Archivi tag: Maurizio Cattelan

Arcimboldo Oggi

La mostra dedicata a Arcimboldo, nata da un dialogo tra l’artista Maurizio Cattelan e Chiara Parisi (direttore del Centre Pompidou-Metz) e la curatrice Anne Horvath, propone una visita unica, al contrario di ogni cronologia, nei meandri del pensò a questo misterioso pittore del Cinquecento, per bucare l’attualità del suo vocabolario.

Se i ritratti compositi di Arcimboldo sono oggi universalmente conosciuti, restano da scoprire la ricchezza e la diversità della sua opera. Giuseppe Arcimboldo (1526-1593) è un inventore e pensatore le cui riflessioni e opere vanno oltre la questione della rappresentazione del volto nella pittura. La mostra quanto il suo lavoro abbia irrigato la storia dell’arte per cinque secoli e getta luce su una serie di dibattiti filosofici e politici attuali.

Oltre all’eccezionalità della presentazione delle famose Stagioni al Museo del Louvre e alla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid, l’attenzione è rivolta alle sue opere più sorprendenti: le vetrate che ha creato all’inizio. della sua carriera al Duomo di Milano, i disegni a penna e tempera blu della Galleria degli Uffizi per le feste e i tornei della corte asburgica, nonché Il Bibliotecario, che colpisce per il suo linguaggio profondamente concettuale.

Inaugurando il programma di Chiara Parisi, alla guida dell’istituzione dal dicembre 2019, Face à Arcimboldo è stato immaginato in linea con la prima mostra dedicata all’artista in Italia, a Palazzo Grassi a Venezia nel 1987, L’Effet Arcimboldo. Le trasformazioni del volto nel Cinquecento e nel Novecento disegnate da Pontus Hultén, primo direttore del Centre Pompidou, con Yasha David.

Face à Arcimboldo incarna la novità artistica attraverso gli occhi di 130 artisti , la cui scelta è stata guidata dall’influenza – presunta, inconscia o fantasticata – che il maestro lombardo esercita sul loro pensiero e sulla loro arte. Ognuna delle 250 opere in mostra porta l’impronta della libertà creativa di Arcimboldo e segue un filo conduttore che attraversa i secoli fino ai giorni nostri.

Progettata in cemento cellulare, la scenografia degli architetti Berger & Berger suggerisce la cartografia di una cittadella in cui si scontrano generazioni, geografie e medium.

Entrando nella Grande Nave del Centre Pompidou-Metz, il visitatore si confronta con l’esperienza dell’installazione di Mario Merz, ricomposta nelle sue tre parti per la prima volta dal 1987 – Omaggio ad Arcimboldo, Cono e La Table de Chagny – dove frutta e le verdure si susseguiranno una dopo l’altra, al ritmo delle giornate. Head VI (1949) di Francis Bacon è vicino ai collage di Hannah Höch, Anders (Brighton Arcimboldo) (2005) di Wolfgang Tillmans è accanto a Study in the Catacombs of Palermo (1924) di Otto Dix, Untitled (# 155) ( 1985) di Cindy Sherman in dialogo con La Poupée (1935-1936) di Hans Bellmer. Altrove, gli affreschi di Pompei illuminano le maschere della bottega in cui James Ensor trascorse la sua vita.

Con le sue ampie aperture, il percorso architettonico permette di attraversare le nuove creazioni di Fernando e Humberto Campana, la monumentale fontana fosforescente Hills and Clouds (2014) di Lynda Benglis, l’imponente Guardiano del giardino (XVII secolo), l’unico arcimboldesco esistente scultura, o il gabinetto segreto di Praga del leggendario regista surrealista contemporaneo Jan Švankmajer. Più avanti, il ritratto di Antonietta Gonzalez (1594-1595) di Lavinia Fontana, dal castello reale di Blois, il video di Pierre Huyghe, Untitled (Human mask) (2014) e i ritratti di Zoe Leonard intorno alla donna barbuta del Museo dell’Orfila (1991) si uniscono.

****************************

Face à Arcimboldo
Dal 29 maggio al 22 novembre 2021.

