tutte le scorrerie che i lanzichenecchi (l’esercito dell’Imperatore Carlo V) perpetrarono a lungo per le vie e per le case della città.
Lo scrittore italiano Luigi De Pascalis ha ben pensato che su quest’avvenimento storico ci si potesse costruire un bel romanzo, dove la storia si tinge di giallo per i toni investigativi e di nero per la trama scelta.
“La morte si muove nel buio” parla di una serie di assassinii avvenuti all’interno di Castel Sant’Angelo nell’estate seguente il Sacco, dove le vittime principali furono il Cardinal Rangoni, porporato di peso all’interno della Curia, e il suo assistente personale Mario Barbaro.

E chi è il protagonista del romanzo? Nientemeno che l’artista, il musico, lo scultore, il pittore, l’orafo e soprattutto il “bombardiere”, come spesso qui viene chiamato, Benvenuto Cellini, un Fiorentino irruento, focoso, facilmente incline alla violenza e parecchio lascivo.
Durante l’attacco delle truppe imperiali Benvenuto fu tra i più combattivi in difesa del Papa sulle mura di Castel Sant’Angelo, tanto da uccidere addirittura con un colpo del suo broccardo il comandante imperiale Carlo Borbone (e se non fu per mano sua, sicuramente da uno dei suoi uomini). Quella notte però per il bombardiere iniziarono i guai, fu lì infatti che incontrò per la prima volta il colonnello Schertlin, avversario in guerra e in “amore”, se così sì può chiamare il loro rapporto con la bella cortigiana andalusa di nome Lozana. Nemici, dunque, le cui strade saranno però destinate ad incrociarsi nel corso delle indagini sui due assassinii in un disegno che nasconde ben più di quanto entrambi pensino.
Ma se Cellini è il protagonista che si muove per la strade di Roma, c’è un altro personaggio che si muove invece nel sottosuolo romano tra le rovine dimenticate dei tempi antichi, ed è Gregorio, un ex prete sfuggito per poco alla forca e nascostosi laddove nessuno andrà a cercarlo. Personaggio chiave all’interno della vicenda, Gregorio viene presentato dall’autore in modo alquanto misterioso rivelando a piccole dosi il suo ruolo all’interno del tutto.

Riassunta così la storia può sembrare semplice, ma letto per intero il romanzo si presenta come un’opera ben costruita che si pone molto al di sopra del comune prodotto commerciale.
De Pascalis oltre all’ambientazione ha curato molto attentamente anche il carattere e la dialettica dei suoi personaggi, adattandoli all’epoca in questione. Frequente è anche l’uso del dialetto del loro paese natio da parte di Benventuto, dei suoi compagni e dei suoi nemici.
Basandosi poi su fatti storici realmente accaduti non possono mancare tutti i protagonisti di quei giorni duri che segnarono Roma in modo indelebile. Sono presenti infatti personaggi come il Cardinale Pompeo Colonna, il Conte Morone (poi Vescovo e Cardinale), i Cardinali Armellini e Pisani insieme a tutti gli altri già sopra citati. Questo breve elenco vuole rafforzare l’idea che i contenuti di questo romanzo meritano attenzione, a maggior ragione del fatto che non volendo reinventare la storia l’autore ci ha tenuto particolarmente a costruire una trama solida che si adatta facilmente alla realtà senza alterarne troppo i fatti, con un risultato finale molto più che soddisfacente.

Se poi a lettura conclusa nascesse la voglia di approfondire la biografia di alcuni dei protagonisti le fonti non mancano affatto, prima tra tutti quella di Benvenuto Cellini.

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Libri La morte si muove nel buio 3944090Titolo: La morte si muove nel buio
Autore: Luigi De Pascalis
Casa editrice: Mondadori (collana Omnibus)
Anno: 2013
Pagine: 379

Prezzo: € 16,00

Disponibile anche in ebook con DRM a € 9,99

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Luigi De Pascalis è uno scrittore italiano già autore di numerosi romanzi e racconti, due volte vincitore del Premio Italia per la letteratura fantastica e più volte finalista di altri concorsi letterari. Le sue opere sono pubblicate anche in Francia, Germania e Stati Uniti.

 

La via verso se stessi

Millie è una giovane ragazza dal passato triste e burrascoso messa ai margini di una società che sembra non notarla. L’unica salvezza che lei vede a questo suo status è la finestra aperta del suo appartamento in fiamme che Millie non esita a cogliere “al volo”, anche se proprio quel volo ha degli esiti del tutto inaspettati. Che direbbe se al suo risveglio in ospedale le venisse offerta l’opportunità di ricominciare? Di rifarsi una vita?

