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Sterling, il duro

06 LMB CD Sterling il duroSi parla molto di Kubrick, protagonista più che mai vivo (anche se deceduto) dell’ultimo festival di Venezia col suo “scandaloso” film sull’erotismo di coppia. E quando mai si è smesso di parlare di Kubrick? Quando mai i suoi film non hanno fatto scandalo? Ma non è lui il tema di questa rubrica. Kubrick usò più di una volta (esattamente due) un attore di cui poco si parlava ieri e pochissimo se ne parla oggi: Sterling Hayden. Già il suo nome allo spettatore comune non evoca subito la sua faccia; Hayden non fu mai divo né tanto meno fu rumoroso e fascinoso protagonista dei suoi anni d’oro. I suoi anni migliori furono gli anni ’50, ma anche gli anni più difficili.
Il senatore Mac Carthy con la sua caccia spietata al comunista fu il dramma di molti cineasti d’allora. Sterling, accusato d’essere un “rosso”, messo angosciosamente alle strette (o con noi o contro di noi!) cadde nella trappola del “pentitismo”, come fecero nomi più grossi del suo: si accusò e per ingraziarsi la commissione fece altri nomi di presunti “rossi”. Con questa medaglia di “delatore” sul petto poté continuare a lavorare ma i “puri”, i democratici, non gliela perdonarono mai e Hayden in fondo rimase sempre una figura emarginata. Kubrick lo “pescò” ai suoi esordi, col primo suo vero film: Rapina a mano armata del ’56, e ne fu il protagonista (Kubrick aveva pochi soldi e Hayden costava poco, era ancora in disgrazia).
Magnifico protagonista, scabro, essenziale gangster dalle maniere rudi e dai gesti spicci, con un mezzo sorriso affiorante su un viso coriaceo di contadino del Middle West. Sterling era già reduce dai suoi film migliori: Giungla d’asfalto del ’50 di John Huston, dove aveva perfezionato la sua figura di bracciante del crimine, figura amara e spietata in una storia fatalmente segnata alla rovina; in Johnny Guitar di Nicolas Ray del ‘54, aveva lasciato l’impronta indelebile di cupo pistolero forse nel primo film western “crepuscolare”, personaggio che rimase mitico e irripetibile. Eppure Hayden non fu mai “star”: colpa dei trascorsi politici?
Molti dicono colpa del suo carattere duro, scontroso, perfino sgradevole, come nei suoi film. Era famoso per la sua convinzione che il mestiere dell’attore non fosse cosa degna di un “uomo”, mestiere equivoco che forse faceva per necessità, saltuariamente. Questo carattere ispido e ombroso probabilmente piacque subito a Kubrick, anche lui rimasto celebre per la sua ossessiva misantropia: dopo Rapina a mano armata se ne ricordò nel ’64 per il suo capolavoro Il dottor Stranamore dove Sterling disegnò magnificamente i contorni del misogino generale impazzito che manda i bombardieri atomici sull’Unione Sovietica. E chi potrà dimenticare il legnoso, taciturno contadino Leo, alto e solido come una quercia, nella saga di Bertolucci Novecento del ’76?
Una poetica figura di uomo legato alla terra che sulla terra muore, incredibilmente simile al gangster di Giungla d’asfalto, struggente antieroe che muore in fuga verso il sogno del “ranch” perduto e della sua terra antica. Uomo e terra, la condizione primordiale che forse Sterling giudicava virile e degna di un uomo, piuttosto che le finzioni e i “giochi” del curioso mestiere d’attore.

da La Cineteca Dimenticata 11
Pagina 63
Orizzonti 1999-2000
Novembre-Gennaio

Conferenze che passione!

… Anime dannate di conferenzieri e diabolici dispensatori di infinite prolusioni, introduzioni, approfondimenti, precisazioni, parole, parole, parole, fiumi di parole, mentre i sadici torturatori dopo aver esordito con i rituali ed ingannevoli: “Sarò breve!”, infieriscono vispi e contenti sugli incauti spettatori ormai in preda, dopo i vari passamano oratori (anche i carnefici si danno il cambio!), alle inaudite sofferenze da piaghe di decubito ed eroiche resistenze vescicali!… Allora direte: perché ci si va?… Puro masochismo? Lucida follia? Sì, ma anche la vorace necessità di “esserci”, presenziare, ubiqui angeli derelitti del “partecipo, quindi sono!”.

