Archivi tag: Luigi M. Bruno

Post d’Arte: Pirandello e il “Salvator Mundi”

Fausto Pirandello
Una delle personalità di spicco, se non la più significativa, dell’Espressionismo figurativo italiano. Una pittura ricca di energia tonale calata nella cromia di toni caldi e terre dove gli elementi, figurativi e non, fremono, si scompongono e si ricompongono in un flusso di vitalità pur dolorosa nella sua intensità. C’è qualcosa del grottesco di Soutine e qualche folgorante baluginare di Scipione: ma è tutto suo l’amore tattile, sensuale, per il disporsi della materia e il suo totale compenetrarsi nello spazio che di esso vicendevolmente vive. Si parlò,negli anni ’60, di una sua evoluzione cubista della figura, ma a tale tardiva sperimentazione rivendico invece la qualità della sua cifra precedente, tra Scuola Romana, Kokoscha ed espressionismo, che ne fa il più rappresentativo artista, tra gli anni ’20 e ’30, di quel fervido periodo di rinnovamento figurativo.

Quando Ben Affleck regala un Pollock
…In un film visto sere fa in tivù (non importa il titolo, un film americano d’azione, con Ben Affleck). Alla fine della storia il protagonista dona alla ragazza un dipinto di Pollock, lei ne rimane allibita facendoci capire lo straordinario valore pecuniario (neanche fosse un Leonardo!) della tela.. Il fatto che mi ha sconvolto o magari rattristato è che nel film il protagonista possiede anche un originale di Renoir che in pratica viene valutato come un trascurabile “minore” di poco valore rispetto al Pollock… Ora, con tutto rispetto per Pollock e i suoi “sgocciolamenti” oso, sì, oso affermare che Renoir era ed è un grande e Pollock, se vuoi, un curioso sperimentatore nevrotico e alcolizzato che forse gode di eccessiva considerazione, messo tra i “numi” e i geni artistici del novecento… Ma questo piccolo esempio la dice lunga sui tempi che viviamo… Lucio fontana stravince su, che so, su Perugino, o Mirò mortifica Delacroix.. salute a noi!

Un presunto per 450 milioni
Il “Salvator Mundi” opera (presunta) di Leonardo è stata venduta per 450 milioni di $ ovviamente ad un anonimo e quindi è diventata invisibile perché un museo avrebbe avuto tutto l’interesse a pubblicizzare l’acquisto…. Che dire? Una piccola sconfortante considerazione: ormai viviamo in una società incapace di creare non dico il Bello e l’Assoluto, ma di creare comunque, una società arida che vive nella violenza come unica affermazione dell’individuo e nell’acquisizione dei beni materiali (soldi e potenza), e quindi non può far altro, come un vecchio ricco e impotente, che comprare la bellezza, la giovinezza dello spirito, la pura creatività .Non rimane, come in un agone sportivo, che la gara all’asta a chi spende di più ricevendone encomi, applausi (e invidia)! L’unica arte vera e concreta dei nostri tempi? Il restauro, non resta che restaurare tutto, ma proprio tutto: ogni cosa che appartiene al passato, anche mediocre e di maniera, viene tesaurizzata e ammirata come testimonianza di un’epoca aurea e leggendaria… L’uomo ha venduto, da tempo, la sua anima, al Dio Denaro e alla sua arida logica. Non resta che raccogliere tracce e reperti del passato e metterli in cassaforte… E pensare che in altri tempi non ci si pensava una volta a buttar giù una scultura, un palazzo, a coprire un affresco per l’urgenza del nuovo talento… e nessuno si sognava di gridare al misfatto!

Post d’Arte: Artemisia e le altre

Artemisia Gentileschi (1593-1653)

… Di Artemisia si è letto e si è scritto di tutto: artista vittima dei suoi tempi maschilisti, icona del protofemminismo, donna ribelle e coraggiosa, o oltretutto pittrice valente…Io stesso già ne scrissi molti anni fa in  una mia rubrica. L’arte e la moda sono un dubbio connubio ma tant’è!… da Artemisia non si sfugge: libri, saggi, racconti, film, credo che manchi solo un melodramma dell’artista-eroina cinquecentesca. Dissi allora, e ribadisco, quanto fosse curioso e rivelatore il suo prediligere in più di un suo lavoro la rappresentazione cruda e sanguinaria dello “scannamento” di Oloferne da parte dell’eroica Giuditta; esplicita anche se non confessata rivalsa della violenza subita nella realtà: una specie di vendetta in chiave artistica che potrebbero spiegare meglio di me austeri psicanalisti… Ma aldilà dell’episodio di cronaca e delle sue conseguenze, parliamo solo un pò dell’effettivo valore pittorico dell’Artemisia: il raffronto con il padre Orazio è tutto a favore di quest’ultimo (per me)..dalle cupe e tetre atmosfere intrise di sangue e di orrore della figlia, scene appessantite da un caravaggismo di maniera, ricco di orpelli e di sovrabbondanza decorativa, si passa invece al chiarore aurorale dei dipinti paterni dove l’abisso drammatico si stempera in un rigore compositivo e in una qualità plastica che ne fa del Gentileschi non un pedissequo caravaggesco ma un autore di spirito e intenzioni originalissimi.

