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Post d’Arte: Da Cézanne a Rembrandt

Cézanne e Monet

Con tutti i limiti e i pregi, Cézanne è per istinto attratto e proiettato verso le “scoperte” (non solo artistiche) del novecento… Monet, impressionista sì, ma anche ultimo continuatore dell’estetica romantica nella vibrazione drammatica e “sentimentale” del suo tessuto pittorico.

Non tutto è stato detto!

Non è vero, come si professa per legittimare ogni assurdo sperimentalismo fuorviante, che “tutto è già stato detto”. Laddove l’uomo, l’artista, il creativo, esprime le sue autentiche emozioni (sostenute da una personale, necessaria tecnica), là è l’autentica novità. Vedere il mondo e trasfigurarlo a propria immagine è l’atto eterno della creazione. La pretesa originalità non si conquista a tutti i costi per stupire (o per scandalizzare). L’originalità è il frutto naturale e la naturale conseguenza della propria visione del mondo. Laddove l’artista è fedele al proprio vissuto fino in fondo, là è l’autentica “novità”, e lì ogni volta l’arte si rinnova!

Quando “giustificare”

Con tutto il rispetto per l’istintualità e il valore del momentaneo, secondo me l’astrazione in pittura ha necessità, più che nel figurativo, di giustificare il suo procedere secondo una più rigorosa ricerca di motivazioni strutturali. Intendo che non basta l’intensità emotiva dello slancio: si deve dar ragione di un progetto oltre che tecnico anche intellettuale ,proprio perché ci si inoltra in un terreno insidioso dove i riferimenti con il reale sono depistanti e ambigui.

Nudi “normali”

Lo splendore dei nudi caravaggeschi è soprattutto nella “normalità” muscolare, se così si può dire, del personaggio, adolescente o vecchio che sia, una bellezza naturale e scevra da quelle sovrabbondanze muscolari financo eccessive e grottesche riscontrabili per esempio anche nel grande Buonarroti, intento com’era nel creare una superumanità celeste o infernale che fosse!

Caravaggio e Rembrandt

Sicuramente la rivoluzione caravaggesca ha influenzato il percorso di molti artisti sia in Italia che in Europa, fra gli altri anche il grandissimo Rembrandt… con la differenza, mi sembra, a parte i forti contrasti “notturni” con i fondali scuri da cui emergono le figure (eredità caravaggesca),una visione meno drammatica, una maggiore ricchezza e felicità cromatica con una pennellata meno severa e drastica, ma più mossa e vibrante.

L’Olandese torna nel palazzo del Principe

Più precisamente un quadro del pittore olandese Rembrandt, in possesso del Rjikmuseum di Amsterdam, è esposto per alcuni mesi presso la Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Corsini dove era stato dal 1737 al 1799 nella collezione dell’omonima famiglia principesca. Rembrandt Harmenszoon van Rjin nacque a Leida nel 1606 e giovanissimo iniziò a frequentare gli studi di buoni pittori della sua città e, poco più che ventenne, aprì una sua bottega che gli procurò ben presto una vasta notorietà; ebbe anche grandi dolori per la morte della moglie e di alcuni figli.

Nel 1631 si trasferì ad Amsterdam  lavorando senza posa e producendo dipinti, spesso firmati, incisioni e disegni  con soggetto mitologico, storico, religioso, biblico  insieme con numerosi fascinosi paesaggi. Negli ultimi anni di vita ebbe problemi economici e dovette vendere la casa e i molti quadri della sua collezione; morì nel 1669.

Contrariamente a parecchi artisti suoi contemporanei non visitò mai l’Italia ma molto si ispirò alla pittura caravaggesca, usò il chiaroscuro, sfruttò effetti di luce ed ombra, utilizzò colori ad olio decisi ottenendo cromatismi di grande spessore. Il quadro esposto è  noto come “l’Autoritratto come San Paolo” ed è uno dei tanti dipinti , di vario soggetto, nei quali l’artista amava autorappresentarsi; l’identificazione con l’Apostolo è dato da un fascio di fogli in mano, le Epistole, da una piccola spada tenuta in grembo e da una poco visibile inferriata rappresentante le prigioni che ospitarono il Santo. E’ dipinto nello stile degli ultimi anni di vita dell’artista con pennellate larghe e pastose, è su fondo scuro e brillante su cui spiccano il chiarore del volto e il bianco del turbante.

La storia  del quadro è lunga e complessa; firmato e datato nel 1661 lo si trova più di trenta anni dopo nell’inventario postumo di un collezionista parigino, in data ignota passò nella collezione del pittore francese Vleughels, direttore dell’Accademia di Francia a Roma e alla sua morte, intorno al 1737, la vedova lo vendette al Cardinale Neri Corsini nipote del Papa Clemente XII. Rimase nel palazzo principesco, esposto nella “Galleria dei quadri”, fino al 1799 quando a Roma arrivarono le truppe francesi di Napoleone che imposero sia al Papa che alle famiglie nobili gravose contribuzioni in denaro. In assenza del Principe Tommaso, che si trovava in Sicilia, il maestro di casa, Ludovico Radice, propose la vendita di alcuni quadri e, nonostante l’opposizione del principe, concordò con un mercante, in cambio di 3.500 scudi, la cessione di 25 dipinti tra i quali il nostro.

l Corsini riuscì a riavere indietro 9 quadri tuttora presenti in Galleria mentre gli altri attraverso mercanti d’arte inglesi andarono all’estero. Il Rembrandt passò per varie mani e diverse collezioni per giungere, nel 1936, ai coniugi de Bruijn che nel 1960 lo donarono al museo che tuttora lo ospita. La mostra espone in una sala il Rembrandt con di fronte il quadro settecentesco del Cardinale Corsini insieme con lo zio Papa, intorno parecchie incisioni dell’artista olandese, per le quali era famoso, provenienti dalla raccolta Corsini ed ora all’Istituto  Centrale per la Grafica; tra loro due molto celebri: “I cento fiorini” e “I tre alberi”.