Vittime volontarie intente a subire, esauste dal profluvio verbale, ma pure estasiate di condividere con l’autorità di turno o la celebrità di passaggio una pretesa parentela intellettuale, autoelevandosi partecipi di un circolo chiuso di elette e privilegiate menti superiori… dimenticando che pur fuori di quegli ammiccamenti e sorrisi complici, di quel cenno “rubato” al nume in conferenza, non si è nessuno e fuori da quell’Olimpo si torna alla propria domestica mediocrità!

Dove va Marina? Riflessioni su variazioni

  • di Luigi M. Bruno e Gianleonardo Latini –

GL AdN Dove va Marina Abramovic 2Ho messo qualche “Mi piace” e “Wow” per esprimere il mio disappunto sulle pretestuose critiche di un manifesto che lancia un messaggio, “We are all in the same boat” (Siamo tutti nella stessa barca), ben visibile nel contesto creativo di fratellanza, sulla bandiera bianca tenuta dalla stessa Abramovic ed è triste mettere delle limitazioni all’espressività se non si offende alcuna persona.

Tante parole da politici impreparati che pensano ad un attacco alle loro posizioni e questo mi ha fatto pensare che Marina Abramovic non ha bisogno di essere difesa, la sua arte parla da sola ed è il mercato che si prende cura del suo lavoro.

È l’arte e gli artisti che non vivono sotto i riflettori della notorietà che semmai hanno bisogno di essere difesi come specie a rischio di estinzione, nel ritenerli marginali.

Anche la scelta dell’arcivescovo Antonio Buoncristiani di non benedire il Drappellone per il Palio dell’Assunta che si è corso il 16 agosto a Siena fa riflettere sul ruolo ecumenico della chiesa cattolica verso il dipinto del 70enne artista, di origini ebraiche, Charles Szymkowicz che raffigura la Madonna con in braccio un cavallo invece del bambin Gesù. Un rifiuto motivato dal fatto che non rispetta l’iconografia mariana, ma è in carattere con il Palio.

Quando un’opera viene commissionata, come nel caso di Marina Abramovic, è il committente che deve essere soddisfatto, magari sotto ricatto, e non si può mettere in discussione il gusto quando, come nel caso di Charles Szymkowicz, il dipinto deve passare per l’approvazione di chi si ritiene custode di una verità.

La confusione nell’ambito dell’arte è tanta ma con la grande pubblicità sulla mostra fiorentina per molti è importante che palazzo Strozzi abbia aperto alle artiste, tanto da riaprire, grazie anche alla Rete, il dibattito sull’Arte contemporanea, ed ecco la richiesta di Luigi M. Bruno: “Marina Abramovic. Posso onestamente e spudoratamente rivolgere un onesto interrogativo agli amici di FB?… In breve: cosa ne pensate, con assoluta sincerità dell’artista serba e delle sue performance degli ultimi cinquant’anni? Non GL AdN Dove va Marina Abramovicvoglio assolutamente né infierire né assecondare giudizi negativi o positivi che potrebbero sembrare precostituiti…

La vostra preziosa opinione potrà portare chiarezza nella definitiva analisi di un fenomeno (ormai annoso per non dire “datato”) relativo alla Body-art e nella fattispecie relativo alle esperienze della Abramovic. Grazie.”

Seguita dalla riflessione di Giulia Sargenti (aka Giulia Lich): “Nella mia ignoranza (soprattutto nell’arte contemporanea) credo che questi movimenti abbiano avuto un senso quando nacquero (come rottura dal passato e ricerca di nuove espressioni artistiche, in linea con un mondo che si trasformava velocemente), ma che oggi siano ormai semplici repliche, ottime per fare “cassa” , ma fini a sé stesse. Nelle ultime performance mi sembra che ci sia più la ricerca di essere Abramovic, di non deludere il pubblico (cosa questa comune a molti altri, basta pensare alle provocazioni di Cattelan fatte tanto per essere Cattelan), accreditandosi sempre più come icona dell’arte. Inoltre, senza voler troppo infierire, constato come, paradossalmente, queste personalità femminili, che hanno messo il proprio corpo al centro della loro ricerca artistica, non siano sfuggite dalla trappola del botox come strumento di fuga dalla vecchiaia (vedi anche Yoko Ono), cadendo nel più banale conformismo.”