Metz (Francia)
Centre Pompidou-Metz

A cura di Anne Horvath


I punti di vista su Hirst

Una delle più inarrestabili macchine da soldi, nel campo dell’arte contemporanea, è sicuramente Damien Hirst, l’ex promettente rappresentante della Young British Art, con il solo dividere l’opinione degli addetti e non ai “lavori”, sull’essere un genio o un bluff, ha fatto lievitare le sue quotazioni.

Mentre sono sempre più numerose le persone che si domandano se Damien Hirst sia un astuto Madoff dell’arte o un Duchamp dei nostri giorni, altri fanno soldi con le opere che firma. Una interminabile produzione di puntini colorati che si succedono su superfici bianche per offendere la vista da si tanta luminosità.

Già nel 2008 si sentiva così in sintonia con l’umanità che esclamava: «Come artista cerco di fare cose in cui la gente può credere, con le quali possa relazionarsi, che possa sperimentare. Occorre dunque esporle nel miglior modo possibile».

E Hirst ha saputo dare al pubblico quello che voleva, o quello che il pubblico credeva di volere, grazie ad indulgente mercato dell’arte, sino a proteggerlo dalla crisi, salvaguardando gli investimenti, per esaltare l’isteria del popolo che si nutre del business dell’arte.

Hirst, come Koons o anche il nostro Cattelan, non conosce crisi e tutto può essere trasformato in icona, sia la banalità del quotidiano che quello del male, senza alcuna attinenza alla sensibilità di Hannah Arendt, ma come catarsi personale resa pubblica, svuotata da qualsiasi comprensione, senza alcuna presenza di umanità. Qualcosa di simile al gioco perpetrato della agenzie di rating con il diffondere voci per far salire o scendere le quotazioni a loro favorevoli.

damien_hirst_2 Dell’arte contemporanea e su di essa si può dire di tutto e il suo contrario, ma la realtà è nel suo spudorato utilizzo finanziario, in Occidente come in Oriente, dagli arricchiti russi e cinesi, dopo gli arabi e i giapponesi, spiazzando i cultori dell’opera come ingegno e manualità, limitandone la sua comunicabilità nella ripetitività. Una ripetitività che spesso viene confusa con la riproducibilità ben diversa dalla concezione di Walter Benjamin dell’opera d’arte.

Grande clamore per un teschio che Hirst ha tempestato di diamanti e portato in tour, per ribadire la superiorità dell’arte sopra ogni altro pensiero e attività, al quale nessuno può resistere, tanto che il povero Cartrain, alias di un’artista inglese impegnato nella realizzazione collage e stencil ispirati ad icone popolari come Mickey Mouse o Clint Eastwood, è rimasto impigliato negli ingranaggi con il suo utilizzare illegittimamente l’immagine dell’opera hirstiana. Una superficialità che gli è costato un’accusa di plagio, vincolando la creatività alle regole del mercato. Cosa potrebbe essere accaduto all’arte contemporanea se Dalì o Dupham, Picasso o Warhol, fossero incappati nell’accusa di plagio per l’utilizzo della Mona Lisa o dell’arte africana, ma forse a rischiare di più poteva essere Warhol con le sue zuppe in barattolo e numerosi simboli del consumismo.

Ora l’illusionista delle immagini come arte è presente contemporaneamente in tre luoghi di Roma (Fondazione Pastificio Cerere, nella hall del MACRO e nella Gallerie Gagosian), alle sedi della Gagosian gallery sparse nel mondo (Londra, New York, Parigi, Ginevra, Atene, Hong Kong e a Beverly Hills), oltre 300 dipinti a pallini colorati, da quelli di 1 mm di diametro sino a 60 cm ognuno, dei quasi 1.500, per un excursus di venticinque anni che proseguirà ad aprile con l’antologica alla Tate Modern.

Una moltitudine di esposizioni per una sovraesposizione mediatica stimolata da Hirst esaminando la dislocazione planetaria delle gallerie Gagosian, una vera e propria industria, che ha offerto il fianco ai suoi mille detrattori che lo incolpano di utilizzare centinaia di assistenti e lui non fa mistero, anzi a lui interessa solo il risultato identico al suo pensiero, non gli strumenti utilizzati per raggiungere tale risultato, allontanandosi dalla pittura come la intende David Hockney, suo connazionale e critico del suo comportamento, fatta di gesto e materia, non ridurre l’opera d’arte a prodotto industriale, ad oggetto di arredamento.

