Archivi tag: Marco Pasquali

Quando il Bio me lo faccio Io

Cito da Varrone, De Re Rustica, I.28

Hoc ter noviens cantare iubet, terram tangere, despuere, ieiunum cantare. Multa, inquam, item alia miracula apud Sasernas invenies, quae omnia sunt diversa ab agri cultura et ideo repudianda. Quasi vero, inquit, non apud ceteros quoque scriptores talia reperiantur.

“Prescrive di cantare nove volte per tre volte, toccar terra, sputare, cantare a digiuno. Di questi ‘miracoli’ ne troverai molti altri se segui i Saserna, cosa ben diversa dall’agricolura e per questo da non accettare. Quasi sicuramente questa roba non la troveresti in altri scrittori”.

Varrone scrisse duemila anni fa un buon manuale di agricoltura (il De re rustica, appunto), sulle orme di un analogo trattato di Catone il vecchio, mentre i Saserna (padre e figlio) ne avevano scritto un altro (perduto, ma citato anche da Columella, altro agrario) dove, da buoni etruschi, davano ampio spazio anche a pratiche magiche che il razionalista Varrone rimanda al mittente. Ed ora, dopo duemila anni, al Senato c’è voluta l’opposizione della senatrice a vita Elena Cattaneo per aprire gli occhi sulla differenza tra agricoltura biologica e agricoltura biodinamica, allegramente omologate da una maggioranza assoluta di senatori non è chiaro se ingenui o disinformati. Equiparare i due metodi è poco scientifico, semplicemente perché l’agricoltura biodinamica si basa su presupposti scientificamente non misurabili con il metodo sperimentale di Galileo. Non solo: fermo restando il presupposto che numerosi prodotti biodinamici siano anche biologici, oggi questo prerequisito è venuto a mancare nel momento in cui operano nuove ditte oltre quella storica, la centenaria germanica Demeter, la quale finora ha garantito la qualità dei suoi prodotti. Quello che è da notare è che siccome alla Demeter sono affiliati alcuni produttori sudtirolesi, nella stampa locale è attiva una sorta di lobby a difesa di un prodotto culturalmente germanico (1). In effetti Rudolf Steiner, affascinante quanto bizzarra figura di filosofo, mistico, scrittore, pedagogista nonché fondatore anche dell’agricoltura biodinamica, è sicuramente più popolare nei paesi di cultura tedesca, e le sue scuole “Metodo Waldorf” da noi sono frequentate solo da un’élite benestante. Sia chiaro che uno è libero di credere in quello che vuole; al massimo si svilupperanno pratiche inutili ai fini della produttività agricola, come seguire influenze astrali o affidarsi a pratiche esoteriche. Altro è però chiedere i contributi allo Stato e l’inserimento della biodinamica nelle cattedre di agraria, e qui la Scienza deve dire la sua. Questo è invece il testo che è stato approvato al Senato nel Ddl:

“Ai fini della presente legge, i metodi di produzione basati su preparati e specifici disciplinari applicati nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell’Unione europea e delle norme nazionali in materia di agricoltura biologica sono equiparati al metodo di agricoltura biologica. Sono a tal fine equiparati il metodo dell’agricoltura biodinamica ed i metodi che, avendone fatta richiesta secondo le procedure fissate dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con apposito decreto, prevedano il rispetto delle disposizioni di cui al primo periodo”.

Notare che il metodo agricolo biologico è riconosciuto da circa trent’anni ed è regolato secondo rigide norme dell’UE, mentre il metodo biodinamico non è altrettanto regolamentato. A questo punto, visto che il Ddl deve ripassare alla Camera per l’approvazione, basterebbe scorporare i due termini invece di omologarli. Vedremo se Galileo conta ancora qualcosa e se il pensiero scientifico italiano riesce ancora a farsi capire dalla gente. Col Covid-19 si è visto di tutto, quindi stiamo in guardia!


