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Alla ricerca delle radici

RossoAcero di Marika Guerrini
E’ un romanzo tragicamente attuale frutto di sapienza storica
che affronta e rivive l’eterna falsa tragedia della diversità.
Esploso da un drammatico incontro nato e vissuto d’impulso,
è un libro vero, scritto tutto di un fiato
che ci costringe a leggerlo con lo stesso ritmo impetuoso
nel quale è vissuto-raccontato da Marika, autrice-protagonista
quanto da Oriana, l’antagonista scomparsa
che improvvisamente rivive in lei.
Due donne che combattono in un incontro metafisico:
due volti simili stravolti in uno specchio
che li deforma in opposte passioni
a la lettura contagia sensazioni inquietanti
come il ripetersi di un sogno già sognato.
Accade infatti di riconoscere, in uno scontro passionale tra due donne
metafore del tragico conflitto tra oriente ed occidente:
due mondi apparentemente lontani che…
oltre la follia di assurde convenzioni
indotte ad arte da un potere mostruoso,
potrebbero armoniosamente completarsi.
Ma ancor prima di conoscere e comprendere la storia,
e prima di incontrare “ i personaggi “
(creature reali che Marika disegna palpitanti
per cui ci appaiono famigliari e care come la dolcissima Melì)
prima di tutto questo, troviamo già nell’inizio semplice e perfetto
qualcosa che già esisteva dentro di noi, qualcosa che ci coinvolge
e che misteriosamente ci lega e ci appartiene.
Non a caso tutto nasce da un amore, un grande amore a prima vista
che avvolge l’autrice conducendola, come per incantamento,
attraverso le ineffabili “magie” di Istanbul misteriosa e famigliare.
Ed è nei luoghi fantastici e reali di questa città sorprendente
che tornano ricordi impetuosi: parole e frasi di quel monologo
concitato e palpitante che affronta e coinvolge Oriana,
la seconda – Prima donna – della storia.

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Marika Guerrini, indologa, storica dell’Afghanistan,
studiosa di antropologia culturale e pedagogica
e del pensiero filosofico di Rudolf Steiner, sembra concentrare,
in questo ultimo romanzo, l’essenza del suo essere donna.
E per quanto mi riguarda, la lettura suggestiva delle 116 pagine
dove Lei coniuga passione, capacità di analisi e bella scrittura,
mi ha suggerito la ripresa di uno spettacolo quanto mai necessario:
“Poeti arabi di Sicilia dell’Anno Mille.”

00 Libri RossoAcero di Marika Guerrini cover

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Titolo: RossoAcero. Conosco il canto del muezzin
Autore: Marika Guerrini
Prezzo: € 13,00)
Editore: Città del Sole Edizioni (collana La vita narrata), 2013, p. 120

Blog

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Medio Oriente: Un Buco Nero dell’islamismo

Il conflitto israelo-palestinese aveva momentaneamente oscurato ogni notizia sul buco nero che si sta creando tra la Siria e l’Iraq.

Ora che Israele ha ritirato le truppe dalla striscia di Gaza, dopo un quotidiano lancio di razzi islamisti sul territorio israeliano e le inevitabili ritorsioni israeliane, sembra che oltre 2mila e la distruzione di edifici si è giunti ad una tregua indeterminata, l’attenzione si sposta un po’ più al di là dell’altra sponda del Mediterraneo. In quell’area che sembra risucchiata in un buco nero di mille anni addietro. Un buco nero che sembra voglia allargarsi verso il Libano, dopo la Siria e l’Iraq, allungando la lista delle ormai migliaia di morti sgozzati o con una pallottola in testa.

Un’area sempre meno sicura per le persone che seguono confessioni differenti dal dettame sunnita imposto dal nascente califfato dello Stato islamico.

Per fronteggiare l’avanzata dell’Isis (Stato islamico di Iraq e Siria), ormai più famigliarmente Is (Stato Islamico) qual sia dir si voglia, sono intervenuti gli Stati uniti con martellanti raid aerei per distruggere gli armamenti di cui miliziani islamisti si sono impossessati con la ritirata dell’esercito iracheno e facilitare l’azione delle milizie curde dei peshmerga.

