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Egitto e Turchia: I Presidenti si ripetono

Per una seconda volta Al Sisi è Presidente dell’Egitto e il suo operato appare nella continuità di una Democrazia impegnata non solo nel dare la caccia ai terroristi e nel cercare di garantire almeno il pane ai quasi 100 milioni di egiziani, ma perseguendo ogni opposizione, senza escludere gli studenti e i blogger, gli avvocati e i giornalisti, rendendo la vita difficile ad ogni Ong impegnata nel far rispettare i Diritti basilari.

È un grosso impegno per una struttura governativa largamente incentrata sulla figura del presidente e nell’evitare di fare la fine di Mubarak e di Morsi, il primo fatto dimettere mentre il secondo è attualmente in prigione con l’accusa di aver organizzato l’evasione dal carcere dei vertici dei Fratelli Musulmani, un’occasione che non si sono fatti sfuggire le gerarchie militari per una “correzione” al fievole spiraglio di democrazia che aveva portato un pò speranza nei giovani di Piazza Tahrir.

L’Egitto è stato sempre sotto tutela militare, come pure la sua economia, e nonostante le elezioni plebiscitarie che offre a Al Sisi di vince le presidenziali col 97% del 41,5% dell’elettorato, può sorgere il dubbio di non vivere in uno stato democratico.

L’Occidente, oltre la Russia, ripone tanta fiducia nel generale fatto presidente per allontanare il Fratelli musulmani dal panorama politico e sociale egiziano, ma soprattutto per tenere sotto controllo le partenze migranti per l’Europa.

Il boicottaggio del voto è una vittoria per l’opposizione egiziana, che aveva bollato le elezioni una “farsa”, praticamente Abdel Fattah Al Sisi gareggiava contro se stesso, dopo i vari ritiri, in quanto il suo sfidante Moussa Moustafa Moussa si era presentato per legittimare il processo elettorale e per far gridare all’establishment che la Democrazia era salva.

Non sono stati ammessi altri candidati, sia che provenissero dell’apparato militare o dalle istanze nate da piazza Tahrir, l’uomo della “stabilità” punta sull’operazione militare anti terrorismo nel Nord Sinai, per trovare la legittimazione internazionale, più che garantire le libertà civili.

I continui giri di vite agli organi d’informazione hanno escluso dal panorama ogni dissenso e chi non tace può finire in prigione o scomparire come continua a succedere dopo il caso di Giulio Regeni.

Le autorità italiane, con la conferma di Al Sisi alla presidenza, confidano di poter risolvere il caso del ricercatore italiano ucciso al Cairo

Se per Al Sisi è la seconda volta, per Erdogan è, dopo aver governato per una quindicina d’anni e in vari ruoli la Turchia, la prima volta dopo le modifiche costituzionale e istituzionali che hanno resto il sistema turco iperpresidenziale, dove tutto dipende dal presidente: una “democratura” del nuovo sultano che festeggerà l’anniversario della repubblica turca, e magari del suo fondatore Ataturk, nel 2023 e continuare a gridare contro “le nazioni crociate”.

La Turchia ha il maggior numero di giornalisti in prigione e con un’impressionante epurazione tra le file del pubblico impegno (magistrati, insegnati, ricercatori, militari) e dove l’opposizione sopravvive nonostante i continui cambiamenti delle regole “democratiche” per escluderla dal panorama politico e sociale.

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Elezioni turche, il peso dell’economia

di Enrico Campofreda –

Fra gli avversari che Erdoğan annovera per le doppie consultazioni del 24 giugno, non a caso ampiamente anticipate per evitare scenari più sgradevoli, ce n’è uno difficile da battere: la crisi. Uno spettro che da dieci anni s’aggira con alti e bassi in giro per il mondo, ma che fa più paura in un Paese che tempo addietro pareva immune dalle strettoie che soffocavano economie vicine e lontane. Crescita del Pil a doppia cifra, un po’ come la Cina, la Turchia attirava capitali stranieri e ampliava investimenti interni rivolti a trasporti, con strade e ferrovie e le grandiose opere di cui Istanbul è stata proscenio (linea metro sotto in Bosforo, raddoppio dello stesso canale, ulteriori ponti di collegamento fra sponda occidentale e orientale). Quindi strutture per istruzione e assistenza sanitaria, misure ben accolte da ogni ceto sociale che hanno rafforzato la centralità politica e il seguito elettorale dell’Akp. Ma alcuni segnali già apparsi nel programma economico del partito di governo durante il 2006 si riaffacciarono nel 2013: deficit permanente sulla bilancia dei pagamenti con un bilancio nazionale fortemente dipendente dagli investimenti esteri. Le bolle speculative sul fronte immobiliare che avevano lasciato il segno in tanti Paesi, hanno colpito anche l’orizzonte finanziario turco, la vendita, e svendita, a privati di tanti tesori statali, ben oltre il piano già attuato da liberisti della prim’ora, Demirel e soprattutto Özal.

