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La gloria dei vinti

Rendere omaggio al valore dei vinti è un concetto di grande generosità purtroppo poco tenuto in considerazione sia in passato che nel presente; c’è stata comunque qualche eccezione una delle quali riguarda un antico re, Attalo I di Pergamo. Era il sovrano di un piccolo regno dell’Asia Minore originatosi dallo sfaldamento dell’impero di Alessandro Magno e nel 240 a.C. sconfisse i Galati, una popolazione di origine celtica stanziata al centro dell’attuale Anatolia, che imperversava con sanguinose razzie nelle regioni vicine.

La vittoria ebbe grande risonanza nel mondo ellenistico ed Attalo la sfruttò commissionando due grandi opere bronzee che lo celebravano. La prima, nota come “il Grande Donario”, era costituita da una base circolare che ospitava, a detta di Plinio e Pausania, tre grandi statue, di misura superiore al vero, rappresentanti Galati sconfitti e morenti; opera dello scultore Epigonos era collocata nell’acropoli di Pergamo vicino al tempio di Atena Nikeforos (apportatrice di vittoria). L’altra, conosciuta come “il Piccolo Donario”, fu donata da Attalo ad Atene e posta sull’acropoli su una base a forma rettangolare, era insieme a altri gruppi simili rappresentanti l’Amazzonomachia, la Gigantomachia e la Medomachia; la donazione aveva sicuramente lo scopo di creare un gemellaggio tra Atene e Pergamo sia culturale che politico.

Le statue poste sulla base, di cui rimangono i resti, elevata di quasi due metri, erano circa una quarantina alte un po’ meno di un metro. Si ignora che fine abbiano fatto i due donari bronzei, si ritiene che durante il periodo imperiale siano stati portati a Roma da Nerone per la Domus Aurea e in seguito spostati da Vespasiano nel Templum Pacis dopodiché non ne abbiamo più notizie; due statue, il Galata morente ed il Galata suicida, appartenenti ad una copia  in marmo, forse di origine pergamena della seconda metà del I secolo a.C., furono rinvenute nel ‘600 nella Villa Ludovisi in una zona dove nell’antichità erano gli Horti Sallustiani precedentemente appartenuti a Giulio Cesare, forse il gruppo statuario fu un omaggio dei maggiorenti di Pergamo. Ora fanno parte la prima delle raccolte dei Musei Capitolini, la seconda di quella di Palazzo Altemps; secondo il professor Coarelli, in base a quanto descritto da Plinio, dovrebbe essere aggiunta al gruppo la statua, ora non più esistente, di una donna morta con un bambino.

Il Coarelli ha anche studiato il Piccolo Donario e ha curato una mostra, promossa dalla Soprintendenza e da Electa, che si tiene a Palazzo Altemps e che ha permesso la parziale ricostruzione del complesso artistico utilizzando statue provenienti da vari musei.

La storia moderna del Piccolo Donario inizia nel 1514 quando, da una lettera inviata da Filippo Strozzi a Lorenzo de’ Medici, nipote del Magnifico, apprendiamo che durante alcuni  scavi in un convento femminile, forse l’attuale Sant’Ambrogio della Massima, furono trovate cinque statue, di misura minore del vero, rappresentanti guerrieri morti o feriti; poco dopo ne furono trovate altre due. Conservate originariamente in Palazzo Medici, ora Madama, quattro statue passarono ai Farnese e poi ai Borbone di Napoli che le assegnarono all’attuale Museo Archeologico; altre tre finirono nella raccolta Grimani che ha costituito il nucleo del Museo Archeologico di Venezia.