Ma anche Giovanni Gini Art ha espresso una sua perplessità: “Semmai sono loro a doverci spiegare quali sono i criteri e le logiche per cui si accosta la parola “Arte” a certi personaggi che dovrebbero invece essere catalogati come “illusionisti”, “imbonitori”, “fachiri” o al limite “performers”…”

In seguito Luigi Massimo Bruno non ha trovato altri commenti, oltre a quello di Claudia Bellocchi che è un flash emotivo e lampante e quello Giorgia Kokkini, commenti necessari per aprire un confronto sul suo post e rimanendo spiazzato dalle numerose analisi elogiative, sulle varie testate, delle “performance” della Abramovic afferma: “ora, io non penso di avere una mente retriva e limitata da squallido “pompier”, laddove vedo o intravedo una esperienza creativa legata alla trasformazione della materia in pura emozione lo riconosco senza attestarmi a superate maniere. Io penso che tutte le “esperienze” della Abramovic possono interessare magari la psicanalisi o qualsiasi terapia legata alla corporeità,magari anche alla filosofia naturista ed altro ancora,magari la meditazione trascendentale. Ma se l’opera d’arte è la presentazione, più o meno brutale e narcisistica, più o meno masochista, del proprio corpo come elemento risolutivo di materia estetica, io credo che possa essere tante cose ma non arte.”

Probabilmente i numerosi attestati elogiativi del valore come esperienza profonda e creativa, anche da chi non si è mai occupato di arte, è dovuto dal timore di esporsi ai sedicenti “addetti ai lavori” ed essere bollato come incompetente.

Negli ultimi decenni si è evidenziata l’arte come atto effimero già con Rothko, con i colori che si deteriorano e non hanno la stabilità delle tele dei precedenti maestri, poi c’è Christo con il suo impachettamento di elementi urbani e della natura a conferire all’opera l’esistenza programmata fino alle performance, lasciando dell’evento una documentazione sulla progettazione e la registrazione del compimento, ergendosi a rappresentazione laica del malessere contemporaneo, una sorta di immagine della devozione popolare, ben diverso dalle rappresentazioni sacre.

Sarà difficile che personaggi come la Abramovic o Cattelan possano lasciare una lezione atemporale che non sia legata a questa epoca di scontri e disagi, ma non si può fare a meno di rilevare che spesso sono i titoli l’opera stessa, e tutto si contiene e giustifica nel concetto o “messaggio” come si chiamava una volta. Comunque è eccessivo, se non ridicolo, infervorarsi per un evento del quale rimane una cartolina nel bookshop che non restituisce il disagio della performance, differenziandosi dalle pitture, anche se “classiche” di Charles Szymkowicz.

Il problema di una certa arte contemporanea è una sua sovraesposizione che rende certi artisti sopravvalutati tanto da ergerli ad artefici incontrastati del gusto e della moda, pretendendo del resto un solido e intoccabile piedistallo in contrasto stridente con l’effimero e il “consumo” della loro azione.

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Marina Abramović. The Cleaner
Dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019

Palazzo Strozzi
Firenze

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Qualcosa di più:
ARTE ASTRATTA E ARTE DISTRATTA
DISINCANTATA RIFLESSIONE SU CERTA ARTE CONTEMPORANEA
EVOCAZIONE ED AMBIGUITÀ NELL’OPERA D’ARTE

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Hirst e il “pallinismo”
I punti di vista su Hirst

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Dialoghi di un pittore “Out” e di una gallerista “In”: Ovvero come fare per ottenere i favori della lungimirante critica odierna