In una saletta laterale un piccolo quadro con il ritratto del Principe Tommaso Corsini e due  incisioni di inizio ‘800 una delle quali di Charles Turner; una vetrina ospita lettere e documenti, provenienti dall’archivio Corsini, che hanno permesso di ricostruire le tormentate vicende dell’opera.


Rembrandt alla Galleria Corsini
L’Autoritratto come san Paolo

Dal 21 febbraio al 15 giugno 2020

Roma
Galleria Corsini
via della Lungara 10

orario:mercoledì/lunedì 8,30 – 11,90


Rembrandt e i Mennoniti

La caratteristica principale degli Anabattisti, come dei Mennoniti è la somministrazione del battesimo in età adulta. I Mennoniti, che nell’Olanda del Seicento vivevano a latere del Calvinismo ufficiale, avevano fatto rinascere l’eresia anabattista.

Ma perché inizio questo mio breve testo con questi concetti? Semplicemente perché sono il frutto di una interessantissima presentazione del volume (fanno anche parte del risvolto di copertina del libro) Giovinezza di Rembrandt – La committenza mennonita, avvenuta il 5 dicembre 2013 al Salone di Pietro da Cortona in Palazzo Barberini di Roma.

Il testo elaborato da Silvia Danesi Squarzina, Ordinario emerito di Storia dell’Arte Moderna (Sapienza – Università di Roma) che vanta un lunghissimo curriculum di docenze, attestati, pubblicazioni, curatrice di mostre e di convegni, è stato sapientemente edito da De Luca (editore colto e raffinato) che ha colto letteralmente la palla al balzo, per confezionare un volume di centoventotto pagine, ricco anche iconograficamente. Così in questo appassionante testo, già apparso nel 1993 in un volume dal titolo L’asino iconoclasta (immagine di uomini con la testa d’asino che con bastoni si avventano su una catasta di libri, sculture e varie opere d’arte distruggendole, visione questa che testimonia la spaccatura delle coscienze tra Fiandre e Paesi Bassi del Nord) si viene a conoscenza dell’appartenenza del grande pittore olandese, in età giovanile, di quella minoranza religiosa, i mennoniti, la cui testimonianza appare nel famoso Ritratto del predicatore mennonita Cornelis Claesz Anslo e di sua moglie, del 1641, ma anche attraverso disegni e acqueforti il cui soggetto appare essere uguale o quasi uguale al famoso dipinto.

Il movimento mennonita (che prese il nome da Menno Simons), ebbe larga diffusione in Olanda, lentamente ottenne libertà di culto e si caratterizzò per l’impostazione più silenziosa, attraverso una profonda interiorizzazione della fede fondata sull’individualità. Nell’introduzione, la dotta Danesi Squarzina scrive: «…non più e non solo la finezza in punta di pennello dei fijnschilders, non più e non solo le tele di piccola dimensione, …». Fijnschilders (letteralmente “fine-pittori”), erano pittori olandesi della Golden Age, che tra il 1630 e il 1710, cercarono di creare una naturale riproduzione meticolosa della realtà con estrema attenzione al dettaglio attraverso opere di piccole dimensioni.

Nel XIX secolo divenne un marchio per artisti come Gerrit Dou e i suoi seguaci a Leiden.

I fijnschilders sono più noti per le scene di genere che mostrano la vita quotidiana e le attività, i soggetti notturni a lume di candela, e trompe l’oeil di nicchia dipinti.

L’autrice di questo prezioso volume ci elenca i vari studi, comprensivi anche di schedature accurate sulle opere certe, dove risultano esserci documenti attestanti l’appartenenza di Rembrandt ai mennoniti. L’importanza di questa conoscenza ci porta, non solo, a mettere un nuovo tassello in quel meraviglioso mosaico che è il micro-macro cosmo rembrandtiano, ma anche a farci consapevoli che (cito nel testo): «Le minoranze del secolo d’oro avevano, verso la pittura e la scienza, un atteggiamento più duttile e curioso rispetto alle maggioranze al potere e alimentavano un mercato dell’arte ricco e complesso, con le stimmate della sofferta e vincente modernità».

I complimenti sono doverosi all’autrice e all’editore, per aver contribuito a regalarci tanti elementi in più per comprendere uno dei “geni” della pittura olandese.

Interessante e dottissima lettura a tutti voi.

 

04 Libri Rembrandt Catalogo

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Titolo: Rembrandt: la sua giovinezza nell’ambito della committenza mennonita

Autore: Danesi Squarzina Silvia

Prezzo: € 20,00

Dati: 128 p., ill., brossura

Editore: De Luca Editori d’Arte (collana Trenta nove), 2013

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