Tre statue, forse pertinenti al Donario, sono conservate nei Musei Vaticani, al Louvre ed ad un museo ad Aix en Provence, questa con poca probabilità in quanto di dimensioni leggermente superiori alle altre. Dalla località del ritrovamento si può pensare che le statue ornassero il Portico di Ottavia o quello di Filippo; dato che dallo stile sembrano essere databili al II secolo d.C. potrebbero appartenere ad un grande restauro dei portici avvenuto all’epoca di Settimio Severo. La mostra curata dal Coarelli espone otto immagini di barbari  morti o feriti, una è una donna, poste in una posizione forse corrispondente all’originale unitamente ad un frammento del basamento proveniente da Atene. Nella stessa sala il gruppo del Galata suicida ed un grande sarcofago di epoca severiana che rappresenta una convulsa battaglia tra Romani e barbari; fanno parte dell’ordinario arredo museale ma sono idealmente collegati alla mostra. Il titolo di questa La Gloria dei Vinti vuole significare una concezione umana e generosa del rapporto tra vincitori e vinti; i Galati sconfitti sono ammirati e rispettati, il capo che si suicida, dopo aver ucciso la moglie, si volge con sguardo di sfida verso il vincitore mentre si immerge la spada nel petto; i due Donari mostrano solo i vinti non i vincitori che infieriscono contrariamente al grande sarcofago che presenta i barbari come selvaggi che meritano di essere distrutti senza pietà. Questa differenza di sensibilità è chiaramente visibile anche confrontando la Colonna Traiana con l’Antonina, tra le due corrono poco più di sessanta anni ma lo scenario politico e militare era molto cambiato: Traiano vincitore senza problemi può permettersi di rispettare ed ammirare il vinto Decebalo, l’impero è tranquillo, il nemico è lontano, il barbaro è ostile ma non fa paura. Marco Aurelio invece ha i barbari vicini, combatte ma non vince i Marcomanni, nell’impero c’è peste e carestia, il nemico terrorizza, mette in discussione gli equilibri faticosamente raggiunti, va annientato senza pietà e considerazione.

La mostra è una esposizione accurata del Piccolo Donario corredata da cartelli esplicativi ed esibisce anche una piccola ricostruzione del Grande Donario con le esatte posizioni delle due statue esistenti e quella probabile della terza.

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06 Mostre Piccolo Donario fotonews1LA GLORIA DEI VINTI

Pergamo, Atene, Roma

Dal 18 aprile al 7 settembre 2014

Roma

Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps

Orario:

da martedì a domenica dalle 9,00 alle 19,45

Curatore Filippo Coarelli

Catalogo:

Electa

Informazioni e prenotazioni:

tel. 06/39967700

tel. 06/56358003

Sito web

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L’esaltazione della dissimulazione in un Ballo

 L’Accademia di Belle Arti di Venezia celebra il Bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi (1813-2013) con un progetto interdisciplinare incentrato sulle opere verdiane Un ballo in maschera e La traviata. L’interpretazione data dalla curatrice Ivana D’Agostino, docente di Storia del Costume e della Moda degli eventi narrati dal libretto di Un ballo in maschera, scritto da Antonio Somma sulla traccia di Eugène Scribe, ne sposta gli avvenimenti dal XVII secolo al 1910.

Questa idea nasce dalla considerazione che il benessere di Boston, location dell’opera verdiana, incrementato nell’Ottocento e Novecento, come conseguenza della colonizzazione inglese del periodo considerato dal libretto, fu tale, non ultimo, anche a seguito delle terre espropriate ai nativi americani, i pellerossa delle tribù dei Mohawk, dei Wamponoag, dei Massachuset, ridotti così a vivere nelle riserve.

Il costituirsi di una classe imprenditoriale e della finanza portò i bostoniani a confrontarsi con la cultura e l’arte europei. La casa-museo inaugurata all’inizio del Novecento di Isabella Stewart Gardner, sposata a Boston con John Lowell Gardner II, con cui condivideva l’amore per il collezionismo di opere d’arte, diventa pertanto emblema della élitaria borghesia di quegli anni, trasformandosi idealmente nel palazzo di Riccardo conte di Warwich, il cui potere e prestigio esprime attraverso una dimora di raffinato gusto europeo.

Indicatori visivi di coloro che di questa interpretazione di Un ballo in maschera sono i “personaggi chiave”, diventano il gilet e la fodera del domino di Riccardo, dipinti con cavalcate dei pellerossa tra i paesaggi del Massachuset, e la coperta indiana indossata come un mantello dalla Donna misteriosa – una figurazione speciale che impersona la figlia di un capo tribù che interviene al ballo del III atto – decorata con gli stessi fregi degli abiti di Riccardo: emblemi di chi, a seguito delle conquiste coloniali ha consolidato benessere e ricchezza sottraendolo ai nativi; e di chi, discendente da quelli, arma la mano dei sicari che uccideranno Riccardo, e il potere che rappresenta, volendo ridare voce e dignità ad un popolo usurpato. Valori universali, dunque, che hanno a che fare con la storia dell’umanità in tutti i tempi.