Il signor Mike è invece un homeless con un passato da soldato. Qualcosa lo ha spinto a disertare dall’esercito fino a portarlo a vivere nel portone di un palazzo laddove altri senzatetto mirano ad avere il suo “comodo” angolino riparato. Qualcuno sembra riuscire a soffiarglielo e il Signor Mike si ritrova senza un luogo dove dormire e, peggio, con alcune lussazioni in varie parti del corpo. Penserebbe mai che una buon’anima gli si presentasse con una proposta di lavoro adatta alla sua persona?

Mariette è una moglie, una madre e, soprattutto, un’insegnante. Quel che è peggio però è che Mariette è stressata da un marito dittatore, dai figli menefreghisti e da alcuni alunni indisciplinati, talmente indisciplinati che uno di loro si prende uno schiaffo che lo fa cadere dalle scale, e a tirarglielo è proprio la sua maestra. Mariette ha raggiunto il limite e ha bisogno di cure per ritrovare se stessa. Si aspetterebbe forse di trovare molto di più in sé dopo queste cure?

Tre storie destinate ad incrociarsi in questo romanzo intitolato “l’Atelier dei miracoli” scritto dall’autrice francese Valèrie Tong Cuong. Un incrocio voluto da un benefattore di nome Jean Hart, un altro personaggio del libro e proprietario dell’Atelier, che si è posto degli obiettivi nella vita: rimettere in sesto gli altri e far riscoprire il proprio valore alle persone che lo hanno smarrito. Come tutti però anche lui ha i suoi misteri, i suoi scheletri nell’armadio, e l’autrice ha delineato per questo personaggio una personalità ambigua, a volte preoccupante, come se tutto ad un tratto il romanzo dovesse cambiare di colpo il corso degli eventi… come in effetti fa, ma a in modo forse imprevisto.
E i tre protagonisti? Anche per loro Valèrie Tong Cuong ha costruito un passato e un presente problematici, diversi per ognuno di loro ma simili nel destino che li accomuna, ovvero quello di ritrovare dei valori, dei principi di vita e una personalità che sembra scomparsa.
Ma per far ciò l’ostacolo più duro da superare è, come sempre, la verità, una verità che perseguiterà ogni protagonista fin dall’inizio della storia, compreso Jean che è poi la chiave di tutto.
I valori che l’autrice vuole esaltare in questo romanzo sono senza dubbio nobili, ma i mezzi utilizzati dal Centro di recupero per raggiungere certi obiettivi non sembrano del tutto “onesti”. La fragilità dell’animo umano è nota a tutti, ma Valèrie Tong Cuong vuole dimostrare come le vie e i risvolti che possono ridare dignità e amor proprio ad una persona siano a volte le più inaspettate. L’Atelier dei miracoli è un viaggio introspettivo nell’animo umano che ha lo scopo di analizzarlo fin nel profondo dove forse risiedono quelle risposte in noi stessi che a volte fatichiamo a trovare.
La domanda da porsi allora è: quale sarà mai il metodo utilizzato nell’Atelier?

Libri l'Atelier 9788867154821_latelier_dei_miracoli******************************

Titolo: L’Atelier dei miracoli
Autrice: Valèrie Tong Cuong
Edizioni: Salani (Collana Romanzo), 2014
P. 215
Traduttore: R. Fedriga

