Per chi ha dimenticato e per chi non sa cosa è stata l’emigrazione degli italiani negli anni ’50 (l’ultimo nostro grande esodo in cerca di lavoro dei poveri dai paesi e dalla provincia), per chi non ricorda o non può sapere la pena, la fatica, l’umiliazione dei nostri fratelli di allora, dovremmo tutti rivedere il film “La ragazza in vetrina” di Luciano Emmer del 1961, dove è descritta la terribile esperienza del lavoro in miniera per chi fuggiva dalla fame per andare a morire in fondo alle gallerie!… (E qui confesso la mia emozione nel riconoscere fra i minatori nientemeno Totò, un bel giovanottone figlio di poveri contadini, Totò che ricordo bene fuggì dal paese, io ero bambino, per andare a lavorare in miniera e che poi, ritornato, ci raccontava di questo film e della particina che aveva avuto nella storia)…. E ancora, per chi ha dimenticato chi siamo e cosa la nostra povera gente ha vissuto, dovrebbe rivedere l’odissea dei solfatari siciliani in fuga verso la Francia nel bellissimo film di Pietro Germi “Il cammino della speranza“.
Sono documenti di umanità e di verità che dovrebbero far rivedere nelle scuole, ai ragazzi che vivono attaccati ai vari tablet e smartphone, e che nemmeno alzano la testa per guardarsi intorno.
Che ne sanno dei nostri padri e fratelli di allora? Della loro pena, del loro coraggio e della loro speranza?… RICORDIAMOLI!
In Yemen 370mila bambini soffrono, mentre in Colombia sono stati 220mila le vittime della guerra civile, in 10 anni in Messico sono scomparse 30mila persone, in 5 anni di guerra in Siria i morti sono 270mila, in Iraq e Afghanistan, nonostante i tentativi di “normalizzazione” dell’Occidente, si continua a morire per attentati terroristici, come anche in Pakistan, mentre il Africa si soffre per carestia e conflitti.
Nel Mediterraneo, secondo l’International Organization for Migration (Iom) e confermato dal portavoce dell’agenzia per i rifugiati Unhcr William Spindler, sono circa 3mila le persone che hanno perso la vita, nel tentativo di fuggire da guerre e povertà nel sud del mondo.
Tante, troppe sono le persone torturate e assassinate, per poter dare giustizia a tutti, ma una cosa si potrebbe fare: non cadere nella banalità di additare l’assassinio e la tortura come “brutale”. È lapalissiano che tali azioni sono brutali. Come può esistere una tortura amorevole? E’ come affermare che un indigente soffre della mancanza del minimo indispensabile. È brutale rifiutare protezione a donne e bambini.
Usare un vocabolo come “brutale” solo per catturare l’attenzione dell’ascoltatore, o lettore, sminuisce le molte altre azioni violente che gli umani sono capaci di pensare e realizzare.
I crimini che si sono perpetrati contro l’umanità non sono solo “circoscritti” ai genocidi del ‘900 degli Armeni o degli Ebrei, dei Curdi o dei Ruandesi, ma anche il crimine quotidiano degli attentati e della prevaricazione delle potenti multinazionali nei confronti delle piccole comunità, per sorvolare sulle stragi in varie forme dei nativi delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia per colonizzare e civilizzare.
Un’umanità in gran parte vittima di un’omologazione forzata che nega la possibilità di vivere in tranquillità nelle differenze, pregando come e dove si vuole, se lo si desidera, e nella lingua che si conosce.
Un’omologazione indotta da una globalizzazione a senso unico che evita gli scambi e le contaminazioni, per una crescita delle varie società, dando precedenza alla prevaricazione.
L’arroganza dell’Occidente nell’imporre i propri docmi, sino a voler esportare la sua pretesa Democrazia.
La strumentalizzazione delle religioni per interesse e predominio di alcune persone su altre, sbandierando la Guerra di Religioni solo per esacerbare gli animi.
Mai come in questi ultimi anni nei conflitti non si fa alcuna distinzione, colpendo scuole, ospedali e edifici di culto. Prima erano danni collaterali, ora sono degli obbiettivi per snidare i terroristi.
In questi ultimi anni si è superato ogni limite, non esistono più aree esenti dall’odio, rendendo qualunque luogo un obbiettivo, un target dei conflitti.
Durante l’assedio di Sarajevo i suoi abitanti riuscivano a condurre una vita quasi “normale”, cosa impossibile per Aleppo dove all’assedio si aggiunge a un martellante bombardamento. Una guerriglia urbana trasformata in un distaccato rilascio, notte dopo notte, di bombe dal cielo che non solo nega un’infanzia ai bambini, ma li terrorizza se non riesce ad ucciderli.