Al taglio progettuale dato si uniformano anche l’ideazione dei figurini e dei costumi che risentono dell’influenza dell’haute-couture francese sullo stile della ricca borghesia americana. Queste considerazioni, e l’uso attento dei colori hanno dato carattere agli otto personaggi (quattro del libretto, Riccardo, Amelia, Ulrica, Oscar, e quattro figurazioni speciali inserite nella scena del ballo, Una donna misteriosa, Una giovane ereditiera, Una giornalista di New York e La moglie di un banchiere di Boston) su cui le allieve del Biennio di Costume, di Pittura e di Grafica d’Arte hanno lavorato realizzando non solo figurini e costumi, quant’anche la pittura su stoffa ispirata ai decori secessionisti delle Wienerwerkstätte e a quelli Déco dell’Atelier Martine, trasformando i manichini per gli abiti, realizzando le parrucche ed i gioielli.

Per rendere fattiva un’operazione trasversale di questa portata si sono attivate le competenze specifiche di vari Atelier dell’Accademia e professionalità esterne all’istituzione.

L’Atelier di Scultura del prof. Giuseppe La Bruna ha preso parte al progetto modificando tutti i manichini da esposizione con l’aggiunta di teste stilizzate, braccia e mani. La presenza di un costumista, Andrea Cavalletto, ha svolto invece il compito di coordinare l’intero iter di progettazione a partire dai figurini, ai complementi dei costumi, alla scelta dei tessuti, così da garantire l’unità necessaria tra la chiave di lettura data al progetto, e l’esecuzione dei costumi, effettuata dalle allieve col supporto dell’Atelier Nicolao, la cui esperienza nell’ambito teatrale risulta indispensabile alla resa sartoriale dei manufatti.

I bozzetti scenografici e le maquette realizzati per Un ballo in maschera dalle allieve del Biennio di Scenografia, indirizzo Architettura di Scena del prof. Lorenzo Cutùli rispondono anch’essi stilisticamente nella progettazione degli spazi a questa chiave di lettura, con l’eccezione di quelli di Milica Mitrović ispirati a una Venezia visionaria.

E a Venezia che fu sede della prima rappresentazione di Traviata nel 1853 al Gran Teatro La Fenice, alla fascinazione delle sue architetture riflesse, dell’elemento acquoreo, dei suoi preziosismi orientali, delle sue tipicità ed unicità, delle sue commistioni e tangenze culturali, fanno riferimento i percorsi di creazione progettuale dell’ambientazione scenografica degli allievi del triennio e del Biennio di Scenografia dell’indirizzo Architettura di Scena coinvolti nel progetto, a cui la città lagunare ha suggerito  un primo fondamentale approccio, supportato dall’approfondimento di studio del libretto e delle sue connotazioni storiche.

Per Traviata, nei progetti proposti dagli allievi del prof. Lorenzo Cutùli, si ritrovano i colori dell’anima: il rosso della passione, il freddo della solitudine e della malattia, i toni aranciati e i verdi acidi dell’aristocrazia corrotta preda delle feste e del gioco d’azzardo, inneggianti la mercificazione del corpo femminile.

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BOZZETTI FIGURINI MAQUETTES

Personaggi e spazio scenico di Un ballo in maschera e La traviata

Dal 25 aprile al 18 maggio 2014

Venezia

Magazzino del Sale 3

Dorsoduro 264, Zattere

Mostra di figurini, costumi, bozzetti scenografici e maquettes

 

Curatore: Ivana D’Agostino

Orari apertura:

dalle 11,00 alle 18,00

chiuso il martedì

Ingresso:

libero

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Scopophilia: passione del guardare

Sei mesi d’amore tra le opere del Louvre.