Note:

  1. Https://www.salto.bz/de/article/07062021/che-male-fa-il-biodinamico

****************************

Vecchie e nuove censure

L’on. Franceschini, attuale ministro della Cultura, ha decretato la fine della censura cinematografia in Italia. Sì, perché era ancora in vigore, anche se decenni di luci rosse facevano credere nella sua desuetudine. In realtà le commissioni di revisione cinematografica (questo il nome tecnico) si sono spesso accanite sui film d’autore: per l’Italia citiamo Blow-Up di Antonioni (1967), L’urlo di Tinto Brass (1968), L’ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (1972) e Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (1975), La chiave di Tinto Brass (1983) e i meno noti Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco (1998) e Morituris di Raffaele Picchio (2011). Tra l’altro, se un pretore stabiliva poi il sequestro nella sua zona, il provvedimento era esteso automaticamente a tutto il territorio nazionale, come se il pubblico di Roma o Milano fosse omologo di una remota provincia italica. Benvenga dunque la fine di una istituzione anacronistica e anche inutile, visto che per anni si è accanita sul sesso ma troppo spesso trascurando la violenza. Ma non fatevi troppe illusioni: nel momento in cui viene meno la centralità della sala cinematografica e la visione si sposta sulle grandi piattaforme multimediali per famiglie, saranno le multinazionali dell’audiovisivo a decidere cosa sia lecito vedere e cosa no. E in tempi di politically correct, sarà un bagno di sangue. Chi avrà il coraggio di proiettare La ciociara (1960) senza evitare di offendere i soldati marocchini? Sia chiaro: la censura di mercato è sempre esistita e proprio negli Stati Uniti fu elaborato il Codice Hays, esempio unico ma efficace di censura esterna alle istituzioni governative, in pratica un patto di ferro tra produttori per evitare grane legali e perdere i soldi del pubblico pagante. Lo stesso in fondo avviene ora con le nuove americane regole sulle “quote” di minoranze varie da inserire nelle produzioni cinematografiche (su cui ho già parlato) e le varie regole che evitano di offendere o discriminare donne, afroamericani, lgbtq+ e altro, col risultato di un appiattimento etico e artistico o – al contrario – di scelte estreme. Ho letto p.es. che Cenerentola sarà riscritto dalla sceneggiatrice e regista Kay Cannon, in anteprima esclusiva su Amazon Prime nel settembre 2021: la classica fata madrina sarà interpretata da Billy Porter, attore gay afroamericano. Kay Cannon afferma che Billy Porter si presta benissimo al ruolo che gli è stato affidato; stiamo parlando di un bravissimo attore oltre che splendido trasformista. “Si adatta così bene al ruolo”, ha continuato Cannon. “Per me, Billy è magico”. Questo dice il comunicato ufficiale. Personalmente non mi pronuncio prima di aver visto il film: censura significa pregiudizio o semplicemente non saper vedere in profondità. Ricordo quel bel film di Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House (1982): il disegnatore Neville si illude di aver compreso i meccanismi della storia, ma sarà solo una illusione. Come commenta lo stesso regista “Neville ritrae ciò che vede e non ciò che sa”. Esattamente lo stesso meccanismo mentale del censore.