Le vittime prescelte sono sempre le donne e i bambini, non solo nei conflitti, ma soprattutto negando loro un futuro, riducendoli in schiavitù. Un destino riservato anche agli uomini di quell’umanità oppressa, spinta alla competizione che esclude i timidi.
Non solo in Sudafrica, in India, e nel Sudamerica si fa scempio della donna e di minori che riescono ad arrivare in Occidente. Secondo l’ultimo rapporto di Oxfam Italia i minori che giungono in Italia dopo viaggi perigliosi, spariscono dalle strutture di accoglienza, probabilmente fuggono per raggiungere i parenti nelle diverse città europee, ma c’è anche chi finirà negli ambiti delinquenziali, perché gli adulti invece di proteggerli li utilizzano nello sfruttamento minorile.
Nel Mondo regna la diseguaglianza tra generi e popoli, tra nazioni e continenti, tra i pochi che hanno il 99% della ricchezza mondiale e la moltitudine spesso sopraffatta per avere una fetta di quell’uno percento disponibile.
Il grido «#NiUnaMenos» («Non una di meno») che echeggia per le strade di Buenos Aires per chiedere giustizia per l’ennesima donna, ragazza, violentata e uccisa, comprende e abbraccia i bambini e tutte le vittime di una vita prepotente.
Tra le strategie dell’Unione europea contro la povertà e l’emarginazione, per non lasciare indietro nessuna persona, ha attivato una piattaforma, nell’ambito delle sette iniziative prioritarie dell’Europa 2020, per una crescita intelligente, sostenibile e solidale.
Una piattaforma che potrebbe rimanere al palo di un semplice studio statistico o di un’indagine demografica, mentre 4milioni di italiani conoscono la fame, soffrendo l’inutilità di un “aiuto” virtuale, per appoggiare concretamente le strutture economico-finanziarie.
I propositi dell’Unione sono nobili nell’intervenire nel mercato del lavoro, per un reddito minimo, garantendo l’assistenza sanitaria, l’istruzione, gli alloggi e l’accesso a conti bancari di base.
Superstiti del deserto e del mare, compagni di chi è perito durante il cammino o chi è scomparso nel Mediterraneo, sono ora abbarbicati sugli scogli tra l’Italia e la Francia.
Sono centinaia di migranti salvati dalla flotta transnazionale dell’operazione Tridente e che ora vengono bloccati nel proseguire il loro viaggio per raggiungere i parenti e gli amici sparsi per l’Europa.
Alcuni hanno accettato di trasferirsi nei locali della stazione di Ventimiglia, altri sono stati obbligati ad abbandonare gli scogli con blitz della polizia italiana, ma il terreno accidentato degli scogli non ha permesso di completare l’intervento imposto per dissuadere ogni protesta.
Un’umanità affamata e disorientata che può contare solo sulla solidarietà di associazioni del volontariato e dei singoli, non solo sul confine italo-francese, ma anche alla stazione centrale di Milano e quella Tiburtina a Roma, per aiutare donne, bambini e uomini in quei non “luoghi” in attesa di una destinazione.
Una piccola parte di quel popolo di 60 milioni di senza cittadinanza e in attesa di una nuova patria che compone la nazione degli invisibili.
Migranti che fanno litigare l’Ue, una vera zizzania per l’Europa sul cosa fare di questi africani e mediorientali. Un’Europa che prima si è dimostrata ostile a dare un aiuto all’Italia, alla Grecia e a Malta nel salvarli dal Mediterraneo e ora non vuole andare oltre nel fornire mezzi e personale.
Di quei fuggiaschi dai conflitti e dalle carestie non tutti saranno accettati in Francia e in Germania, in Svezia come in Belgio, altri paesi non vogliono neanche ipotizzare di concedere lo status di rifugiato.
Sfamiamoli e curiamoli, ma poi rimandiamoli da dove sono venuti: la loro sorte non è un problema dell’Europa.
Per fortuna non tutti hanno una visione egoistica della vita ed ecco giovani e anziani che portano cibo e prodotti per l’igiene, giocattoli e indumenti.
A Roma le iniziative private hanno trovato in un’ex vetreria industriale dismessa, oggi sede del centro Baobab, un luogo di raccolta dei generi di prima necessità, mentre a Milano è stata l’amministrazione comunale ad affiancarsi velocemente al volontariato.
A Ventimiglia sono arrivati 200 kit alimentari e igienici raccolti da Music For Peace, in sinergia con la comunità di San Benedetto, e qualche associazione francese ha fatto capolino, intimidite dal Front National.