Potrebbe essere utile, per comprendere come l’arte si possa essere instradata nella strada del prodotto industriale, riflettere su cinque secoli di arte, messa in mostra a Londra presso la Tate Britain, sino al 14 agosto 2012, con Migrations, ma è tra il 1890 e la Young British Art che si può risalire frustrazione dell’arte britannica nell’avere generato, escludendo William Blake e i preraffaelliti, solo ritrattisti e paesaggisti, mentre il resto dell’Europa contribuiva alla storia dell’arte con ben altri artisti, esuli e perseguitati per la religione, dall’Olanda e il Belgio, artisti come Van Dyck, alla ricerca di un’affermazione economica, che hanno stimolato il ritratto e hanno introdotto il genere paesaggistico. Una mostra che solleva profondi interrogativi sulla rilevanza dell’arte britannica, escludendo un Hogarth o un Turner, nel panorama internazionale, in fin dei conti anche Hirst ha fatto tesoro degli stimoli che aleggiano nell’aria, trasformandoli in un lavoro meno faticoso possibile. L’arte britannica si è formata grazie all’evento migratorio, non solo dell’umanità in cerca di migliorare la propria vita, ma anche sulla circolazione di idee e concetti.

Altro detrattore di una certa arte contemporanea è Jean Clair, accademico di Francia e storico dell’arte, che con il suo recente libro L’inverno della cultura (Skira), si sofferma sull’uso disinibito dell’immagine. Un libro a capitoli, ognuno dei quali viene introdotto da una citazione come per il primo capitolo con “Quando il sole della cultura è basso sull’orizzonte, anche i nani proiettano grandi ombre.” di Karl Kraus, utilizzati come sintesi del pensiero di Jean Clair, sviluppato nelle pagine successive.

Sono lontani gli anni dove i politici si accompagnavano agli artisti per darsi importanza e apparire competenti. Erano gli anni craxiani dell’acquisto dell’opera d’arte senza troppe domande, ora c’è la crisi e alcuni artisti amerebbero tanto un posto fisso da permutare con la variegata incertezza della creatività del mercato. Gran parte dell’odierna arte è un’illusione creata da capaci persone, ben più capaci dell’artista che intendono promuovere, impegnate a plasmare il desiderio di quel prodotto, come dimostra il grande impegno dalla famiglia reale del Qatar, con i numerosi acquisti di opere d’arte di varie epoche, più che del contemporaneo, e innalzando musei.

La Cultura nel dialogo tra i popoli

La cultura è stata sempre un ottimo biglietto da visita dell’Italia e l’iniziativa itinerante, Classic Reloaded. Mediterranea, intrapresa dal MAXXI (Museo nazionale delle arti del XXI secolo ) di Roma, sul legame tra tradizione classica e ricerca artistica contemporanea, è coraggiosa nel proporre le opere non tanto di Gino De Dominicis o Mimmo Jodice, ma quelle di Maurizio Cattelan e Luigi Ontani che dopo Villa Audi (Mosaic Museum) di Beirut (Libano), viene allestita in novembre al Museo Nazionale del Bardo di Tunisi, luogo del drammatico attacco terrorista di tre anni fa.

L’iniziativa vuole rappresentare, attraverso 20 opere di 13 artisti italiani dalla Collezione del MAXXI in relazione agli spazi e alle opere dei Villa Audi e del Bardo, la cultura del “mare che sta tra le terre”, quella autonomia culturale ma nello stesso tempo apertura all’altro, coesistenza tra popoli, rapporto tra locale e globale, che da sempre caratterizza le nazioni del Mediterraneo.

Le opere dialogano, a Beirut, con gli splendidi mosaici romani del II-VI secolo d.C. di Villa Audi e, a Tunisi, con le architetture e le decorazioni ornamentali del Petit Palais, al Museo Bardo.