L’Occidente, dopo tanta incertezza, ha deciso di appoggiare le forze curde nel contenimento dell’affermazione islamista tra la Siria e l’Iraq che, nel tentativo di allargare l’influenza dell’Is nell’area con i continui sconfinamenti in Libano, si può quantificare come un territorio ampio quanto l’Ungheria.

I curdi, combattendo anche con le armi dell’Occidente per la loro terra e la loro autonomia, difendono anche noi e per non far crescere la considerazione sul loro operato e mitigare le future richieste curde che gli armamenti non andranno direttamente nelle zone di guerra, ma passeranno per Bagdad per ribadire la centralità del governo iracheno a spese dell’autonomia del Kurdistan.

A facilitare l’intervento occidentale in Iraq è il palese o il tacito consenso che non solo i paesi arabi ma anche la Russia e la Cina hanno dato, cosa che non poteva avvenire per la Siria, certo non perché i cristiani erano al sicuro, ma per gli interessi incrociati sullo scardinamento degli equilibri nell’area e rischiare di trovarsi in una situazione d’interminabile conflitto modello libico.

È per questo che dopo l’esempio di leadership debole riscontra in Iraq con il governo Nuri al-Maliki, celata dalla voce grossa che esibiva con il risultato di alzare l’acredine tra gli sciiti e i sunniti, è ora la volta di un governo inclusivo di tutte le realtà culturali irachene, cercando una rappacificazione tra schieramenti e togliere agli islamisti consenso.

Nel grande gioco delle alleanze variabili si sceglie chi è più nemico dell’altro e non il più affine negli intenti e nei sistemi. Così è possibile trovare un esponente di primo piano del regime di Saddam come il generale Izzat Ibrahim al Douri guidare l’avanzata di quelli dello Stato islamico in Iraq solo perché sono più odiosi gli sciiti che gli jihadisti. L’Occidente riflette sulla possibilità di aprire un dialogo con Assad, un’ipotesi impensabile sino a pochi mesi fa, perché è sin dalla prima ora avversario dei jihadisti. I cristiani in Libano si alleano con gli Hezbollah che combattono in Siria affianco del regime di Assad contro gli islamisti, per non diventare dei bersagli come in Nigeria o in altre parti del Mondo. I cristiani nel Medio oriente, vittime predestinate come ogni altra minoranza, sono in cerca di protezione. Una situazione di persecuzione già evidenziata da Francesca Paci del libro del Dove muoiono i cristiani
(2011).

Una persecuzione delle minoranze, da parte jihadisti, che annovera non solo le comunità cristiane, ma anche yazide e shabak, oltre che turcomanne, atta a perseguire una pulizia etnica di balcanica memoria.

È l’arroganza dell’ex premier Nuri al-Maliki, con il suo fomentare le violenze settarie che ha insanguinato il Paese, ma anche l’ottusità statunitense nel cancellare un esercito che ha portato un laico come al Douri a scegliere di unificare le sue forse baathiste a quelle dei jihadisti.

Un’alleanza contro natura, se la realtà jihadista era da eliminare sotto il regime di Saddam, accomunati non solo nello scansare dal potere la maggioranza sciita, ma anche dai modi sbrigativi nell’eliminare i “problemi”.

Questa’esaltazione della violenza ha esercitato una forte attrazione per molti adolescenti annoiati e senza un’ideale di vita, portandoli a seguire degli invasati per esternare il loro lato teppistico. Giovani in cerca di una guida che non vivono necessariamente in periferie disagiate, ma provenienti anche da i ceti benestanti dell’Occidente, mossi dal disagio di vivere, il cosiddetto mal de vivre. Una realtà basata sulla disciplina e la cieca adorazione del capo che sarebbe stata l’ovvia conclusione dei farneticanti protagonisti dell’Arancia Meccanica o dei “perseguitati” Guerrieri della notte nel vedere un futuro inquadrati in milizie religiose di vari credo.

In questo scambio di fronti e di alleanze s’inserisce anche l’intervento di Alessandro Di Battista, deputato del M5S, che offre una giustificazione all’uso del terrorismo come unica arma per i ribelli, dimenticando che le milizie del nascente Stato islamico non sono dei dissidenti perseguitati, ma un’orda conquistatrice. Rincara la dose del politicamente “scorretto” i twitter del cosiddetto ideologo dei penta stellati Paolo Becchi che offre una lettura di consequenzialità nel dare le armi ai curdi con la salvezza delle due volontarie italiane.

