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Migrazione: Non bastano le pacche sulle spalle

Per anni l’Europa non ha mostrato interesse alla questione migratoria che coinvolgeva le “frontiere” del Mediterraneo, poi sono cominciati i rimproveri per il poco impegno italiano nello schedare e nel non riuscire a tenere quei fuggitivi in Italia, nel rispetto della convenzione di Dublino, ma solo da poco si è inaugurata l’era delle pacche sulle spalle, dei ringraziamenti per il lavoro svolto.

Ora però sarebbe opportuno andare oltre la semplice rassicurazione del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker nell’affermare che l’Italia può “continuare a contare sulla solidarietà europea” sul fronte della crisi dei migranti.

Un piccolo passo è stato compiuto da Macron, europeista e sovranista, con la sua critica ai paesi dell’est che hanno confuso l’Unione europea come un emporio dove fare la spesa senza pagare la merce acquistata, mostrando cinismo nel trattare la questione dei rifugiati.

Il presidente francese pone comunque dei distinguo tra i profughi dalle violenze e quelli della carestie, come se morire di fame e sete non fosse una violenza pari a quella di trovarsi vittime di conflitti, solo per ribadire, come aveva fatto Hollande, che la Francia si attiene al nuovo trigono del motto della Rivoluzione francese in “Liberté, Égalité, Telibecchitè”, trovando la Fraternité obsoleta, chiudendo da tempo le frontiere.

Con il vertice di Parigi tra Italia, Francia e Germania, il ministro degli interni italiano ha posto la questione di un codice per le Ong impegnate nel Mediterraneo, oltre ad indirizzare le navi su altri porti per lo sbarco dei migranti ed a maggiori pressioni sui paesi europei non impegnati nella ricollocazione.

Un vertice quello parigino che si è posto come preparatorio a quello del G20 a Amburgo, ma soprattutto all’incontro informale dei ministri dell’Interno dell’Unione a Tallinn per superare le minacce italiane di chiudere i porti italiani alle navi straniere, con una revisione del Trattato di Dublino.

Mentre l’Italia minaccia la chiusura dei porti, Francia e Spagna, insieme ad altri paesi che non si affacciano sul Mediterraneo, sprangano i loro approdi e l’Austria mette in scena un spot elettorale, poi rientrato, con il voler schierare i blindati sulla frontiera del Brennero, come dimostrazione di tanta ammirazione e empatia per lo sforzo italiano.

Anche l’avvertimento del commissario alla Migrazione Dimitris Avramopoulos sul “Ricollocarli o ci saranno sanzioni” gridata contro l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca, pronto a proporre l’apertura di procedure d’infrazione, rimane solo una vaga minaccia.

A Berlino, al vertice preparatorio del G20, il primo ministro italiano Paolo Gentiloni ringrazia “i leader per la solidarietà e la comprensione per le difficoltà che dobbiamo affrontare in comune”, ma aggiunge anche che dopo tante espressioni di solidarietà è ora di passare ad un aiuto più concreto.

Il concreto aiuto che l’Italia si aspetta, viene specificato dal ministro degli interni Marco Minniti, in un maggiore coinvolgimento europeo nell’ospitalità dei profughi e nell’impegno di guardare all’Africa come soluzione e non come fonte del problema. Minniti all’incontro di Tallinn non ha commosso nessuno e vedere l’Africa come una risorsa rimane difficile con una Libia ufficialmente divisa in due governi e centinaia di tribù e milizie, oltre al fatto che la Cina si è radicata proprio negli stati africani da dove proviene gran parte della migrazione.

La Cina ha fatto dell’Africa, in questi ultimi decenni, un suo territorio d’oltre oceano, con gli enormi scambi di dare avere che difficilmente portano del benessere alle popolazioni native che continuano a migrare, anche per la cessione dei terreni più fertili alle compagnie cinesi, oltre ai conflitti per territori e ricchezze.

Tra pacche sulle spalle, tante parole d’incoraggiamento, ma soprattutto risatine di arroccamenti europei e porte chiuse, interviene Emma Bonino affermando che siamo stati noi a offrire i nostri porti, nell’ambito dell’operazione europea Triton, per gli sbarchi, ed ora è complicato disfare quell’accordo.

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La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Nationless Pavilion: Uno spazio per gli invisibili

Gli oltre 10 milioni di persone (fonte UNHCR) che si trovano senza una cittadinanza hanno una “rappresentanza” con la partecipazione di Nationless Pavilion (Padiglione di coloro privati di una Nazione) alla 56esima Biennale d’Arte di Venezia.

Una decina di milioni che fanno parte di una nazione che conta una popolazione di circa 60 milioni di profughi (fonte Rapporto Global Trends 2014 dell’UNHCR), che è passata dal 25mo posto ad occupare il 24simo nella graduatoria degli stati popolosi.