Gli artisti in mostra: Salvatore Arancio, Maurizio Cattelan, Enzo Cucchi, Gino De Dominicis, Bruna Esposito, Flavio Favelli, Mimmo Jodice, Sabrina Mezzaqui, Liliana Moro, Luigi Ontani, Pietro Ruffo, Remo Salvadori, Luca Trevisani.

A ottobre, in concomitanza con la XIV edizione della Giornata del Contemporaneo, è stata proposta per la prima volta l’Italian Contemporary Art, coinvolgendo un’ottantina tra Ambasciate, Consolati e Istituti Italiani di Cultura che hanno organizzato dibattiti e mostre incentrate sul tema della cultura artistica contemporanea, cercando di porre in evidenza non solo artisti e opere, ma produttori, curatori, allestitori, direttori di musei, critici, riviste e libri d’arte.

L’iniziativa ha visto anche la collaborazione della Società Dante Alighieri che può contare su numerosi luoghi preposti più alla promozione della lingua italiana che dell’immagine.

Della cultura italiana, in generale, e della lingua in particolare è il tema del progetto Limes che l’Istituto Dante Alighieri di Tripoli ha finanziato per essere implementato dalla Ong Terre des Hommes Italia in Libano, con il gruppo Scout Palestinese “Al Qadisieh” e Al Mobader Association nel campo Palestinese di Beddawi, nel nord del paese, per realizzare attività ludico-educative (quali musica e teatro in lingua) finalizzate all’introduzione della lingua Italiana per 50 bambini rifugiati del campo.

L’iniziativa, come supporto linguistico e introduzione alla lingua italiana, è finalizzata a promuovere la pace e portare la speranza con la lingua e la cultura italiane ai più piccoli (da 10 a 13 anni), agli indifesi e a tutti coloro che futuro non hanno.

Il progetto Limes, iniziato a giugno 2018 e che proseguirà fino a fine dicembre 2018, è stata anche l’occasione per varare la convenzione tra il Ministero della Difesa e la Società Dante Alighieri per inaugurare la Biblioteca della Pace con la donazione di mille libri in lingua italiana al contingente di pace UNIFIL di stanza a Shamaa (Tiro).

La promozione e la valorizzazione della lingua italiana trova un valido strumento nella Giornata ProGrammatica, inserita nella XVIII settimana della Lingua italiana nel Mondo, si rivolge non solo alle realtà italofone (Città del Vaticano, Repubblica di San Marino, Svizzera italiana e allo stato senza terra del Sovrano militare ordine di Malta), ma anche alle Comunità Radiotelevisiva Italofona (CRI) che riunisce le principali radio in lingua italiana all’estero, e inoltre alle numerose nazioni interessate alla cultura e alla lingua italiana (Albania, Bulgaria, Croazia, Francia, Macedonia, Malta, Montenegro, Monaco, Serbia, Slovenia, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Crimea, Giappone, Guatemala, Somalia, Stati Uniti, Tunisia, Uruguay, Venezuela), dove la Società Dante Alighieri svolge, con le sue numerosi sedi, una preziosa missione sin dal 1889.

Sono oltre 5 milioni gli italiani residenti all’estero (+20% rispetto al 2012), secondo i dati del Ministero degli affari esteri e come si rileva anche dal Rapporto 2018 “Italiani nel mondo” della Fondazione Migrantes. Oltre a ribadire la inarrestabile partenza dei giovani, si aggiunge anche la presenza di adulti per cercare un lavoro e degli anziani per trovare un luogo dove poter vivere con gli assegni pensionistici insufficienti per risiedere in Italia.

In Argentina sono stati censiti 948mila italiani, in Germania sono 787 e in Svizzera 631, mentre nel Regno unito sono 315mila gli italiani registrati all’Aire (Anagrafe Italiani residenti all’estero).

Con queste prospettive migratorie italiane il ruolo che gli Istituti italiani di cultura e le sedi della Società Dante Alighieri svolgeranno sarà sempre più impegnativo e decisivo non solo nel promuovere la cultura, ma per tenere i contatti con i connazionali.

****************************

Qualcosa di più:

Dopo la fuga dei cervelli è la volta dei pensionati
http://www.agoravox.it/Dopo-la-fuga-dei-cervelli-e-la.html

****************************