Lungo colloquio con la gallerista, signora D.S., sacerdotessa e vestale del minimalista-concettuale-ludico. Colloquio molto istruttivo che non posso non riassumere, come si dice, a caldo e sul tamburo. Essa salta a piè pari (more solito) valori tonali, cromatici, espressivi, insomma la pittura in sé, per darmi subito e a freddo dell’eccessivo, ridondante, retorico, barocco e decorativo. È un po’ troppo!… Certo, abituata alle unghie di cartoncino con uno spillo di colore, la poveretta annega in una alluvione di pittura, piani, struttura, dinamicità cromatiche ecc…. Tutte cose naturalmente da evitare con cura secondo lei. Ma sì, racconto troppo, racconto tutto: bisogna solo accennare, dice, il nostro è il tempo del non detto, del frammento, dell’allusione, o al massimo dell’aforisma enigmatico. Me ne ero accorto.

Tento di difendermi alludendo invece ad una mia imprescindibile necessità di raccontare e raccontarmi nell’urgenza di comunicare un mondo (che altro è un artista?). E quindi poco ha a che fare tutto ciò almeno con la taccia di “decorativo”. Quando mai infatti non sono stato accusato di far pittura angosciosa, “dura”, forte, senza alcuna concessione al “piacevole”? Ma la buona signora non se ne dà per inteso. Mi rimprovera di esprimere un clima di eccessiva tensione. E tutte le tetraggini ossessive visibili ai massimi livelli, dico, dagli animali squartati e impiccati e a tutte le frattaglie impietosamente elargite? Nonostante tutto credo in un fondamentale ottimismo nei confronti dell’uomo: per questo la figura spezzettata, crivellata, sezionata, nell’insieme tende a ricomporsi, pur se dolorosamente.

A questo punto costei mi bacchetta con l’inevitabile “dejà vu”! Va bene. Espressionismo? Sì. Barocco? Perché no? Ma come temperie eterna d’una umanità in dinamica instabilità, dico, barocco doloroso e nevrotico. Cosa c’è di più attuale? Ma lei va dritta come un carro armato; è la cultura del minimalismo, dell’accenno, della stesura vuota, della “traccia”, dell’ironia. Sì, non nego che non coltivo l’ironia quando dipingo (anche se spesso lo sono quando scrivo): è una corda che scavalco nell’urgenza del raccontare il senso e anche la bellezza del dolore. Bellezza del dolore? La signora è allibita: bieco e retrivo cattolicesimo? Ma parlo di una umanità volutamente e disperatamente superficiale, in fuga perenne da qualsiasi sosta anche solo riflessiva. Stavolta non obietta. Parlo della sacralità della figura, e del mio “horror vacui” che vuole ricollegarsi ad un medievalismo terrestre e disperato alla ricerca del Mistero.

Troppa letteratura, essa mi incalza, semplificare, semplificare! Dov’è l’uomo di oggi? M’interessa l’uomo in assoluto, rispondo, non l’uomo di oggi o di domani, l’ometto ironico che gioca con i cerini perché non sa accendere un fuoco vero.

Adesso mi rimprovera spazientita: non seguo la critica? Non mi informano gli altri artisti? Per cosa va di moda quest’anno, rispondo? L’originalità a tutti i costi, che squallida sciocchezza! E poi questa “avanguardia” puzza di muffa, è vera retorica dell’antiretorica, nemmeno originale: ci sottopone graziose “novità” che erano tali appena cento anni fa con i dadaisti! Vivere nel terrore del “già detto”! Così per paura di dir troppo (e forse per non saper che dire e come dirlo) non si dice nulla! Alludere, alludere, insiste. Ma non la sfiora il sospetto che dietro tantissimi sospiri interrotti ci sia pur l’incapacità, di forma, di contenuto e diciamo pure di sano mestiere, di respirare fino in fondo?… Ma lasciamo perdere. La buona signora mi congeda consigliandomi di guardarmi intorno e di seguire i tempi. Ma non è tempo di guardarsi dentro piuttosto? Invece di annusare sempre che aria “tira”? Seguire i tempi: purtroppo è inevitabile, e sono tempi in cui l’umanità ridotta a brandelli e annichilita da un’aria divertente e dispersiva da “luna-park” non vuole riconoscersi per quello che è, e si gioca a dadi l’anima nel girone dell’aleatorio. Tutto è aleatorio e casuale? No! Proprio no davvero!