Quella di Nationless Pavilion è un’iniziativa che non potrà dare un riconoscimento legislativo a così tante persone, ma sarà occasione per focalizzare l’attenzione del pubblico sul dramma della migrazione e delle cause che spingono un “popolo” ad abbandonare le proprie case, attraverso i contributi visivi di: Gregory Beals, Elena Bellantoni, Shady El Noshokaty, Rosa Jijon, Stalker/Osservatorio Nomade, Calixto Ramirez Correa, Emanuele Satolli.

Una provocazione non solo artistica, ma geopolitica per chi non viene riconosciuto per la mancanza di un passaporto, in un momento dove il populismo e la xenofobia è la bandiera di movimenti che stanno portando la destra al governo in molti stati europei.

Governi questi che si oppongono ad ogni tipo di solidarietà ad ogni flusso migratorio e proclamano la separazione come modello di vita, negando la ricchezza della multiculturalità.

In ottobre, dopo la Tavola Rotonda di maggio sull’Essere “tra”, Abitare la 25° Nazione – Un gesto di apparizione, quali territori e diritti?, sarà attivato un laboratorio aperto per “costruire-costituire” ” la Nazione 25, per analizzare agli aspetti comuni al popolo migrante: motivi della partenza, viaggio/attraversamento, concetti di confine, orizzonte e/o meta, attesa, identità ibrida. Una fuga dai luoghi che sarà analizzata agli aspetti comuni al popolo migrante. Un esercizio paradossale per fissare con l’immaginazione un’entità mutevole, ma con alcune esigenze comuni da mettere a fuoco.

00 AdN Venezia Biennale Delle Nazioni Nation 25 Gregory Beals******************

THE NATIONLESS PAVILION
Nation 25

Venezia
Sale Docks
Sino al 22 novembre 2015

Venezia 56° Biennale
Nation 25
S.a.L.E Docks

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00 AdN Venezia Biennale Delle Nazioni Nation 25 Stalker Osservatorio Nomade

 

 

Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa

“Casa dolce casa”. Più che un modo di dire, per molti di noi, questa frase è una certezza. Fatta di calore, affetto, condivisione. Ma per oltre 50 milioni di rifugiati e sfollati la casa è solo un ricordo spezzato dalla guerra e dalla violenza.

Ai rifugiati e agli sfollati che non hanno più un posto sicuro dove stare è dedicata la campagna di comunicazione e raccolta fondi “Casa Dolce Casa” che l’UNHCR lancia dall’8 al 28 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.

Con la campagna l’UNHCR vuole sensibilizzare e raccogliere fondi per quattro fra le più gravi crisi umanitarie degli ultimi decenni: Siria, Iraq, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan.

Donando al 45507 è possibile fornire a migliaia di rifugiati e di sfollati in Siria, Iraq, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan una tenda per 5 persone, un kit di pentole e una tanica per l’acqua, oggetti essenziali per sentirsi al sicuro in una situazione di emergenza.

Una mobilitazione che raggiungerà il picco massimo il 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato con il maxi evento concerto “World Refugee Day Live”, che si terrà a Firenze presso Il Parco delle Cascine (Ippodromo Del Visarno).

Dalle 15 in poi, l’attore Francesco Pannofino e la giornalista di Piazza Pulita Valentina Petrini chiameranno a esibirsi sul palco diversi big della musica italiana, tra i quali Elisa, Bandabardò, Enrico Ruggeri, Virginiana Miller, Jaka Djset, Cecco e Cipo, Didiodato, Dimartino, Piero Pelù, Brunori Sas, Sandro Joyeux, Gatti Mezzi, Appino, Street Clercks e Francesco Guasti.

Con l’acquisto di ogni biglietto si garantirà acqua per un mese ad un rifugiato che vive in condizioni di emergenza.

Protagonista e simbolo del concerto, una chitarra speciale realizzata da un liutaio di Cortona, che in questi giorni sta spopolando sul web e sui media.

Si tratta di “Mare di mezzo”, una chitarra realizzata con il legno di un barcone naufragato a Lampedusa, che suonerà al “World Refugee Day Live” per ricordare le vittime delle tragedie nel Canale di Sicilia.

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Casa dolce casa
Dona 2 o 5 euro al 45507

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UNHCR

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AdN Migrazione Rifugiati UNHCR Casa dolce casa casa-dolce-casa2

 

Valerio Mastandrea racconta la storia di Awas Ahmed

La testimonianza di Awas Ahmed, Rifugiato somalo in Italia, letta da Valerio Mastandrea.

un’iniziativa del Centro Astalli

L’orrore non basta, serve pathos

Difficile scrivere parole sui Rifugiati dopo gli ultimi episodi di Roma. Abbiamo letto e sentito di tutto: dagli insulti più efferati alle bugie più imbarazzanti. A destra e a manca. Allora invece di parlare vi presentiamo questa brevissima clip: Perché saliamo su una barca. Una produzione del Centro Astalli di Roma con Valerio Mastandrea, uno che sembra sempre aver paura di stare nel posto sbagliato al momento sbagliato e che in questa occasione presta la sua voce ad Awas Ahmed, Rifugiato somalo in Italia.
E però una cosa la vogliamo aggiungere: provate a parlarci almeno una volta con un rifugiato, a passarci un’ora insieme. Sarà più facile vederlo per chi è veramente e non per come ve lo raccontano gli altri.