Viaggiare comunque

Marzo 2020, cosa è successo lo sappiamo tutti e in parte ci stiamo ancora dentro, pur senza le scene surreali dell’altr’anno. Ne è sorta anche una curiosa letteratura “di reclusione”, fatta di diari, teatro da camera (esattamente), romanzi claustrofobici e coppie scoppiate. Qui l’idea è antica e attuale allo stesso tempo: per quattordici giorni nipoti e bisnipoti ascoltano per un’ora al giorno le storie narrate dagli anziani. Solo che non stiamo davanti al caminetto, né un aedo narra le gesta di Odisseo; son tutti chiusi in casa dal Covid e si comunica via Zoom o Skype. Il contatto fisico è precluso, ma la voglia di ascoltare una storia resta e la tecnologia permette la diretta video, quindi tutti puntuali all’appuntamento giornaliero. Una volta pochi viaggiavano, ma i loro diari si vendevano bene; pochi sapevano leggere, ma chi leggeva davanti agli altri aveva un uditorio attento. Occasione è il racconto di un viaggio fatto in altri tempi con un pulmino Wolksvagen; anni 60-70, ma per i nipotini è oltre mezzo secolo, dalla Grecia alla Siria passando per la Turchia. Niente navigatore, quindi ogni tanto ci si perde; difficile spiegarlo ai nipotini 2.0. Ma ogni tappa è occasione per ampliare il discorso narrando un mito greco una volta giunti a Delfi, descrivere gli odori del bazar degli Egiziani a Istanbul, cercare di immaginare la guerra di Troia una volta passati all’altra sponda del Dardanelli, rispondere alle domande dei nipoti ma anche far loro capire che lo street food turco tenuto in bidoni di ferro è ben più gustoso della zuppa servita in Bulgaria e chiamata in slavo “sboba” (!). E poi la sorpresa continua: oggi siamo abituati a sapere tutto dall’internet, ma ricordo anch’io quanto a Istanbul abbiamo navigato dentro la grande cisterna bizantina prima vista solo in 007 dalla Russia con amore, o quando leggevamo i diari dei grandi viaggiatori o immaginavamo Palmira come reinventata da Italo Calvino ne Le città invisibili. Le città descritte nel viaggio (Bursa, Pergamo, Smirne) non erano ancora aggredite dal turismo di massa, quindi si descrive un’ospitalità vecchio stile, dove ancora contano i rapporti personali e una locanda costa quattro soldi come del resto la trattoria. La zia non lo dice, ma è un viaggio low cost con capelli lunghi che il doganiere bulgaro cercherà di tosare ai maschi. Le domande dei nipotini si fanno sempre più insistenti: zia ha fatto sicuramente il classico, loro al massimo hanno visto Troy, ma i miti greci e la descrizione di Pergamo, Smirne e Palmira li tengono sospesi. Ogni sera una tappa, tra una strada sterrata e l’altra, e così per due settimane. Si narra purtroppo anche di quanto non esiste più; in Siria il Krak dei Cavalieri è stato danneggiato (distruggerlo è impossibile), Damasco è stata devastata da dieci anni di guerra civile e Palmira quasi non esiste più: ho qui le foto scattate a suo tempo da un mio amico fotografo pubblicate su una rivista (OZ Journal, maggio 2021), messe a confronto con quelle attuali. Ma nel libro si parla di un’epoca dove genti e religioni diverse convivevano senza scannarsi e dove le donne velate non erano la norma. La zia ha un bel daffare per spiegare ai nipoti quello che nel frattempo è successo. Ma alla fine del libro la sorpresa: finita la Pandemia (novello mito fondatore della post-modernità) la zietta suonerà a casa dei nipoti con generi di conforto e una valigia in mano: si parte tutti insieme e stavolta non solo con la parola.


VIAGGIARE DA FERMI AI TEMPI DEL COVID
Serena Luciani
Strade Bianche di Stampa alternativa, 2021

luciani_serena_-_viaggiare_da_fermi_ai_tempi_del_covid.pdf
Scarica file

Podcast


Quel che resta del giorno ( I racconti del Campo)