 Alla Gagosian Gallery di Roma

forma ovoidale in assordante brusio

NAN GOLDIN

realizza espone e svela

con  maestria non solo d’arte fotografica

l’antico studio che noi mortali

elaboriamo perduta-mente all’infinito

sorpresi confusi e persi

già dal riflesso fatale della fonte

illusorio amplesso del sogno e del vero

dove arte della natura e natura dell’arte

si specchiano e si confondono

nell’effimero mistero del corpo

idolo mortale e irraggiungibile

che l’artista americana come ognuno

ADORA

“il resto è silenzio”.

Poi…l’adagio del paesaggio azzurro

in quattro quarti

riporta celesti melodie dell’anima

mentre l’occhio riposa

dove tace finalmente la mente.

 

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06 Mostre Gagosian 4150d5909ec97210327f11e8f6946cddNAN GOLDIN:

Scopophilia

Dal 21marzo al 24 maggio 2014

 

Roma

Gagosian Gallery

via Francesco Crispi, 16

tel. 06/420.86498 – 06/4201.4765

sito web

 

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Klimt: Un lusso emaciato

Sono una ventina le opere di Klimt in mostra a Palazzo Reale a Milano. Può sembrare un numero piuttosto esiguo, ma se si considera che sono solamente cento le opere di Klimt in tutto il mondo e che è difficilissimo che il Museo Belvedere di Vienna acconsenta a richieste di questo genere, si può capire come una visita alla mostra in corso sia una occasione quasi unica per ammirare opere (come il Girasole) che non sono mai uscite prima dall’Austria.

Ma con l’Italia Klimt ha avuto e continua ad avere rapporti privilegiati: basta ricordare il forte influsso esercitato su di lui dai mosaici della basilica di San Marco a Venezia – visti alla luce del primo mattino durante la sua visita in Italia – che lo ispirarono molto di più di quelli di Ravenna, come fa notare Alfred Weidinger, vicedirettore del museo Belvedere e curatore della mostra.

Poi il primo premio, con conseguente acquisto dell’opera, alla Biennale di Venezia del 1910 con la Salomè, cui fece seguito un altro acquisto a Roma nell’anno successivo. E l’Italia risulta non solo la prima nazione al mondo ad acquistare le sue opere all’estero a livello di istituzioni, ma anche quella che ha promosso la rivalutazione di Klimt, dopo gli anni dell’oblio, ad opera della Biennale del 1984, dedicata alle Arti di Vienna.

Aggiungiamo inoltre la storia che per tanto tempo ha unito le nostre sorti a quelle dell’impero austriaco, e il fatto che gli italiani siano i visitatori più numerosi del Museo Belvedere.

La mostra, come dice il titolo, si incentra sull’ambiente in cui ha origine la  rivoluzione artistica di Klimt: il contesto familiare, l’influenza del padre orafo, l’amore per l’arte condivisa con i fratelli, la passione per la manualità artigianale, la frequenza alla scuola di arti e mestieri ed infine l’adesione alla Secessione Viennese, l’associazione indipendente di artisti e architetti fondata per rinnovare l’arte andando oltre gli accademismi.

Il gruppo, di cui Klimt diventa il presidente, realizza un padiglione espositivo, organizza mostre e laboratori di arte applicata.

Una ricerca preziosa dunque, alle radici dell’arte del grande pittore, corredata da opere del suo entourage artistico/familiare, da cartoline postali autografe, da notazioni autobiografiche.

Tra le opere maggiormente in evidenza la Salomè dalla Cà Pesaro di Venezia, il Girasole, i numerosi ritratti, Adamo ed Eva.

Interessante, infine, la sezione riservata ai paesaggi e spettacolare la sala dedicata al grande Fregio di Beethoven del 1902 realizzato per la XIV Mostra della Secessione: in questo allestimento è esposta la sua fedele ricostruzione (essendo l’originale inamovibile dalla sua sede), appositamente creata per la Biennale di Venezia del 1984, e  lo si può ammirare accompagnati dalla musica della nona sinfonia.

