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Migrazione: Un monopolio libico

La migrazione anche in Libia sta diventando un affare per ogni contendente e non solo per la gestione discutibile dei 34 centri di detenzione noti, ma anche per la possibilità della Guardia costiera libica e per le vari milizie, che si contendono un fazzoletto di potere, di lucrare sul traffico di esseri umani.

Un grande affare che non poteva essere lasciato in mano ai soli trafficanti, ma ora anche i libici, di tutte le parti, hanno pensato che è ora prendere in mano tutta la filiera: dall’organizzazione dell’imbarco alla “accoglienza”, grazie all’istituzione di una personale zona di soccorso (Sar – Search And Rescue) libica.

Una zona di soccorso che rende più Mediterraneo sotto il controllo di Tripoli ed ecco che riemergono le antiche ambizioni di Gheddafi nell’ ampliare la propria sovranità sulle acque territoriali., comportando, stando alle mappe in uso alla missione EuNavFor Med (Sophia), il possibile arretramento dell’area d’intervenire delle Ong da 12 miglia a fino 97 miglia dalla costa libica.

I migranti che arrivano in Libia possono venire rinchiusi nelle strutture sotto il controllo di Tripoli o di Tobruch, ma anche riuscire a prendere il mare per l’ultima tappa verso l’Europa.

Questo poteva succedere prima, ora tutti possono essere imbarcati su gommoni e bagnarole, per poi essere ripescati dalla Guardia costiera ed essere rinchiusi nelle strutture di detenzione, in attesa di essere venduti come schiavi o ceduti nuovamente agli scafisti.

In Libia si sta collaudando la migrazione a moto perpetuo, una sorta di criceto che corre nella ruota, sino ad esaurimento. Persone nella ruota della fortuna, tra le strutture governative libiche e in balia dei trafficanti, dove solo il banco vince.

L’Occidente ha creduto di essere stato tanto furbo a delegare ad altri il ruolo di sentinella dei propri confini con accordi e intese che hanno coinvolto governi con problematiche interazioni con il prossimo e personali interpretazioni del concetto di Diritti umani come quello di Khartoum (2014) e il più recente con la Turchia, ma anche a Rabat (2006) e ancor prima a Budapest (1993).

Tanti processi, accordi e trattati con governanti democraticamente discutibili, che hanno e stanno impegnando ingenti fondi europei che sarebbero stati meglio utilizzati se gestiti direttamente per l’accoglienza e per lo sviluppo nei luoghi d’origine, invece di foraggiare i signorotti locali e i governi autoritari.

Il ministro degli interni italiano, Marco Minniti, continua ha esternare la sua soddisfazione nell’andamento degli interventi italo-libici, per controllare il controllo meridionale dei confini europei in Libia. Confini che coinvolgono anche il Niger, il Mali e il Ciad, tre dei cinque paesi che tentano di organizzare una forza d’intervento contro i gruppi terroristici jihadisti, ma per ora è riuscito a guerreggiare con le Ong piuttosto che sconfiggere gli scafisti.

Forse è l’attività “diplomatica” francese, con la Ue nel sostenere Serraj e con l’Egitto per Haftar, che ha scrollato l’Italia, decidendo di riportare la rappresentanza diplomatica al Cario al completo, nominando l’ambasciatore Giampaolo Cantini.

Una decisione che potrebbe andare a discapito della verità sul caso Giulio Regeni, ma dovrebbe aiutare il governo italiano a dialogare con il generale Haftar per raggiungere un accordo sulla questione migratoria.

Le agenzie europee e il governo italiano non si limitano ai conti del ragioniere, disumanizzando le persone che hanno affrontato e continuano ad affrontare mille ostacoli, ma oltre a cercare un accordo con i “due governi” libici, hanno negoziato una riduzione di flussi migratori, grazie all’elargizione  di varie forme di aiuti comprese di forniture ospedaliere a Sabratha, con le varie milizie.

Una disumanizzazione che ha ridimensionato quest’umanità in fuga in numeri o a ingombri come è successo nella guerriglia in una Roma agostana a piazza Indipendenza.

Persone che diventano per la politica solo un problema e alle quali nessuno si interessa alle loro singole storie se non in rari documentari come in “Too much stress from my heart” di Ludovica Lirosi che ha realizzato e prodotto tra il nord Africa e il sud dell’Italia.