Siamo a largo dei Librari, con le spalle all’oratorio restaurato. E’ un pomeriggio di settembre ma il Filettaro apre la sera. E mentre chiacchieriamo seduti ai tavolini del caffè, due bangladesi schizzano via lungo via dei Giubbonari con la mercanzia, evidentemente inseguiti dai vigili. E’ il gioco delle parti, la solita scenetta messa in onda quando Roma Capitale decide di fare sul serio per far contento il Messaggero o evitare i tweet di Salvini contro Virginia Raggi. La coppia che mi sta davanti si direbbe male assortita: lei è una stupenda brunetta, lui ricorda un po’ Morgan o Anonymous ed è l’archetipo del simpatico bel mascalzone. Lei infatti è sposata ed è allo stesso tempo sinceramente innamorata di questo divorziato con figli. Come finirà la storia? Non lo sanno nemmeno loro, questo lo ammettono mentre lentamente girano il cucchiaino nella tazzina del caffè. I tratti di lei sono dolci, è una siciliana elegante e sensuale e ha sempre il sorriso sulle labbra. Nel frattempo la partita a guardie e ladri continua: una robusta vigilessa sta facendo il giro della piazzetta, lasciando comunque un intervallo sufficiente a far scappare il “bangla” lungo l’altro lato della piazza. Lentamente sentiamo avvicinarsi anche una macchina che scandaglia via dei Giubbonari. Anche qui è un’operazione di facciata: se vuoi rastrellare sul serio una strada devi chiuderne entrambi gli accessi. Mi ero comunque distratto e la donna che ho davanti aspetta la risposta a chissà quale domanda. Chiedo di ripeterla e prendo tempo: mi chiede che voglio fare io. Risposta: nulla. Non provo emozioni, o almeno col tempo ho imparato a controllarle. E poi è da lei che aspetto una risposta, visto che sono suo marito ed è lei che vuole mettersi con un altro. Ho chiesto io di vederci a tre per fare due chiacchiere: devo sapere cosa vogliono fare, come e quando.

Dietro di me continua il passeggio domenicale, mentre un distinto venditore ambulante deve discutere con le guardie: lui non è scappato, ma è italiano e pensa di evitare la sanzione. Ben altro panorama la mattina dei giorni feriali verso le 8, quando c’è scuola: il vicino liceo statale Vittoria Colonna pullula di belle ragazze e ai tavolini c’è di tutto: ormai non esistono più ragazze brutte o poco curate, e forse per questo miss Italia non va più di moda: ormai basta uscir per strada e sembrano tutte finaliste.

Ritorno sui miei pensieri: mi preoccupa l’aspetto economico di una eventuale separazione. Già lei mi ha chiesto a chi resterà la macchina, e questa non gliela perdono. Lui poi non ha un posto fisso e chi chiede i soldi una volta, li chiederà anche dopo. Passi per il letto, ma i soldi no. Qui manco a farlo apposta siamo vicino al Monte, dove i traffici di oggetti e denaro avvengono da sempre e certe facce le conosciamo tutti da anni. Proprio al Monte comprai una macchina da scrivere usata, quando ancora non c’era la videoscrittura. Ma qui troppe cose sono cambiate da quando ero giovane, inutile fare l’amarcord. Devo infatti concentrarmi su quello che ho davanti, ma non è facile: quei due se non sono ancora andati a letto ci andranno presto e anche senza dirmelo lo capirò lo stesso. Nel frattempo mia madre sta lentamente spegnendosi in un lontano ospedale e quella casa dove una volta abitavamo in cinque ora è malmessa, enorme e vuota. Ieri insieme alla badante – una robusta contadina romena – abbiamo dato una riordinata alle stanze e soprattutto le abbiamo pulite da tutta la robaccia accumulata nel tempo: scarpe, indumenti in disuso, pentole in alluminio, certificati elettorali, bollette d’epoca, carte da regalo, riviste, decoder e cavi elettrici, verbali di condominio, fatture saldate mezzo secolo prima. Se la lasciassi sola, quella donna brava quanto ignorante butterebbe tutto, ma insisto per esaminare prima qualsiasi cosa trovi in armadi, madie e cassettiere. Decido io cosa va conservato e cosa va mandato in discarica, altrimenti andrebbero perduti anche i libri antichi di mio padre o le mie collezioni che non ho avuto il tempo né lo spazio per portare con me dopo il matrimonio, di cui tra pochi giorni ricorre l’anniversario. Mi viene da ridere: quest’anno non riesco a immaginarmi una cenetta a lume di candela, né è sicuro che, una volta sloggiato da casa di mia moglie, io possa abitare casa di mia madre: i fratelli la vogliono vendere e non avrei certo i soldi per riscattare le loro parti. Certo l’idea di non dover guidare più ogni giorno nel traffico o di poter entrare al cinema Farnese quando voglio resta un bel sogno: con lo stipendio che mi danno posso solo scegliere un’altra periferia. Magari con un teatro o un cinema di quartiere.

