E’ stato appena presentato il restauro della fontana della Pigna situata in un angolo di Piazza San Marco, è stato finanziato, con la spesa di 19.000 euro, dal Rotary Club Roma e compiuto dal Consorzio R.O.M.A.. Il manufatto si presentava in stato di degrado dovuto alle concrezioni calcaree per il tipo di acqua in uso a Roma ed anche all’utilizzazione massiccia; infatti, data la sua posizione, è un “abbeveratore” per torme di turisti e a volte luogo di abluzioni per “migranti” che affluiscono alla mensa dei Gesuiti nella vicina via degli Astalli. La fontana fa parte di un lotto di fontanelle rionali commissionate nel 1925 dal Governatorato di Roma allo scultore Pietro Lombardi e inaugurate il 28 ottobre 1927, data simbolica all’epoca. Le fontanelle dovevano ispirarsi al nome o alle attività del Rione in cui erano collocate; abbiamo così quelle delle Anfore a Testaccio, una con Palle di Cannone a Borgo, vicino a Castel Sant’Angelo, una con Tavole e Pennelli a Via Margutta, una con una catasta di Libri a Sant’Eustachio nei pressi dell’ antica Università “ La Sapienza”. Nel nostro caso ripete il nome del Rione, IX Pigna, ed il suo più celebre monumento antico: una pigna di bronzo alta 4 metri situata in epoca romana più o meno nelle vicinanze del Pantheon ed ora nell’omonimo cortile in Vaticano dopo essere stata per secoli in Piazza San Pietro dove fu vista e citata da Dante. La fontana del Lombardi è in travertino ed è composta da una pigna posta sopra un calice formato da foglie a sua volta sovrastante una serie di vaschette, sui lati del pilastro che regge il tutto da una parte uno stemma abraso con la scritta R. IX, dall’altra si intuiscono resti di un fascio scalpellato e la scritta A(nno) V (E.F); l’area è delimitata da quattro colonnotti. E’ un’opera, come le sue consorelle, graziosa e simbolica, fa pensare con nostalgia, esclusivamente artistica, ai tempi del Governatorato che ordinava e faceva eseguire celermente mentre ora il Comune in molti casi deve ringraziare generosi mecenati che a lui si sostituiscono.
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Un restauro a San Pancrazio
La chiesa di San Pancrazio si trova appena fuori della cinta delle mura gianicolensi, oltre l’omonima porta; di origine antichissima fu fatta costruire all’inizio del VII secolo d.C. da Papa Simmaco e dedicata a San Pancrazio, giovinetto cristiano morto martire nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano. Sotto la chiesa si trovano delle catacombe, piuttosto povere, dove era sepolto il martire il cui cranio è ora conservato in chiesa, nella navata destra, in una teca nel muro.
La chiesa ha avuto nei secoli numerose vicende ricostruttive ma gran parte dell’aspetto attuale risale al restauro dei primi del ‘600 per opera del Cardinal de Torres il cui stemma appare più volte. Al ‘900 risale invece la ridipintura del catino absidale e della cappella in fondo alla navata destra.
Lungo le pareti delle navate laterali, sorrette da massicci pilastri sovrastati da festoni di puttini, si dispongono numerosi bassorilievi in stucco con episodi di vita di santi; il soffitto è in legno intagliato risalente al 1609. Il presbiterio è sorretto da colonne romane di spoglio e nella parte superiore si trovano affreschi rappresentanti santi come fossero statue inquadrate da finte architetture; risalgono ai primi del ‘600 e sono variamente attribuiti al Cavalier d’Arpino o ad Antonio Tempesta. Va notato che la chiesa fu coinvolta nei combattimenti sul Gianicolo all’epoca della Repubblica Romana e l’edificio e l’adiacente convento furono gravemente danneggiati e l’archivio andò perduto.
Nel 1662 il complesso fu affidato ai Carmelitani Scalzi che tuttora reggono la parrocchia. I frati sono devoti a Santa Teresa d’Avila, appartenente al loro Ordine, mistica spagnola vissuta tra il 1515 e il 1582, autrice di molti scritti devozionali, beatificata nei primi anni del XVII secolo; a lei era dedicata la cappella in fondo alla navata di sinistra decorata con un quadro celebrativo dipinto dal frate Luca de Nivelle distrutto da soldati francesi nel 1798. Fu sostituito con un’opera di analogo soggetto del pittore neoclassico Tommaso Conca.