Disponibile anche in ebook
http://www.valerietongcuong.com/

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Roma: Passeggiate coloniali

Non ho ancora letto Roma negata, di Igiaba Scego, ne ho solo sentito parlare stamane alla radio, ma conosco i suoi libri e la ricordo quando, da studente, veniva a studiare nella biblioteca di quartiere dove io ero stato assegnato dal Comune di Roma. Qualche osservazione però posso farla già da ora. Intanto la memoria della storia coloniale italiana a Roma è praticamente relegata alla toponomastica del c.d. quartiere africano: viale Libia, piazza Gondar, via Migiurtina, via Giuba, via Macallè e così via. Il resto è stato rimosso dagli edifici pubblici – penso al comunicato ufficiale di Badoglio che entra nel 1935 ad Addis Abeba – oppure è visibile nel Circolo Ufficiali, come il ritratto del Duca d’Aosta o il quadro d’epoca dell’Amba Alagi. Non esiste più il Ministero delle Colonie (dove è ora la FAO) e l’obelisco di Axum è stato restituito ai legittimi proprietari. Da lì iniziava viale Africa, che ora si chiama viale Aventino e giunge fino alla Piramide, che invece non è stata rubata agli egiziani ma costruita da un antico governatore romano. Quanto al monumento ai cinquecento Caduti di Dogali (1887), è ormai privo del Leone di Giuda (restituito anche quello) e non sta più al centro di Piazza dei Cinquecento, ma è seminascosto nel viale di collegamento con piazza della Repubblica. Gli altri reperti del nostro passato coloniale uno se li deve andare a cercare al chiuso: nel cortile del Museo della Civiltà Romana è affissa l’ultima carta geografica marmorea dell’Impero che completava il ciclo esposto a via dei Fori, mentre il Museo storico della Fanteria ha invece ereditato la parte militare che stava al già Museo Africano di via Ulisse Aldovrandi, dove invece sono rimaste solo le raccolte di scienze naturali ora organizzate come Museo civico di Zoologia. Una collezione completa di modellini delle nostre fortificazioni coloniali sta nel Museo storico dell’Arma del Genio, chiuso da anni. Infine, la sede dei Bersaglieri a Trastevere conserva gelosamente il labaro della disciolta sezione di Mogadiscio. Come si vede, gli unici a ricordarsi ancora dell’Africa coloniale sono i militari. Dunque Igiaba Scego – giovane e affermata scrittrice italiana di ascendenze somale – ha ragione: il passato coloniale italiano è stato rimosso e i giovani non ne sanno niente. A dire il vero, che non fossimo stati santi ed eroi l’ho imparato tardi, dai libri di Angelo del Boca, il primo storico italiano a sfatare, documenti alla mano, l’immagine dell’Italia coloniale foriera di civiltà (vedi la bibliografia). Ma per motivi anagrafici – ho 60 anni – prima vedevo le cose in modo diverso : tutti in famiglia abbiamo avuto almeno un parente che ha combattuto in Africa, l’ultimo è stato mio nonno nel 1940 (nella foto). Ricordo poi benissimo somali, etiopi ed eritrei che si davano appuntamento per gruppi alla Stazione Termini; le donne somale erano vestite in modo stupendo e colorato. E poi rivedevo ogni tanto i nostri parenti nati all’Asmara, dove erano poi rimasti come imprenditori. Ricordo anche i giovani ufficiali somali che venivano addestrati a Cesano anche dopo la fine dell’Amministrazione Fiduciaria della Somalia (1949-1960), a noi assegnata nel dopoguerra dall’ONU. E ricordo ancora il monopolio delle banane somale poi distrutto dall’United Fruits in nome del libero commercio. A Roma c’è ancora qualche vecchia drogheria del centro che reca sull’insegna la dicitura “generi coloniali”. Aggiungo infine che negli anni Sessanta nessuno a Roma era razzista: le nazioni africane sbocciavano come fiori, le colonie erano un capitolo chiuso, non avevamo avuto come i Francesi la guerra d’Algeria e l’ondata degli immigrati africani era ancora al di là da venire. Chi aveva cantato “Faccetta nera / sarai romana” certo non immaginava che un giorno qualcuno ci avrebbe preso alla lettera, senza peraltro scatenare un’altra guerra coloniale. In realtà tra noi e gli africani già nostri concittadini non c’e mai stata una vera comunicazione, e anche questo era un retaggio: il Fascismo da un lato era razzista, dall’altro imitava le leggi dell’Impero Romano, inclusivo per eccellenza, e noi giovani eravamo figli del nostro tempo. Oggi scommetto che nessuno distingue più le varie identità africane nella massa dell’immigrazione, ma io sapevo riconoscere benissimo i somali dagli eritrei o e li rispettavo come tali. Gli Abissini poi hanno a Roma da sempre le loro chiese cristiane di rito copto. Il vero problema era che nessuno di noi parlava con loro, anche se si sapeva che molti erano cittadini italiani, magari per aver fatto il servizio militare in Italia o perché sfuggiti alla dittatura di Mengistu in Etiopia e di Siad Barre in Somalia. E qui passiamo a dire quello che noi italiani *non* abbiamo fatto dopo il colonialismo. In sostanza, è mancata una politica estera coerente, capace di esercitare una vera influenza nelle aree da noi in precedenza amministrate. Non abbiamo saputo creare una vera democrazia e uno stato moderno in Somalia, dove Siad Barre ha imposto una dittatura (1969-1991) e ha contribuito a sfasciare uno stato tuttora a pezzi. Non abbiamo difeso l’Eritrea dall’annessione all’Etiopia (1962). Non abbiamo saputo difendere gli italiani residenti in Libia e cacciati da Gheddafi (1970). Non abbiamo saputo pacificare la Somalia nel 1992-93 (Operazione Ibis), anche se la colpa va attribuita alla’incoerente politica americana. Infine, nel 2011 Gheddafi non è stato difeso neanche da chi ancora pochi mesi prima l’aveva costosamente ospitato a Roma come grande amico. E infine, finora non abbiamo saputo realmente integrare non solo le masse d’immigrati africani non acculturate che ora affollano a vario titolo città e campagne d’Italia, ma nemmeno le ristrette comunità che avevamo ereditato da un recente passato coloniale, anche se per vari motivi esse erano assai meno influenti e corpose di quelle residenti in Francia o nel Regno Unito. E qui entra in scena il libro di Igiaba Scego, che vede le cose dal punto di vista proprio di quei cittadini con un’identità a cavallo di due culture ma sempre tenuti a distanza dalla diffidente Italia matrigna. Ma ne riparleremo presto.

