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Europa: Il futuro delle diseguaglianze

L’insulto e la mancanza di empatia da parte di certi politici diventa sempre più evidente con le continue “lezioncine” di Macron, come nel caso dell’arrogante risposta con la quale stigmatizzava l’affermazione del giovane disoccupato che non riusciva ad ottenere alcuna risposta al suo continuo inviare curricula, con un «Je traverse la rue, je vous trouve un emploi».

Al presidente francese gli basta attraversare la strada per trovare lavoro ed accusare i francesi di essere refrattari ai cambiamenti, al non voler trasferirsi, ma due articoli sui giornali statunitensi mostrano come il problema non è il trovare un posto di lavoro dopo il crollo della Lehman Brothers, ma avere un giusto compenso per poter vivere.

Nell’articolo “Americans Want to Believe Jobs Are the Solution to Poverty. They’re Not.” del NYT, la soluzione alla povertà non è avere un lavoro, come viene ribadito dal Time con I Work 3 Jobs And Donate Blood Plasma to Pay the Bills.’ This Is What It’s Like to Be a Teacher in America.

C’è chi insegna e poi si barcamena tra metal detector e visite guidate per poter non solo pagare le bollette, ma avere una vita dignitosa. Certe volte non basta e si sceglie di “donare” il sangue o magari vendere i propri vestiti. Questa è la “middle class” della provincia statunitense “fortunata” e poi ci sono gli indigenti, quelli che vivono, secondo l’Istituto nazionale di statistica e studi economici (Insee) francese, 13 anni meno dei ricchi, al maschile, i quali potendo vantare un tenore di vita medio di 5.800 euro al mese, possono ambire a restare in vita quasi 84 anni, mentre è probabile che chi ha 470 euro al mese non riesca ad arrivare al 72esimo compleanno.

In Russia le aspettative di vita scendono a 64 anni per gli uomini, mentre in Italia e in Spagna è intorno agli 80/84 anni senza essere benestanti, ma la qualità della vita non è comunque delle migliori.

Gli anni ‘70 con i suoi conflitti hanno portato una rinascita culturale ed economica che negli anni ‘80 è ‘90 si è consolidata tanto da far pensare che nel futuro poteva solo andar meglio, ma l’incapacità del centro destra nel gestire l’euro ha portato all’impoverimento di gran parte degli italiani, che solo ora sembravano di intravedere un lumicino, ma è stata presentata la “manovra popolo” che alcuni hanno voluto ribattezzare “manovra contro il popolo”, perché è manovra in deficit che può spaventare i mercati. Una manovra ispirata dalla Francia, senza voler contare che la situazione francese è ben diversa da quella italiana.

La Francia conta un Pil in rapporto con il debito pubblico pari al 96,4 , mentre l’Italia ha il 130%, poi ci sono altri fattori sommati di esposizione, ma in definitiva la Francia offre maggiori garanzie dell’Italia per gli investimenti/prestiti finanziari, pertanto è un rischio per gli italiani affidarsi ad una manovra in deficit per puntare alla crescita: immettere maggiore denaro non è una garanzia che poi circoli, perché si tagliano le tasse avvantaggiando però la fascia alta della società che è minoritaria nella popolazione.

Macron, nel tentativo di confutare l’appellativo di “presidente dei ricchi”, vuol varare un investimento di 8 miliardi in quattro anni, mentre il connubio pentastellato leghista vuol farsi amici tutti con il “reddito di cittadinanza” che dovrà essere modulato con dei controlli per renderlo inaccessibile agli “indigenti” dell’economia sommersa, del lavoro in nero, da una parte e dall’ altra con la Flat tax per rendere i facoltosi più ricchi, mentre chi non dovrebbe avere dei vantaggi è la fascia sociale media, quella più numerosa e che si troverà nel bel mezzo di una crescente disuguaglianza, fomentata dall’indebitamento.