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da Artigiani Digitali | novembre 2014

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AdN Migranti Rifugiati Artigiani Digitali novembre 2014

 

 

Profughi: scenari da gossip

Nel periodo natalizio tutti dovrebbero essere più buoni e non cinici come chi ha ideato il reality The Mission da mandare in onda il 4 e l’11 dicembre 2013 su Rai Uno.

Un reality con personaggi dello spettacolo, e non, che vagano nei campi rifugiati in Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo e in Mali, mentre i profughi fanno da comparse.

Gli ideatori dello spettacolo, in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) e l’organizzazione non governativa italiana Intersos, affermano di voler trattare la tematica che coinvolge un’umanità in fuga da guerre e carestie con serietà e sobrietà.

Forse non è opportuno usare come scenario per una serata televisiva d’evasione le tragedie di milioni di persone stipate in tende con servizi sanitari insufficienti e nella precarietà igenica.

Un dubbio che è certezza per Andrea Casale che ha promosso una raccolta firme su Change.org e ha trovato nelle parole di Christopher Hein, direttore del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), e in quelle di Guido Barbera, presidente del Cipsi (coordinamento che unisce oltre 40 associazioni di solidarietà internazionale) un sicuro consenso.

A difesa di tale scelta si evidenzia l’opportunità di utilizzare un programma di prima serata per ampliare la schiera di telespettatori sensibilizzati a questo perenne dramma umanitario, rendendo proficuo il periodo della raccolta fondi delle organizzazioni umanitarie.

Una scelta che potrebbe però anche avere un effetto dannoso alle donazioni con uno spettacolo umiliante e con personaggi che avrebbero delle difficoltà a rinunciare all’aria condizionata e a bevande dissetanti in un habitat e con un clima ostile.

È forse a seguito delle numerose critiche che la Vigilanza Rai ha posto, chiedendo la visione preventiva, una sorta di censura sul reality.

I campi profughi scelti come set televisivo non sono certo tra i più tranquilli, ma non sono neanche quelli coinvolti nel progetto dell’IKEA Foundation per Refugee Shelter. L’Ikea ha realizzato delle unità alloggiative temporanee in sostituzione delle tende per i campi in Etiopia, Libano ed Iraq.

La componibilità dei Refugee Housing Unit permette la sostituzione dei pannelli danneggiati, offrendo una maggior durata del manufatto, contrariamente a quanto accade con una tenda danneggiata che deve essere interamente sostituita.

Ben differenti i riflettori che i media hanno puntato sull’esperienza del sudafricano Julian Hewitt e della sua famiglia nell’aver trascorso il mese di agosto nella baraccopoli di Pretoria. Un esperimento “sociale” che ha portato i coniugi Hewitt e le due loro figlie a vivere un mese nello slum dove ha la residenza la loro domestica africana.

Una famiglia che ha scelto, a differenza delle migliaia di persone che non hanno potuto decidere, di vivere in un’unica stanza e dividere la latrina con altre famiglie.

I Hewitt hanno permutato per un mese la loro comoda residenza in un compound vigilato per una baracca in agosto, un periodo invernale per l’emisfero meridionale, alla ricerca dell’empatia con la stragrande maggioranza dei sudafricani che vivono al di sotto della soglia di povertà, con uno stipendio giornaliero che in gran parte si dissolve per i biglietti del trasporto pubblico.

Un’esperienza importante per una famiglia bianca della classe media quella di vivere in una baracca nello slum di Mamelodi e poi raccontarne nel Blog che hanno aperto e, chissà, forse diventerà una moda dei benestanti sudafricani che non si limitano alla beneficenza.

A Vienna Ute Bock non va a vivere sotto i ponti o nei cantieri con i migrati, ma li accoglie nei settanta appartamenti che riesce a gestire con una piccola squadra di volontari, ma questo non fa notizia, mentre in Kenya ci si appresta a rimpatriare più di mezzo milione di rifugiati somali entro i prossimi tre anni nel loro paese d’origine, a tutt’oggi insicuro e con un governo precario.

Una proposta del governo keniota a quello somalo e all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati per alleggerire i due campi d Dadaab e Kakuma, ingovernabili e altrettanto insicuri, come scelta volontaria.

05 Bei Gesti Profughi in Tv e Ikea nei campi