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Libri Roma negataTitolo: Roma negata
Autore: Rino Bianchi, Igiaba Scego
Editore: Ediesse
Pagine: 176
Prezzo: 13 euro

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Prova generale impeccabile… Del sogno universale d’anarchia.

Provando a chiedere a cittadine e a cittadini italiani

che cosa pensino delle – Repubbliche partigiane –

scopriamo che pochi di loro sono a conoscenza

di quella mitica “esperienza di autogoverno democratico”

realizzata nel nostro Paese tra il 1944 e il 1945.

In tale vuoto di memoria storica si evidenzia l’importanza del libro

frutto di ammirevole lavoro di gruppo

curato e coordinato da Carlo Vallauri,

noto scrittore e docente universitario

di storia moderna e contemporanea.

Ringraziamo dunque Simonetta Annibali,

Fiammetta Fanizza  e Gabriella Spigarelli

– scrittrici esperte di ricerca storica-

e Paolo Saija – responsabile dell’archivio della UIL

e segretario del Comitato scientifico dell’Istituto

di studi sindacali per la storia del movimento operaio.-

Una squadra straordinaria che ci ha restituito

quel capitolo esemplare “dimenticato”

della nostra storia nazionale quando…

nell’infuriare della seconda guerra mondiale,

mentre le formazioni combattenti partigiane  

colpivano duramente l’esercito di occupazione Nazista,

donne e uomini dei movimenti antifascisti del Piemone,

Liguria, Lombardia, Val d’Ossola, Carnia,

Friuli occidentale ed Emilia,

davano vita a locali istituzioni democratiche:

Le mitiche “Repubbliche partigiane”

definite giustamente “lampi nelle tenebre”

che illuminano la pagina della Resistenza Italiana

come prova generale di autogoverno permanente.


Impresa incredibile al limite dell’utopia:

le prime organizzazioni democratiche

sul piano politico amministrativo

in un Paese sconvolto e dilaniato dalla follia della guerra

e da oltre un ventennio di dittatura fascista.

Oggi pensiamo increduli a quelle piccole grandi Repubbliche

sorte nell’unione di forze partigiane di diverso orientamento politico

in quelle zone d’Italia dove si concentrano e crescono

le forze del Fronte di Liberazione Nazionale

mentre a furor di popolo si promuovevano libere elezioni.

Un passaggio determinante e significativo

da una nazione ancora oppressa dalla dittatura fascista

a una nuova Italia libera e repubblicana.

In questo libro, realizzato con il contributo dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti,

tutto è ricostruito e raccontato con amore.

E non si può immaginare l’importanza degli allegati:

documenti, relazioni, notizie, esempi di stampa clandestina,

piantine e fotografie: pagine sorprendenti di storia vera

da leggere e rileggere per conoscere e comprendere…

un tempo tragico e leggendario di grandi imprese

grandi sogni, grandi speranze ma anche tempo di certezze

che non vacillano tra guerre mostruose e lotte di popolo.

E dunque ”romanzo vero” e prezioso

in tempi di oscure rimozioni e in attesa di progetti

che mostrino la volontà reale di cambiare il mondo.

Ad ogni costo.

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Libri LE REPUBBLICHE PARTIGIANE2 9788858109427Autore: Carlo Vallauri

Titolo: Le Repubbliche partigiane – Esperienze di autogoverno democratico

Pref. di G. Albertelli

Editori: GLF laterza, 2014

Collana: Percorsi [169]

Dati: pag. 387, con ill.

Prezzo: € 22,00

ISBN: 9788858109427

– disponibile anche in ebook

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 Libri LE REPUBBLICHE PARTIGIANE2 Foto-17-023-Il-Comando_-Partigiani-formazione-Matteotti-scendono-ad-Alba