Una solidarietà di cittadini che agisce, lasciando filosofeggiare i paesi dell’Ue sui risvolti del trattato di Schengen e quello di Dublino.
Una situazione quella italiana che da anni esiste a Cale,
Gli oltre 10 milioni di persone (fonte UNHCR) che si trovano senza una cittadinanza hanno una “rappresentanza” con la partecipazione di Nationless Pavilion (Padiglione di coloro privati di una Nazione) alla 56esima Biennale d’Arte di Venezia.
Una decina di milioni che fanno parte di una nazione che conta una popolazione di circa 60 milioni di profughi (fonte Rapporto Global Trends 2014 dell’UNHCR), che è passata dal 25mo posto ad occupare il 24simo nella graduatoria degli stati popolosi.
Quella di Nationless Pavilion è un’iniziativa che non potrà dare un riconoscimento legislativo a così tante persone, ma sarà occasione per focalizzare l’attenzione del pubblico sul dramma della migrazione e delle cause che spingono un “popolo” ad abbandonare le proprie case, attraverso i contributi visivi di: Gregory Beals, Elena Bellantoni, Shady El Noshokaty, Rosa Jijon, Stalker/Osservatorio Nomade, Calixto Ramirez Correa, Emanuele Satolli.
Una provocazione non solo artistica, ma geopolitica per chi non viene riconosciuto per la mancanza di un passaporto, in un momento dove il populismo e la xenofobia è la bandiera di movimenti che stanno portando la destra al governo in molti stati europei.
Governi questi che si oppongono ad ogni tipo di solidarietà ad ogni flusso migratorio e proclamano la separazione come modello di vita, negando la ricchezza della multiculturalità.
In ottobre, dopo la Tavola Rotonda di maggio sull’Essere “tra”, Abitare la 25° Nazione – Un gesto di apparizione, quali territori e diritti?, sarà attivato un laboratorio aperto per “costruire-costituire” ” la Nazione 25, per analizzare agli aspetti comuni al popolo migrante: motivi della partenza, viaggio/attraversamento, concetti di confine, orizzonte e/o meta, attesa, identità ibrida. Una fuga dai luoghi che sarà analizzata agli aspetti comuni al popolo migrante. Un esercizio paradossale per fissare con l’immaginazione un’entità mutevole, ma con alcune esigenze comuni da mettere a fuoco.
“Casa dolce casa”. Più che un modo di dire, per molti di noi, questa frase è una certezza. Fatta di calore, affetto, condivisione. Ma per oltre 50 milioni di rifugiati e sfollati la casa è solo un ricordo spezzato dalla guerra e dalla violenza.
Ai rifugiati e agli sfollati che non hanno più un posto sicuro dove stare è dedicata la campagna di comunicazione e raccolta fondi “Casa Dolce Casa” che l’UNHCR lancia dall’8 al 28 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.
Con la campagna l’UNHCR vuole sensibilizzare e raccogliere fondi per quattro fra le più gravi crisi umanitarie degli ultimi decenni: Siria, Iraq, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan.
Donando al 45507 è possibile fornire a migliaia di rifugiati e di sfollati in Siria, Iraq, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan una tenda per 5 persone, un kit di pentole e una tanica per l’acqua, oggetti essenziali per sentirsi al sicuro in una situazione di emergenza.
Una mobilitazione che raggiungerà il picco massimo il 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato con il maxi evento concerto “World Refugee Day Live”, che si terrà a Firenze presso Il Parco delle Cascine (Ippodromo Del Visarno).
Dalle 15 in poi, l’attore Francesco Pannofino e la giornalista di Piazza Pulita Valentina Petrini chiameranno a esibirsi sul palco diversi big della musica italiana, tra i quali Elisa, Bandabardò, Enrico Ruggeri, Virginiana Miller, Jaka Djset, Cecco e Cipo, Didiodato, Dimartino, Piero Pelù, Brunori Sas, Sandro Joyeux, Gatti Mezzi, Appino, Street Clercks e Francesco Guasti.
Con l’acquisto di ogni biglietto si garantirà acqua per un mese ad un rifugiato che vive in condizioni di emergenza.
Protagonista e simbolo del concerto, una chitarra speciale realizzata da un liutaio di Cortona, che in questi giorni sta spopolando sul web e sui media.
Si tratta di “Mare di mezzo”, una chitarra realizzata con il legno di un barcone naufragato a Lampedusa, che suonerà al “World Refugee Day Live” per ricordare le vittime delle tragedie nel Canale di Sicilia.
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