Una disuguaglianza, quella italiana, che non si limita nel evidenziare la disparità tra gruppi sociali, ma anche tra le diverse aree geografiche. Una povertà che il Rapporto Caritas 2018 sentenzia in crescita, nel meridione tra gli italiani nel nord tra gli stranieri.

La mancanza di empatia, mascherata da un menzognero interesse per alcuni a discapito di altri, sembra la sigla distintiva della politica interessata a raccogliere consensi da un elettorato che ha dimenticato o non ha ancora scoperto che può avere una sua opinione e non è necessario accodarsi a chi grida e spaccia le sue decisioni per scelte popolari.

Si agita lo spauracchio di complotti “demo-pluto-giudaico-massonici” di tragica memoria, prendendosela con i tecnocrati di Bruxelles, con l’Unione europea incompiuta e con Soros, quando un governo pentastellato leghista si prepara a condonare, sotto mentite spoglie, i miliardi dovuti allo Stato.

Poi ci sono le scelte temerarie che hanno portato lo Stato a scommettere sui derivati per ridurre il deficit, creando una lacuna, tra il 2006 e il 2016, nei conti pubblici per quasi 24 miliardi di euro, ponendo la manovra all’attenzione della Corte dei Conti.

Il pentaleghismo parla di un complotto dilagante che coinvolge anche la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale e le agenzie di rating: l’Italia contro tutti questi miscredenti.

Orban ha usato Soros come “nemico”, ora anche i leghisti ne vorrebbero trarre vantaggio nell’additarlo come un capitalista impegnato nella solidarietà e di origine ebrea, d’altronde anche Trump ha imputato a Soros l’organizzazione delle manifestazioni contro la nomina di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema.

Anche il NYT potrebbe, se riescono a leggere almeno solo il titolo dell’articolo, rientrare tra chi complotta contro l’Italia “Why Italy Could Be the Epicenter of the Next Financial Crisis” (Perché l’Italia potrebbe essere l’epicentro della prossima crisi finanziaria), mentre The Economist amplia il panorama della prossima recessione con “The next recession”, coinvolgendo Trump e la sua guerra commerciale.

Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, oltre a rinnovare l’ammonimento sul prepararsi ad una nuova crisi ed a ricordare all’Italia che come membro della Ue è tenuta a rispettare le regole, pone l’accento sulla necessità di affrontare le crescenti diseguaglianze dei redditi e delle ricchezze non con delle politiche nazionali, come dimostrano i condoni italiani mescolati a redditi di cittadinanza, ma con uno sforzo comune a livello internazionale.

I vari governanti annuiscono alle affermazioni di Christine Lagarde, per molti una moderna Cassandra, ma continuano nello sport nazionale di ottenere un prestito senza rendersi conto che si perde un po’ della propria sovranità e chi ha elargito vuol proteggere comunque i suoi investimenti.

Il ministro francese degli affari europei Nathalie Loiseau, in un’intervista al quotidiano francese Le Monde (Budget italien: la ministre des affaires européennes française conteste l’argument démocratique invoqué par Rom), ammette le « trasgressioni” della Francia, ma ritiene anche difficile per l’Italia riuscire a coniugare le richieste degli elettori della Lega Nord e del Movimento a 5 stelle, tra la flat tax e l’amnistia fiscale con il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni.

Al coro dei preoccupati per lo spread si aggiunge anche Draghi, governatore della Banca centrale europea, aggiungendo che non ha la “Cristal bowl” la sfera di cristallo per predire il futuro, ma la Bce non è stata istituita per finanziare i deficit nazionali. Uno spread sui 300 punti solo perché i governanti italiani non riescono a convincere l’Europa nella volontà dell’Italia di rimanere nella Ue e nell’eurozona

È difficile prendere sul serio chi proclama di voler rimanere nell’Unione quando dichiara di non rispettare le sue regole e c’è anche chi prospetta, visto il consolidato risparmio italiano, un “autofinanziamento”.

L’Italia gioca sulla scadenza dei vari commissari europei, con le elezioni, e la Ue cerca di procrastinare ogni decisione punitiva per non fomentare umori antieuropeistici.