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Qualcosa di più:

Migrazione: non bastano le pacche sulle spalle
Migrazione: umanità sofferente tra due fuochi
Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Migrazione: Non bastano le pacche sulle spalle

Per anni l’Europa non ha mostrato interesse alla questione migratoria che coinvolgeva le “frontiere” del Mediterraneo, poi sono cominciati i rimproveri per il poco impegno italiano nello schedare e nel non riuscire a tenere quei fuggitivi in Italia, nel rispetto della convenzione di Dublino, ma solo da poco si è inaugurata l’era delle pacche sulle spalle, dei ringraziamenti per il lavoro svolto.

Ora però sarebbe opportuno andare oltre la semplice rassicurazione del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker nell’affermare che l’Italia può “continuare a contare sulla solidarietà europea” sul fronte della crisi dei migranti.

Un piccolo passo è stato compiuto da Macron, europeista e sovranista, con la sua critica ai paesi dell’est che hanno confuso l’Unione europea come un emporio dove fare la spesa senza pagare la merce acquistata, mostrando cinismo nel trattare la questione dei rifugiati.

Il presidente francese pone comunque dei distinguo tra i profughi dalle violenze e quelli della carestie, come se morire di fame e sete non fosse una violenza pari a quella di trovarsi vittime di conflitti, solo per ribadire, come aveva fatto Hollande, che la Francia si attiene al nuovo trigono del motto della Rivoluzione francese in “Liberté, Égalité, Telibecchitè”, trovando la Fraternité obsoleta, chiudendo da tempo le frontiere.

Con il vertice di Parigi tra Italia, Francia e Germania, il ministro degli interni italiano ha posto la questione di un codice per le Ong impegnate nel Mediterraneo, oltre ad indirizzare le navi su altri porti per lo sbarco dei migranti ed a maggiori pressioni sui paesi europei non impegnati nella ricollocazione.

Un vertice quello parigino che si è posto come preparatorio a quello del G20 a Amburgo, ma soprattutto all’incontro informale dei ministri dell’Interno dell’Unione a Tallinn per superare le minacce italiane di chiudere i porti italiani alle navi straniere, con una revisione del Trattato di Dublino.

Mentre l’Italia minaccia la chiusura dei porti, Francia e Spagna, insieme ad altri paesi che non si affacciano sul Mediterraneo, sprangano i loro approdi e l’Austria mette in scena un spot elettorale, poi rientrato, con il voler schierare i blindati sulla frontiera del Brennero, come dimostrazione di tanta ammirazione e empatia per lo sforzo italiano.

Anche l’avvertimento del commissario alla Migrazione Dimitris Avramopoulos sul “Ricollocarli o ci saranno sanzioni” gridata contro l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca, pronto a proporre l’apertura di procedure d’infrazione, rimane solo una vaga minaccia.

A Berlino, al vertice preparatorio del G20, il primo ministro italiano Paolo Gentiloni ringrazia “i leader per la solidarietà e la comprensione per le difficoltà che dobbiamo affrontare in comune”, ma aggiunge anche che dopo tante espressioni di solidarietà è ora di passare ad un aiuto più concreto.

Il concreto aiuto che l’Italia si aspetta, viene specificato dal ministro degli interni Marco Minniti, in un maggiore coinvolgimento europeo nell’ospitalità dei profughi e nell’impegno di guardare all’Africa come soluzione e non come fonte del problema. Minniti all’incontro di Tallinn non ha commosso nessuno e vedere l’Africa come una risorsa rimane difficile con una Libia ufficialmente divisa in due governi e centinaia di tribù e milizie, oltre al fatto che la Cina si è radicata proprio negli stati africani da dove proviene gran parte della migrazione.

La Cina ha fatto dell’Africa, in questi ultimi decenni, un suo territorio d’oltre oceano, con gli enormi scambi di dare avere che difficilmente portano del benessere alle popolazioni native che continuano a migrare, anche per la cessione dei terreni più fertili alle compagnie cinesi, oltre ai conflitti per territori e ricchezze.

Tra pacche sulle spalle, tante parole d’incoraggiamento, ma soprattutto risatine di arroccamenti europei e porte chiuse, interviene Emma Bonino affermando che siamo stati noi a offrire i nostri porti, nell’ambito dell’operazione europea Triton, per gli sbarchi, ed ora è complicato disfare quell’accordo.

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