LAURENZIO LAURENZI, un artista dimenticato

Conoscevo le acqueforti di Laurenzi (1878-1946) per averne ereditata una di piccolo formato da mio padre (uno scorcio di paesaggio con cipressi) e soprattutto per averne visto alcune di grande formato (mm 495×375) incorniciate negli uffici del Museo della Civiltà Romana: non esposte in sala, rappresentano edifici monumentali della Roma antica, compresi quelli sparsi nelle province romane. Belle calcografie in stile classico, sono in parte reperibili sul mercato antiquario ma senza raggiungere quotazioni alte: dai 100 ai 250 euro. Ma la sorpresa è stata scoprire la scarsa documentazione su questo artista: poco o niente si trova scandagliando l’OPAC SBN – il Servizio Bibliotecario Nazionale – e persino scorrendo lo schedario della Biblioteca Hertziana, specializzato nello spoglio dei periodici di storia dell’arte. Non una monografia, né un catalogo di una mostra, solo qualche notizia in rete. Tuttavia, un articolo pubblicato nell’agosto del 1938 ne Gli Annali dell’Africa Italiana (1)  suggerisce di estendere la ricerca alle riviste italiane del Ventennio, e spieghiamo subito perché: Laurenzi ha vissuto una vita artistica ben suddivisa fra due periodi: nel primo è legato ad Assisi e all’Umbria (dove era nato) e all’illustrazione delle città italiane, mentre nel secondo cambia stile e diviene un interprete della Romanità, per finire dimenticato dopo la guerra. Muore nel suo appartamento romano nel 1946 assieme al suo gatto per una fuga di gas – disgrazia o suicidio? – ma ormai si era ritirato dalle scene, dopo aver viaggiato a suo tempo per tre anni a spese dello Stato per illustrare in 80 lastre le architetture della Romanità in Europa e in Africa. Romanità imperiale antica e moderna, secondo lo schema ideologico del Duce: non solo Roma, Spalato, Sabratha o Treviri, ma anche Gondar e Axum. Ma sarebbe interessante sapere chi aveva realmente commissionato l’impresa: nella prospettiva della Mostra Augustea della Romanità, ipotizzo un interessamento di Quirino Giglioli, direttore del Museo dell’Impero e grande organizzatore della Mostra Augustea, storica celebrazione promossa nel 1937 per il bimillenario della nascita dell’imperatore Augusto. La ricerca dovrebbe a questo punto esplorare gli archivi del Museo dell’Impero ed è appena iniziata. Le tavole erano 80, ma finora non sono riuscito a catalogarle tutte: 48 incisioni riferite a periodi diversi sono conservate a Mantova da un’istituzione privata, la Raccolta di stampe Adalberto Sartori (2). Stranamente, neanche una è registrata dall’Istituto Nazionale per la Grafica. Per fortuna la Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali ne conserva ben 45 nel Gabinetto Comunale delle Stampe del Museo di Roma (3) e ringrazio la dott.ssa Angelamaria D’Amelio per la sollecita collaborazione nella ricerca.

NOTE

  1. www.maitacli.it/component/phocadownload/category/2-somalia?download=31:somalia . Opera dello scrittore e giornalista Eugenio Giovannetti (1883-1951), l’articolo è intitolato «Le acqueforti africane di Laurenzio Laurenzi», ed è accompagnato dalla riproduzione di sei opere.
  2. https://raccoltastampesartori.it/autori/laurenzi-laurenzio.
  3. http://www.museodiroma.it/it/collezioni/percorsi_per_temi/grafica

Bibliografia:

Incisori moderni e contemporanei. Raccolta di monografie illustrate, Libro Secondo, a cura di Arianna Sartori, Mantova, Centro Studi Sartori per la Grafica, 2010, pp. 176/189.