I due si studiano, aspettando le elezioni europee di primavera, a spese di quegli italiani che hanno qualcosa da perdere senza saperlo.

L’Italia è lasciata sola, in questa battaglia, anche dagli altri paesi che proclamano l’euroscetticismo, ma che gridano il rispetto delle regole.

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Ingoiare rospi gialli e verdi

L’accordo governativo, nonostante i continui scricchiolii, regge solo per il fatto che i pupari hanno un pupo da manovrare come il portavoce di due caratteristi d’avanspettacolo per uno spettacolo di ventriloquio.

Il pupo cerca di far andare d’accordo il giallo con il verde che è diventato blu, verde padano indipendentista con il blu sovranista più che nazionalista, ma i punti di attrito spaziano dalla gestione migratoria alla privatizzazione/nazionalizzazione e ora anche sulla revoca dei fondi alle scuole paritarie.

Sembra una gara per chi riesce ad ingoiare il maggior numero di rospi nella compagine giallo/verde per poi rimanere sulle poltrone e dimostrare quale visione del paese è migliore.

C’è chi grida e chi annuisce, ma anche chi fa il mimo in attesa di una pausa per parlare nel bailamme mentale in cui tale accordo ha fatto piombare l’Italia.

L’inizio ha visto un pareggio con i pentastellati che accettano un’alleanza con i leghisti fiancheggiatori di Berlusconi, mentre i leghisti hanno preso le distanze da Forza Italia.

Poi sono venute le controversie sulla flat tax e il reddito di cittadinanza, tanto che il ministro dell’economia più di una volta si è trovato a fare dei distinguo e frenare sull’attuazione di entrambe le proposte finanziarie e soprattutto lasciando operante il reddito di inclusione, criticato dal M5S e fortemente voluto dai governi Renzi e Gentiloni.

Anche il taglio delle pensioni d’oro è causa di attriti tra conviventi di governo, con la Lega che vuole alzare la soglia e Di Maio non intende fare marcia indietro per sostenere l’occupazione giovanile.

Sulla situazione migratoria i leghisti si presentano monolitici sull’imporre un blocco dei porti alle navi con naufraghi. Un blocco che coinvolge anche navi dello Stato italiano, come insegna il caso del pattugliatore della Guardia costiera Diciotti, arrivando a tenere segregate 177 persone per cinque giorni. I leghisti sono intransigenti, mentre i pentastellati sono su posizioni dialoganti, nonostante le minacce del loro responsabile politico e vice primo ministro verso l’Unione europea.

I leghisti hanno uno strano concetto di sovranismo se impediscono l’attracco in un porto italiano ad una nave della marina militare italiana perché ha salvato delle persone in balia del Mediterraneo.

Leghisti e pentastellati sembrano avere come unico bersaglio l’Unione europea e non i paesi che si oppongono alla ridistribuzione dei migranti e al superamento del Trattato di Dublino.

Una comunanza nel trovare la Ue il nemico dell’Italia che per i pentastellati non significa allearsi con l’Ungheria di Orban.

Dopo il crollo del ponte Morandi, a Genova, si riaccende lo scontro tra la visione leghista e quella pentastellata sulle nazionalizzazioni e le privatizzazioni. È a tale proposito che il prof. Carlo Maria Bellei, delll’Università degli Studi di Urbino, si “permette di chiarire al v. premier Di Maio, vista la “perplessità” pentastellata nel riscontrare l’apertura leghiste alla Società Autostrade, l’incompiuta storia delle concessioni, con una lettera aperta, e con la scelta centrodestra, Lega compresa, di eliminare nel 2008 tutti i vincoli dalla concessione ad Autostrade posti dal secondo governo Prodi.

Non ultima è la scelta di rivedere il finanziamento delle scuole paritarie, nella volontà del ministro pentastellato della pubblica istruzione di garantire il rispetto della legge sulla parità scolastica, oltre all’altalenante posizione sui vaccini.

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