Ribellarsi è giusto, ma quelli dello Stato islamico sono degli aggressori e non si può dare una parvenza di legittimità alla violenza perpetrata da un esercito di conquista e non di difesa. Un gruppo di persone che sono discriminate possono arrivare all’utilizzo della violenza, ma chi si organizza in una forza di conquista per formare dal nulla uno stato tirannico, imponendo le sue regole di vita, non può essere paragonato a chi viene perseguitato e si vede negato ogni diritto fondamentale.

L’esercito del califfato per uno stato islamico non è un popolo scontento in cerca di una vita pacifica, ma è in guerra con tutto il mondo che non professa il loro senso della vita, ma non per questo si deve escludere un dialogo, anche se per dialogare bisogna essere almeno in due per trovare un compromesso, e quelli delle bandiere nere non sembrano disponibili ad una convivenza con altre religioni.

Oscurantismo jihadisti che si sta affermando anche nel caos libico, scene di prigionieri mostrati al pubblico ludibrio in Ucraina o la giustizia sommaria nei confronti di sospette spie a Gaza, il tutto condito con la crudeltà contro la popolazione, fa retrocedere la storia dell’umanità di alcuni secoli.

La situazione israelo-palestinese e quella iracheno-siriana sono la dimostrazione di come gli organi d’informazione appaiono incapaci di seguire contemporaneamente le varie aree di conflitto nel Mondo se non sono ai nostri confini o coinvolgono i rapporti tra schieramenti ideologico-economici.

Solo l’Ucraina non ha perso spazio informativo, forse perché oltre ad essere in Europa sta compromettendo i già difficili rapporti con la Russia di Putin nell’ambito delle esportazioni e dei rifornimenti energetici invernali che in una crisi economica europea diventa un grande problema.

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Francesca Paci
Dove muoiono i cristiani
Editore: Mondadori
Milano, 2011
pp. 204
€ 17,50
EAN9788804606925

Franco Cardini
Cristiani perseguitati e persecutori
Salerno Editrice
Roma 2011
pp. 188
€ 12,50
ISBN 978-88-8402-716-0

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Qualcosa di più:

Se la Siria non scalda più i cuori Articolo completo
Siria: Il miraggio della Pace
Siria: Dopo le Minacce Volano i buoni propositi
Siria: Vittime Minori
Siria: continuano a volare minacce
Ue divisa sulla Siria: interessi di conflitto
La guerra in Siria vista con gli occhi di Sahl

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Medio Oriente: la Pace tra Razzi e Cupole

Il riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese ha oscurato ogni notizia sul buco nero che si sta creando tra Siria e Iraq.

Israele e la Palestina sono proprio sull’altra sponda del Mediterraneo, ma anche la Siria non è poi tanto lontana e forse le ormai migliaia di morti sgozzati o con una pallottola in testa potrebbero pur meritare qualche attenzione, tanto più che non sembra ci sia qualcuno capace di fronteggiare l’avanzata dell’Isis (Stato islamico di Iraq e Siria) o Isil (Stato Islamico in Iraq e nel Levante) qual sia dir si voglia, è impegnato nella creazione di un califfato. Neanche le milizie kurde dei peshmerga, dopo un iniziale successo, non sembrano riuscire a contenere la conquista degli islamisti e i continui sconfinamenti in Libano fanno pensare a un tentativo di allargare l’influenza dell’Isil nell’area.

Probabilmente l’attenzione dei media per i razzi di Hamas su Israele e i raid israeliani sempre più micidiali sulla striscia di Gaza deriva dalla “facilità” dei giornalisti nel muoversi in quei territori e dalla possibilità di dare un volto alle vittime, iniziando dai tre adolescenti ebrei e dal loro coetaneo palestinese, colpiti dall’odio. Morti causati dalla manifesta incapacità delle due parti a riconoscersi e della comunità internazionale, nonostante l’impegno di aver messo in campo geni della diplomazia del calibro di Tony Blair, di offrire delle alternative ad una controversia sull’esistenza che si prolunga da oltre sessant’anni. Una mancata pacificazione dell’area israelo-palestinse coinvolge tutto il territorio mediorientale, influenzando leadership di movimenti e governi più o meno radicali, filo occidentali o islamico jiadaisti.