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06 Mostre Klimt, alle origini di un mito 700_dettaglio2_Gustav-KlimtKLIMT, ALLE ORIGINI DI UN MITO

Dal 12 marzo al 13 luglio 2014

Milano

Palazzo Reale

 

http://www.klimtmilano.it

 

Informazioni:

tel. 02/54917 (dal lunedì al venerdì dalle 10:00 alle 17:00)

www.ticket.it/klimt

www.ticketone.it/

prenotazioni gruppi e scuole

tel. 02/542727 (dal lunedì al venerdì dalle 10:00 alle 17:00)

prenotazione telefonica obbligatoria

 

Orari

lunedì 14.30 – 19.30

martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30

giovedì e sabato 9.30 – 22.30

il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura

 

Ingresso:

intero: € 11,00

ridotto: € 9,50

ridotto speciale: € 5,50

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La spina nel piede

Alcune sale dei Musei Capitolini in questi giorni sono, e lo saranno fino al 25 maggio, affollate d’immagini di un ragazzo seduto e chino su un piede per togliersi una spina. La mostra, organizzata da Zetema e curata da Claudio Parisi Presicce, ospita 45 opere e si basa su un antico bronzo romano noto da secoli come lo Spinario contornato da copie ed imitazioni più o meno fedeli che coprono un periodo che va dall’età classica all’800. La statua sta al Museo dal 1471 quando Papa Sisto IV donò al Popolo Romano un certo numero di opere d’arte antica già nel Patriarchio Lateranense ma risulta citata già da alcuni viaggiatori medioevali che la videro e la ritennero di un dio pagano talvolta giudicato negativamente per la sua nudità. Si tratta di un antico bronzo fuso a cera persa e costituito da vari pezzi assemblati, recenti studi hanno confermato che testa e corpo hanno origini diverse, la prima di V secolo a.C. ed il secondo di epoca ellenistica; si pensa siano stati uniti alla fine del I secolo a.C. e si giustifica questa convinzione esaminando la capigliatura che ha una posizione statica di una figura in piedi e non spiovente di un capo chino in avanti.

Le ragioni di questo assemblaggio forse possono essere motivate dalla moda che in epoca augustea ebbe la rievocazione del mondo pastorale, arcadico, idilliaco; il giovane pastorello colto in un momento realistico rispondeva al gusto delle classi agiate dell’epoca. Altra teoria vuole che simboleggi il giovane figlio di Enea, Ascano Iulo progenitore della gens Giulia a cui appartennero Cesare ed Augusto, a dimostrazione di ciò si fa notare un particolare ciuffo di capelli nell’acconciatura del giovane, presente solo in alcuni esemplari, e che avrebbe un carattere sacro. Pochi secoli fa invece si sosteneva che la statua rappresentasse un pastorello di nome Mazio che, incaricato di recapitare un importante dispaccio militare, a somiglianza del Tamburino Sardo di Deamicisiana memoria, avrebbe corso a lungo con una spina nel piede togliendosela solo dopo aver recapitato il messaggio.

La popolarità dello Spinario è stata ampia nei secoli dando vita ad un gran numero di copie e varianti. addirittura in epoca romana con due tipi differenti di testa, altri esemplari esposti sono di epoca rinascimentale con piccoli bronzetti ed esemplari in terracotta tra cui un’opera del Sansovino; una copia perfetta, proveniente dal Louvre, fu commissionata da un Cardinale d’Este per farne dono al re di Francia Francesco I. A mostrare la diffusione dell’iconografia della statua sono in mostra anche stampe e documenti cartacei e tre dipinti di epoca tardo barocca, due con figure non giovanili che si tolgono la spina dal piede ed una visione di Villa Aldobrandini con numerose statue sulle terrazze e tra loro un grande Spinario. Interessò anche i commissari di Napoleone che lo spedirono al Louvre da cui tornò nel 1818.

Da più di due millenni il misterioso ragazzo che si toglie la spina affascina chi lo ammira e ora, in mostra, attorniato da parecchi suoi simili, continua a destare l’interesse storico e artistico dei visitatori.

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Mostre Spinario 33SPINARIO

Storia e fortuna

Dal 5 febbraio al 25 maggio 2014

Roma

Musei Capitolini

Palazzo dei Conservatori

Orari:

da martedì alla domenica

dalle 9.00 alle 20.00

Catalogo:

De Luca

Informazioni:

tel. 060608 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00)

http://www.museicapitolini.org

http://www.museiincomuneroma.it

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