Salvaguardare la diversità culturale, perché le differenze sono un arricchimento per la società e non un motivo di separazione tra le persone, bandendo ogni forma di omologazione, per aprirsi ai cambiamenti culturali.
Il 21 maggio si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale della Diversità Culturale, proclamata dalle Nazioni Unite nel 2002, subito dopo l’adozione da parte dell’Unesco della Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale. Nel testo Razza e Storia scritto nel 1952 per l’Unesco, l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss propone che la protezione della diversità culturale non resti confinata nella preservazione dello status quo: è “la diversità stessa che deve essere salvata, non la sua manifestazione e la sua forma visibile in cui ogni epoca ha racchiuso questa diversità”.
Una Diversità che non può essere un handicap, né relegata in un habitat protetto, ma deve interagire con le altre differenze. Differenze che non possono essere causa di conflitti, come il voler imburrare da sotto a sopra o viceversa, semplifica magistralmente Dr. Seuss nel suo libro per “ragazzi” La battaglia del burro per stigmatizzare la stupidità umana nel trovare differenze negli altri per ritenerli antipatici o nemici, solo perché non si comprende il loro modo di vivere.
Parlare un altro idioma o apprezzare un cibo piuttosto che un altro non può essere causa di separazione. Il prossimo non può essere visto con sospetto a priori, ma occorre provare a conoscerlo ed è strano che questa avversità si possa riscontrare in ogni ambito sociale.
Essere diffidenti verso un’espressività pittorica che non si limita all’arte che si compiace di sé stessa ma affronta tematiche sociali per rivendicare pari dignità ad ogni singola persona è un comportamento di una superficialità sconcertante. Una diffidenza che non emerge quando le stesse tematiche vengono affrontate con le parole, anzi avviene l’opposto.
Un esempio si è avuto lo scorso 21 maggio, nella suggestiva sala conferenze della Dante Alighieri, sotto il patrocinio dalla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco con la pièce teatrale Notte Nera, interpretato con pathos da Luisa Stagni, con la quale l’autrice Claudia Bellocchi affronta il tema dell’abuso e maltrattamento minorile.
Un monologo struggente che ha stimolato un dibattito sull’educazione nell’ambito scolastico dove il bullismo è una forma di abuso e dove varie realtà sociali cercano di operare per superare le differenze che gruppi sociali riscontrano in un singolo individuo nel suo essere schivo e quindi emarginato per la sua “diversità”.
La scrittura di Claudia Bellocchi sul tema dell’abuso fa parte di un più ampio discorso espressivo che coniuga l’opera pittorica e la videoinstallazione e che con la parola riesce ad offrire una visualità completa delle emozioni che tale violenza, non solo fisica, viene esercitata come prevaricazione di una persona su di un’altra.
Alla scrittura viene affidata tutta quella libertà espressiva, quando non viene censurata, che all’arte visiva viene negata se opera nel sociale e non si limita ad offrirsi come bell’oggetto o intervenire con performance provocatoria.
Alle diversità espressive nelle coniugazioni tematiche che introducono le problematiche della violenza, si affianca l’ipovedenza dell’attrice Luisa Stagni, protagonista della pièce, per comprendere le mille sfaccettature nell’approcciarsi, con differenti modalità, ad un pluralismo culturale al porsi verso il prossimo.
Limitare l’espressività ostacola il dialogo e la comprensione per una pacifica convivenza tra comunità e singoli.