Nonostante il riavvicinamento dell’anima tradizionalmente palestinese di quello che era Al-Fatah e l’Olp, che governa in Cisgiordania, con quella radicale di Hamas, predominante nella “striscia” di Gaza, con governo di unità nazionale, le scelte politiche continuano ad essere due e il dialogo che cerca Abu Mazen da Ramallah è rifiutato da Hamas a Gaza City.

Un’escalation che mostra tutta la debolezza non solo di Hamas, ma anche di Benjamin Netanyahu e del Governo israeliano.

Due popoli due stati che potranno convivere solo con tanti muri divisori, necessari per renderli dei buoni vicini; sino a quando gli israeliani e i palestinesi saranno guidati da due leadership così deboli eppur intransigenti.

Israele vuol screditare l’accordo raggiunto tra ANP (Autorità nazionale palestinese) e Hamas in una condivisione del potere, mentre Hamas cerca di mostrare al Mondo il crudele volto sionista che distrugge moschee, scuole e ospedali, ma si glissa sul particolare che le componenti radicali palestinesi preferiscono quei luoghi per collocare le rampe di lancio per i razzi da lanciare sul territorio israeliano.

Come gli organi d’informazione, le varie cancellerie, mostrano tutta la loro incapacità a offrire uno sguardo globale, e non globalizzato, sulla situazione internazionale, così anche l’intellighenzia che popola questa Terra si accorge solo di alcune tragedie, come dimostra l’appello – versione completa in italiano –  di un centinaio di nomi di varie nazionalità per “esigere” dall’ONU che imponga un embargo sugli armamenti, come quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid, verso Israele.

Il problema non può essere focalizzato sul blocco di forniture militari, ma deve salvaguardare la popolazione civile da periodiche esibizioni muscolari. Un tale embargo è più facile applicarlo a Israele, ma di difficile applicazione nei confronti dell’universo eversivo jidaista. Entrambi i contendenti non hanno solo la capacità di scavalcare embarghi e divieti, ma soprattutto la possibilità di fabbricarne in proprio.

Diventerà sempre più impellente una riflessione sui costi e i benefici di un tale conflitto che non migliora le condizioni di vita dei due popoli, anzi si potrebbe scoprire che di certe esibizioni militari ne beneficiano solo i gruppi che tendono a conservare il potere.

Sicuramente per Hamas, con l’attenuarsi del sostegno di sponsor importanti come la Siria e Iran, questo scontro sarà un’occasione per ribadire la sua vitalità, nonostante l’esilio del suo leader Khaled Meshaal in Qatar, mentre Israele, a costo di commettere numerose vittime “collaterali”, afferma la sua forza cieca perché nessuno si deve permettere di minacciarne la sua esistenza.

Il risultato, secondo il filosofo americano e teorico della “guerra giusta” Michael Walzer, è il rafforzamento di Hamas, mentre Netanyahu cerca una scusa per evitare la creazione di uno Stato palestinese.

Mentre un altro intellettuale di origine ebraica, Zygmunt Bauman, afferma che Israele non costruirà mai la pace con una politica della “doppia” giustizia e condannando Gaza a una sorta di enorme prigione a cielo aperto, dove i pescatori non possono allontanarsi più di tre miglia dalla costa per procurarsi quel poco per sopravvivere, sotto lo sguardo sospettoso della marina israeliana.

Non si può vivere sotto la minaccia di missili che possono cadere ovunque e in ogni momento, ma se Israele ha la sua cupola missilistica “protettiva”, Hamas si fa scudo della popolazione e dopo le ennesime vittime “collaterali” nelle strutture dell’Onu è indispensabile una tregua riflessiva, svincolata da ogni pretesa, perché non è in gioco solo la vita di donne e bambini, ma il futuro di una generazione allevata nell’odio e diffidenza verso il prossimo.