In un anno imprecisato tra il 1838 e il 1848 i Carmelitani di Santa Maria della Scala, in Trastevere, donarono ai loro confratelli di San Pancrazio un quadro di Jacopo Palma il Giovane del 1615, come risulta da data e firma dell’autore; era stato nella originaria sede per oltre due secoli poi, forse per un cambio di allestimento, risultò in eccesso e fu donato. A San Pancrazio stette poco nella cappella della Santa, fu gravemente danneggiato nel 1849, arrotolato e conservato nel convento; nel 1928 fu recuperato e restaurato da Alessandro Frattini che praticamente lo ridipinse e tornò nella cappella di Santa Teresa. L’autore era stato il pittore tardo manierista Jacopo Negretti più noto come Palma il Giovane per distinguerlo da un prozio omonimo conosciuto come il Vecchio.
Rappresenta la Santa con un angelo che le trafigge il cuore con una lancia in un contorno di angioletti svolazzanti mentre un Cristo avvolto in un manto azzurro contempla dall’alto la scena; è il soggetto ripreso anni dopo, in scultura, dal Bernini, in Santa Maria della Vittoria, con un tono carnalmente sensuale mentre il Palma infonde al dipinto un aspetto dolce, tranquillo, composto.
Il Negretti, pittore famoso ai suoi tempi, fu allievo prediletto di Tiziano e non risulta sia mai stato a Roma. quindi l’opera fu dipinta a Venezia e poi inviata a Santa Maria della Scala.
Dopo il restauro del 1928 il quadro mostrava segni di degrado per cui due associazioni, Verderame Progetto Cultura e LoveItaly, hanno deciso di provvedere alla sua risistemazione promovendo una raccolta di fondi tra i parrocchiani e vari sponsor e donatori, mancano ancora 10.000 Euro che le due associazioni sperano di raccogliere tra mecenati pubblici e privati.
Per il momento il restauro ha fatto sparire le ridipinture novecentesche facendo riapparire il dipinto originale in pessime condizioni ma le restauratrici contano di poter riportare il quadro a buone condizioni di visibilità.
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San Pancrazio fuori le Mura
piazza San Pancrazio, 5/D
Roma
tel. 06/5810458
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Qualcosa di più:
Continuano le sofferenze delle chiese “dimenticate”
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Restauro terminato
Il 19 dicembre è stato presentato l’ultimo, almeno per il momento, restauro finanziato da Bonduelle Italia tramite il progetto “Orti per l’Arte” caldeggiato da Fondaco srl. Si tratta della realizzazione del pavimento della sacrestia delle Chiesa di Santa Maria in Montesanto a Piazza del Popolo ed è il terzo intervento dopo quelli sulla cupola della chiesa e sull’affresco della volta della sacrestia. Il nuovo pavimento messo in opera dalla International Italmarmi è in lastre di marmo Bianco di Carrara intramezzato da piccoli riquadri in Bardiglio Nuvolato, sostituisce un degradato pavimento in cotto abbastanza recente che ha a sua volta sostituito l’originale pavimento di fine seicento in marmo. Secondo le intenzioni del rettore della chiesa l’ampio locale della sacrestia verrà destinato a luogo di incontro di artisti non soltanto cattolici; da oltre sessanta anni la chiesa ospita la “ Messa degli Artisti “ istituita da Monsignor Ennio Francia, è un evento che coinvolge numerosi rappresentanti del mondo dell’arte nel senso più ampio del termine. Spesso è anche il luogo dei funerali di molti artisti. La chiesa e la sua quasi gemella Santa Maria dei Miracoli sorgono all’ imboccatura del Corso al posto di due sepolcri romani a forma piramidale edificati prima che la costruzione di Porta Flaminia e delle mura di Aureliano a metà del III secolo d.C. vietasse le sepolture entro le mura. Le chiese furono fortemente volute da Papa Alessandro VII Chigi intorno al 1660, il primo progetto è attribuito a Carlo Rainaldi che si trovò ad affrontare il problema di disporre di aree di diversa estensione. Intervennero successivamente Carlo Fontana e Gian Lorenzo Bernini che riuscì a superare la difficoltà ideando due cupole diverse, una ottagona l’altra dodecagona, che però danno l’effetto ottico di essere simili. I lavori per la chiesa di Santa Maria in Montesanto, finanziati dal Cardinale Gerolamo Gastaldi, ebbero termine nel 1675 e l’edificio, come l’altro, si presenta con un pronao corinzio sostenuto da colonne in travertino con timpano ed attico coronato di statue. Nell’interno sull’altare maggiore vi è l’antica immagine della Vergine di Montesanto, dipinto su tavola forse della fine ‘400; di particolare interesse la Cappella Montioni con sull’altare una Madonna del Maratta e ai lati quadri del Garzi e del Seiter degli ultimi anni del ‘600, la volta è affrescata dal Chiari; la cappella vicina è stata decorata da Ludovico Gimignani. Chiesa e quadri sarebbero meritevoli di qualche attenzione, speriamo che Bonduelle e Fondaco continuino ad interessarsi di Santa Maria in Montesanto.