Elisabetta Sirani (1638-1665)

Artista nel pieno della stagione barocca. Il suo, un barocco “languoroso” e sentimentale, con auguste tracce di Guido Reni. Pittura più devozionale che originale, in riga più con i parroci controriformisti che con la rivoluzione caravaggesca. Trionfo della Santa Maternità e della salottiera disponibilità al rassicurante conformismo di una dolcezza volta allo Spirito con fiducia fanciullesca.

Lucrina Fetti (1600-1651)

Artista della corte mantovana dei Gonzaga, fattasi suora di sant’Orsola, esplicò una pittura tutta sua, devozionale sì, ma di robusta struttura chiaroscurale dove luce, natura e personaggi vivono di ariosità e consonanza quasi musicale. Fantasia la sua, frutto di meditazione monacale ma arricchita da singolari invenzioni barocche ( vedi “il Sogno di Giacobbe”) di gusto scenografico.

Orsola Maddalena Caccia (1596-1676)

Anche lei suora e pittrice, deliziosa decoratrice di trionfi e festoni, resta nell’ambito di un barocchismo scenografico e teatrale. Le sue figure vivono immerse in una specie di compassata malinconia dove tutto è previsto e stabilito, e un vago ottimismo le arrotonda e le infonda in una specie di giardino incantato.

Post d’Arte: da Pasolini a Pietro Marussig

Pasolini

Intelligente senz’altro, ma discutibile su molti piani (e non solo per le sue scelte di vita): non è tutto oro poetico che luccica il suo, fatta eccezione per “Le ceneri di Gramsci” di foscoliana malinconia. Ma non è vero, come diceva Moravia, che è stato il più grande poeta del novecento… preferisco Alfonso Gatto, Umberto Saba, Ungaretti, Dino Campana e altri ancora… Mi interessava fare il suo ritratto, non tanto per il suo valore di scrittore, ma per l’oscurità della sua tragica vitalità.

Preraffaelliti

Solo una pretesa intellettuale il desiderio dei preraffaelliti di “resuscitare” la gloriosa pittura del ‘400 italiano… naturalmente era impossibile, così che la loro estetica si configura nelle ultime frange del Romanticismo fine ottocento, pregnante di decadentismo letterario. Ma aldilà di questo peccato originale la loro pittura è degna di lode per la capacità tecnica e per una certa dimensione dolcemente crepuscolare che ne fà la loro cifra.

Quale pittura

Vedo che in pittura torna a trionfare il Surrealismo, Simbolismo, Misterismo e tutti i labirinti enigmatici possibili… Non so, ma aldilà delle indubbie capacità tecniche avverto “contorcinamenti” cervellotici magari stupefacenti, ma che non mi commuovono… E’ come trovarsi in un salotto di gente raffinata e colta (anche troppo!) ed aver voglia improvvisamente, di scambiare qualche battuta liberatoria con il cameriere che ci porta il thè!

Emilio Longoni

Delizioso intimismo sulla traccia tutta tardo ottocentesca dell’attenzione per gli umili e la piccola quotidianità (Palizzi, Toma, Mancini), qualità del resto comune con l’estetica dei macchiaioli e del loro lirico provincialismo.

Emile Vernon (1872-1919)

Ecco l’esempio, di quei tempi, di una  pittura  pur tenera e affettuosa nel ricordo, ma tipicamente corriva da ebdomadario per modiste.

Pietro Marussig, 1879-1937, “Figura al balcone”

C’è qualcosa di ingenuo, o se preferite di infantile, nelle evidenti sproporzioni o nel taglio grossolano di alcune parti, temo non tutte volute e architettate… Ma in tutto ciò vi  è un’aria di domestica semplicità e di una poesia del quotidiano che rimanda inevitabilmente ad altri tempi e a trascorsi ambiti familiari evocati con naturalezza e sincerità..

Post d’Arte: da Caravaggio ai Fayyum

Caravaggio e Controriforma

Caravaggio, l’eroe della Controriforma (malgré lui!). L’artista che ridiede dignità umana e semplicità spirituale alla santità rivelata nella quotidianità e nella concretezza di uomini e donne “veri” e non più come meravigliose icone trascendentali… E’ buffo che poi proprio questi che erano i valori perseguiti dalla severa Controriforma trovassero nei prelati stessi scandalo e disappunto..