Non si può affermare che 2mila morti, in gran parte civili, si possa definire genocidio come asseriscono in molti, ma è sicuramente un massacro e un abuso contro l’infanzia. Un crimine perpetrato in forma differente da entrambe le parti. Un bambino di sei anni ha già vissuto per tre volte le giornate e le notti fatte di esplosioni e paura.

Non si possono vagliare i termini di una tregua. Una tregua è far cessare il micidiale rumore delle armi che preannunciano nuove vittime e non avvantaggiare una delle parti in conflitto. Indire una tregua per tramutare la situazione di non belligeranza in convivenza pacifica.

La tregua non è una soluzione, ma un’opportunità per trovarne una duratura svolta pacifica, come non ha mancato di sottolineare il Segretario di stato statunitense John Kerry in occasione del raggiungimento dell’ennesima tregua che sfumerà poche ore dopo. È un primo passo che purtroppo nessuna delle due leadership vuole fare, anzi cercano ogni possibile occasione per riprendere lo scontro. Una possibilità di risolvere la “questione palestinese” potrebbe essere quella di chiudere in una stanza la dirigenza delle parti in causa e non aprire sino al raggiungimento di un accordo di accettazione reciproca. Questa è la via “diplomatica”, poi c’è quella muscolare modello Orazi e Curiazi da svolgere come sfida in uno spazio desertico e con un numero di contendenti uguale per l’una parte e l’altra, per risolvere all’arma bianca una volta per tutte ogni controversia.

Due possibilità che appaiono improponibili in questa fase. Intanto gli artisti e gli intellettuali palestinesi e israeliani si schierano contro l’ennesima prova di forza dei due contendenti che alla fine non potranno sfoggiare una vittoria, nonostante gli immancabili comunicati trionfalistici, ma il cui unico reale risultato saranno le numerose vittime civili, donne e bambini, in numero sempre più elevato, lasciando un’infanzia orfana non solo dei genitori, ma anche vittime di mutilazioni fisiche e psicologiche.

Ora sembra che il primo passo per una tregua durevole sia stato fatto, ma cosa sono serviti gli oltre 2mila morti e i 17mila feriti, oltre alla distruzione di abitazioni, scuole e ospedali, se non ad incrementare astio tra i due popoli. L’apertura dei varchi della “Striscia” offre un’opportunità di nuovi affari per società, organizzazioni e liberi battitori, senza contare l’aggiornamento degli arsenali.

Non si poteva arrivare al dialogo prima? senza far soffrire una popolazione che vive in un territorio sotto sorveglianza e non creare un’immagine di vittima di Hamas.

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02 OlO Medio Oriente conflitto israelo-palestinese Razzi sulla Pace  Israele e Hamas ai tempi di Twitter

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Israeli strikes in Gaza destroy office of Hamas premier.

 

 

 

 

 

 

 

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Impronte nel Vento

Creare un’economia nei campi profughi di Shu’fat (Gerusalemme) e Kalandia (Ramallah), tra i luoghi più disagiati per le restrizioni alle quali gli abitanti sono sottoposti, è un’impresa ardua. Non sono luoghi isolati dal Mondo come Gaza, ma sono sempre dei campi profughi dove il vero nemico per un futuro migliore può essere rappresentato dal fatalismo degli eventi per dare una speranza attraverso l’affinamento del processo produttivo secondo criteri etici e solidali per generare un reddito.

La Palestina è un luogo ricco di risorse possibili, intellettuali ed umane, devastato da un conflitto senza fine e come in ogni situazione difficile l’ingegno si acuisce per dare il meglio dell’inventiva nel rispondere ai bisogni prioritari generati dalla situazione di conflitto e povertà endemica in una parte della popolazione, coniugando lo sviluppo educativo con quello economico.

È su queste premesse che l’organizzazione Vento di Terra è intervenuta, stimolando anche la creatività individuale, con il progetto Impronte di Pace per dar vita ad un modello associativo della lavorazione della pelle, in tutti i vari aspetti produttivi e commerciali dei sandali Made in Palestine.

È attraverso la rete di proprie Botteghe del Mondo dell’organizzazione no-profit di commercio equo e solidale Nazca che Impronte di Pace troverà sostegno per la vendita.

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