Rimanga pure indietro a coltivare i suoi fantasmi, mi irride la signora D.S… C’è modo tuttavia, ribatto, di vivere il proprio tempo cercando, nel proprio piccolissimo, di combattere il vuoto, la violenza dell’inutile, la volgarità dell’omologazione, parlando, raccontando, comunicando anche la disperazione e la gioia di essere uomo. Ma dimenticavo, mi racconto troppo, non si deve. Troppo da dire, e quel che è peggio, lo dico tutto insieme. Lo riconosco, è un grande peccato di ingenuità oltre che di presunzione. Sforbiciando una mia tela, mi dice la signora (questa l’ho già sentita!) si potrebbero allestire almeno dieci dipinti autonomi. Già, è il tempo degli artisti miopi: vedere solo un particolare per volta, disinteressarsi del tutto.

Del resto, riconosco, con l’accenno si rischia poco: l’apodittico accenno col suo fascino sibillino, dicendo e non dicendo, sdegna la (rischiosissima!) discesa agli inferi dell’impietoso approfondimento, della verifica (spesso impietosa) dei propri limiti espressivi e tecnici. In definitiva, nessuno più rischia il poema quando con due strofe può elegantemente esibire lo stesso nulla.

Vado via sovraeccitato e triste. La signora D.S. ha il viso esausto e sodisfatto di chi ha compiuto l’opera meritoria di illuminare un povero artista sviato da idee confuse.

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Qualcosa di più:
ARTE ASTRATTA E ARTE DISTRATTA
DISINCANTATA RIFLESSIONE SU CERTA ARTE CONTEMPORANEA
EVOCAZIONE ED AMBIGUITÀ NELL’OPERA D’ARTE

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Digitale analogico materiale

Ascoltando un commentatore radiofonico stamane risento una importante considerazione da me ribadita già da un bel po’. Naturalmente si riparla del digitale, della rete o come volete chiamarla: già dissi come fosse un sorprendente paradosso che una odierna tecnologia stellare mettesse (come mai nella storia dell’umanità) a disposizione di chiunque e con estrema facilità una infinità di possibilità, informazioni, approfondimenti, ricerche, nozioni e commenti, insomma di cultura, e dall’altra che questa preziosa disponibilità non fosse affatto fruita dalla stragrande parte dei cultori della rete.

Come avere a disposizione una biblioteca planetaria di cui poi pochissimi ne approfittano. Diciamola tutta: il livello culturale con queste straordinarie sollecitazioni si è evoluto?.. No, affatto. E’ la rivincita del libro? E’ il trionfo della superficialità e della stupidità? E’ come avere le chiavi di una Ferrari e usarla solo per fare il giro dell’isolato!

Vedendo il traffico enorme delle comunicazioni inutili, volgari e delle risibili infinite sciocchezze e constatando (anche da interviste, risposte assurde anche a semplici quesiti e ridicoli commenti della cosiddetta gente comune) la bassissima, come non mai, qualità culturale che ci circonda, ci viene da chiedere perché questo accada.

A che serve la conoscenza a portata di tutti se poi il palazzo del sapere rimane deserto?… Sì, è la rivincita del libro, ma ahimè sempre per pochi.

LMB Libri Digitale analogico e materiale cover****************************

Reader, Come Home

Maryanne Wolf

Harper Collins, 2018, pp. 272
Prezzo: 24,99$

A fine settembre in italiano per l’edizioni Vita e Pensiero

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Digitare la conoscenza

Biblioteche: La carta in Rete

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Magazine di Spunti & Riflessioni sugli accadimenti culturali e sociali per confrontarsi e crescere con gli Altri con delle rubriche dedicate a: Roma che vivi e desideri – Oltre Roma che va verso il Mediterranea e Oltre l’Occidente, nel Mondo LatinoAmericano e informando sui Percorsi Italiani – Altri di Noi – Multimedialità tra Fotografia e Video, Mostre & Musei, Musica e Cinema, Danza e Teatro Scaffale – Bei Gesti