E il mantenimento, nonostante il balzo in avanti, di talune tare rappresentate da: un tasso di disoccupazione interna (10% fisso) con picchi verso le giovani generazioni e le donne, e dai deficit della bilancia commerciale (importazioni maggiori delle esportazioni, sebbene quest’ultime fossero in gran crescita) e di quella dei pagamenti. Gli economisti sottolineavano come la crescita fosse sostenuta dalla quantità dei consumi, saliti vertiginosamente per nuovi modelli di vita, ma un nazione che spende più di quanto incassa finisce per dover fare i conti con una svalutazione monetaria e la conseguente inflazione. Gli investimenti stranieri hanno per anni tenuto in piedi questo processo, perché scommettevano su una popolazione giovane e desiderosa di competere. Si fidavano d’un modello politico non conflittuale all’interno e all’estero. Era la fase in cui Erdoğan e Gülen andavano a braccetto, demolivano dall’interno l’impianto statale kemalista; il ministro degli Esteri e poi premier Davutoğlu applicava le teorie egemoniche senza creare problemi coi vicini; Erdoğan in persona aveva compiuto il passo della ricerca di pacificazione coi kurdi, combattenti e non. Con la crisi globale del 2008 la lira turca perse il 15% del valore, però governo e Banca centrale operarono misure di salvaguardia rispettivamente diminuendo le imposte e abbassando i tassi d’interesse del 10%. La moneta continuò a circolare, ripresero gli investimenti, sebbene prevalentemente edilizi, dove società come la Toki, che presiedeva gli alloggi pubblici, oppure promotori immobiliari quali Ağaoğlu, lanciavano investimenti a tuttotondo. Il deficit nella bilancia dei pagamenti salì esponenzialmente.

E’ da lì che la svalutazione della lira, che ha angosciato i sonni di tanti turchi nei mesi  scorsi, prendeva un abbrivio lungo (20% nel 2011, 60% fra il 2013 e 2015). Eventi politici hanno ampiamente condizionato il processo in atto: il conflitto sociale di Gezi Park, lo scontro con la Confraternita Hizmet, il ritorno della conflittualità con la comunità kurda, l’azzeramento della sicurezza con la presenza degli attentati terroristici e il tentato golpe. A cui l’uomo-regime ha risposto con la ricetta di repressione e polarizzazione: o con me o contro di me. Una linea molto più che decisionista con cui s’è sbarazzato di antichi sodali e consiglieri (Gülen, Gül, Davutoğlu), s’è spinto in avventure di guerra e competizione globale fra Siria, scontro e confronto con Putin, musi duri (peraltro ricambiati) con l’Unione Europea e gli Usa. Sul piano politico ne è uscito finora vincente, ha incassato un sistema presidenzialista che lo rende più potente di quanto fu Atatürk, ha stretto un patto di convenienza coi nazionalisti che gli garantisce la metà dell’elettorato. Ma la gente, sostenitori compresi, non vivono di simpatie. Erano con Erdoğan perché ne ricevevano migliorie di vita, ma perdere il lavoro o il benessere acquisiti può diventare motivo di rottura del consenso. Ora una zavorra di salvataggio alla nazione, ai cittadini e al presidente stesso è giunta dalla Banca centrale che ha risollevato i tassi d’interesse per contrastare lo sfavorevolissimo rapporto fra dollaro e lira locale. Una boccata d’ossigeno che gli esperti giudicano parziale e limitata nel tempo. Questo non giocherebbe a favore della finanza interna, un voto più lontano sarebbe stato certamente più incerto.

Pubblicato martedì 29 maggio 2018
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