L’arte ai posteri

I mediocri e sciatti prodotti artistici che il nostro tempo lascerà ai cosiddetti posteri (arte povera, poverissima, vani e cervellotici giochi concettuali, performance assurde e grottesche) sono la traccia veritiera di questa nostra umanità dissacrata, impoverita, umiliata, che ignora o ha dimenticato di sè e del mondo, la grande ricchezza della nostra pur breve esistenza: il senso profondo e assoluto di appartenenza al miracolo del Creato… I grandi artisti del passato, pur vivendo meno e meno bene di noi, avevano in sé questa certezza e questa forza che dava alle loro opere un senso di eternità e alla loro pur breve vita una traccia imperitura..

L’equivoco Iperrealista

L’Iperrealismo è un equivoco concettuale basato sul forsennato virtuosismo in gara con la fotografia, ma che non produce nessuna vera emozione creativa se non lo stupore di quanto tempo e lavoro venga sottratto alla vera ricerca estetica.

Ritrattistica Fayyum

La serie dei ritratti del Fayyum mi ha sempre affascinato: prodotto della tardiva ritrattistica romana, la magnifica qualità pittorica di questi dipinti, addirittura commoventi nel rievocare ancor vivissima l’intensità psicologica degli uomini e delle donne trapassati, mi fanno sentire aldilà del tempo vicini e ancor vitali nella loro malinconia, lo sperare, l’esistere del loro quotidiano: ecco la vera bellezza, perché vera e disarmata… Eppure, a pensarci, sono solo ritratti funebri di povere mummie dimenticate… pensate alle squallide fotografie grigie e scolorite che illustrano i defunti nei nostri cimiteri!

Claudia Bellocchi e la Distopia Distopika

Una visione tendenzialmente tragica del futuro, come quella descritta in “1984” da George Orwell, è distopia, termine coniato nell’800 dal filosofo ed economista britannico John Stuart Mill, per contrapporsi a quella ottimistica dell’utopia.

È sulla distopia che a 25 anni David Foster Wallace pubblicava “Infinite Jest”, uno di quei libri di cui si parla tanto, ma che ben pochi hanno letto, come il sottoscritto che non lo ha neanche sfogliato e non ne va fiero, ma bisogna fare delle scelte, per riflettere sul vivere o meglio sopravvivere alle peggiori catastrofi che potranno avvolgere la Terra.

Anche i disegni di Moebius, attualmente in mostra presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, si addentrano nella distopia, in una visione arcaica protesa nel futuro, con personaggi robotici, ma anche grottescamente umani.

Di Prince, a 5 anni dalla sua morte, viene proposto il suo “Welcome 2 America” una visione distopica della vita, trovando in George Orwell le risposte su una realtà informativa manipolata.

Coincidenze o forse solo la maturazione dei tempi per riflettere sulle distorsioni climatiche e sui mutamenti genetici, su questi temi interviene Claudia Bellocchi con una serie di lavori esposti nello spazio di Villino Corsini (Villa Pamphilj).

Niente paesaggi, unica ambientazione della tragedia per questi personaggi in mutazione è la tela di canapa grezza.

Luigi M. Bruno, nel suo scritto di presentazione alla mostra, afferma che “l’antiutopia dell’artista Bellocchi denuncia senza remore e abbellimenti la febbre nascosta, le latenti mostruosità che si nutrono dei peggiori sentimenti di un’anima malata che tenta coi sorrisi spavaldi alla don Rodrigo di celare il bubbone della peste! Ma solo affrontando l’anima nera che si ciba dei rifiuti ai margini di una umanità pur disumana, crudele e cieca nella sua folle indifferenza, solo guardando fino in fondo l’abisso che è sotto i nostri passi, senza sogni gratificanti e ingannevoli, forse troveremo l’uscita.”

Un’antiutopia dalla quale nascono personaggi come Madame o Ominide, Anatomopatologia o Franz, con un’esuberanza capace di rievocare quel prof. Kranz grottescamente vissuto da Paolo Villaggio, tracciati con il carboncino e avvolti da un’atmosfera tetrobronzea.

Un mondo dove l’eloquenza sarà una di quelle capacità che verranno meno in un futuro distopico basato sul conflitto e non sul dialogo, sulla prepotenza del grido e non sulla pacatezza.

Una distopia che minaccia il futuro dell’Afghanistan, perversa sugli abitanti di Hong Kong e sulle comunità LGBTQ non solo in Polonia e Ungheria.

Una mostra quella di Claudia Bellocchi capace di far riflettere, raffigurando la distopia come una deformità di sinistro futuro capace di condizionare negativamente la società se l’individuo rimane indifferente alle altrui tragedie.


Claudia Bellocchi
Distopika

Dal 4 al 19 settembre 2021

Biblioteca di Villino Corsini (Villa Pamphilj).
Roma

Informazioni:
tel. 06/45460691


Catalogo