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Labirinti del cuore

Non si tratta di un vecchio film con Yvonne Sanson e Amedeo Nazzari ne’ di un fotoromanzo di Grand Hotel degli anni ’50 ma dell’inizio del titolo, lungo ed un po’ vago, di una mostra che si tiene nella doppia sede di Palazzo Venezia e di Castel Sant’Angelo; il resto è “ Giorgione e le ragioni del sentimento tra Venezia e Roma”.

La mostra si fonda su un dipinto, di non grandi dimensioni, che si trova dal 1919 nell’allora neocostituito museo di Palazzo Venezia proveniente da una donazione del Principe Fabrizio Ruffo di Motta Bagnara, precedentemente è citato nel 1734 nelle collezioni di Tommaso Ruffo e nel 1624 in quella di Pio di Savoia; anteriormente non esistono dati e solo dal ‘600 il dipinto è stato attribuito al Giorgione mentre per tradizione si indica un possesso da parte del Cardinale Grimani veneziano, uomo di grande cultura, umanista e collezionista di opere d’arte che risiedeva in Palazzo Venezia.

L’edificio fu fatto costruire nei decenni centrali del ‘400 dal Cardinale Barbo poi divenuto Papa con il nome di Paolo II, dopo un suo nipote ed erede vi risiedettero vari cardinali veneziani finché nel 1564 Papa Pio IV regalò alla Repubblica di Venezia il palazzo che prese quindi il nome attuale estendendolo alla piazza prospicente. Da allora vi risiedettero gli ambasciatori della Serenissima fino al 1799 quando subentrò l’Impero d’Austria che lo perdette nel 1919 a favore del Regno d’Italia che lo destinò a Museo con vita alternata dato che per quasi venti anni fu utilizzato come sede ufficiale del Capo del Governo dell’epoca. Per quanto riguarda il Giorgione, anzi più propriamente Zorzi da Castelfranco, è un artista di cui si sa molto poco; nato intorno al 1478 a Castelfranco, forse figlio di un notaio, si trasferì a Venezia lavorando nella bottega di Giovanni Bellini allora massimo pittore nella città lagunare; gli fu affidata l’affrescatura esterna del Fondaco dei Tedeschi  e si distinse anche come pittore di pale d’altare e di quadri da cavalletto. Entrò in contatto con circoli intellettuali veneziani e con la corte di Caterina Cornaro, già Regina di Cipro, che nella sua residenza di Asolo ospitava poeti, artisti e scrittori tra cui Pietro Bembo che vi scrisse gli “Asolani”. Pur essendo morto giovane, nel 1510 per peste, al Giorgione sono attribuite numerose opere enigmatiche con splendidi paesaggi, tra loro spiccano “la Tempesta”, “il Concerto Campestre”, “i Tre Filosofi”, “le Tre Età dell’Uomo”, dipinti enigmatici con forti risvolti simbolici attualmente di non facile comprensione. Per la sua città natale dipinse una grande pala d’altare tuttora sull’altar maggiore del Duomo.

Ebbe grande e duratura fama soprattutto per la sua interpretazione del colore. Il dipinto che è cuore della mostra, convenzionalmente noto come “i due amici” è piuttosto enigmatico anche se per anni i critici d’arte hanno avanzato varie spiegazioni fino a giungere alle conclusioni dei curatori dell’attuale esposizione. In primo piano appare un giovane dal volto affilato, aristocratico e malinconico, una mano sorregge il capo mentre l’altra stringe un melangolo, che nella simbologia del primo ‘500, rappresenta la malinconia. Dietro un altro giovane quasi sorridente, dalle fattezze plebee, si spinge quasi a toccare l’altro. Chi sono, amici? parenti? amanti? servo e padrone? Perché il giovane è malinconico? Amore non corrisposto? Preoccupazioni di vario genere? Probabilmente queste domande sono destinate a rimanere senza risposta anche se i curatori della mostra hanno elaborato una interessante teoria sull’importanza che il dipinto ha assunto nel cambiamento di impostazione del ritratto nel primo ‘500. Al posto della immagini ufficiali ed auliche di cui era maestro Giovanni Bellini cominciano ad apparire ritratti da cui traspare il sentimento e lo stato d’animo dell’effigiato, non bisogna dimenticare che siamo nel Rinascimento con la sua rivalutazione degli autori classici tra cui i poeti di liriche d’amore, anche il Petrarca tornò di gran moda tra i giovani intellettuali. I sentimenti e la loro libera espressione dominarono per qualche decennio la vita privata e culturale delle classi più elevate finché la Controriforma impose un nuovo stile di vita più rigoroso e conformista.

La prima sede dell’esposizione, Palazzo Venezia che, mostra il rapporto strettissimo tra Venezia e Roma, due tra i più importanti centri del Rinascimento, si sviluppa in alcune sale dell’Appartamento Barbo, tra cui quella appena restaurata con il fregio delle figure d’Ercole; sono in mostra opere d’arte, per lo più provenienti dal locale museo, che illustrano i rapporti artistici fra le due città culminanti con il dipinto su cui tutto si basa. L’ultima sala “Delle Battaglie” ospita, quasi per un contrasto, l’istallazione “il Giardino dei Sogni” di Luca Brinchi e Daniele Spanò che proietta su una parete una sorta di giardino rinascimentale animato da immagini e suoni.

La seconda sezione si trova a Castel Sant’Angelo nelle sale dell’Appartamento Papale più antico sottostante quello Farnesiano.

Sono esposte opere provenienti da musei italiani ed esteri; molti sono i libri di poesia, d’amore, di buone maniere. Seguono i dipinti con opere di autori di altissimo livello quali Tiziano,Tintoretto, Moretto, Bronzino, Barocci, sono tutti ritratti, singoli, doppi e in qualche caso plurimi, espressioni di vari sentimenti e stati d’animo, amore, affetto, amicizia, alterigia; sono databili lungo tutta la prima metà del ‘500. Nelle due sezioni sono esposte complessivamente 45 dipinti, 27 sculture, 36 libri a stampa o manoscritti.

La mostra è stata allestita a cura del Polo Museale del Lazio, costituito nel 2015 ed ora diretto da Edith Gabrielli. Il Polo gestisce 43 Musei sparsi nella Regione Lazio e cerca di valorizzare le sue sedi. In particolare Palazzo Venezia purtroppo poco frequentato mentre invece meriterebbe un ben diverso flusso di visitatori per l’ampiezza ed il valore delle sue raccolte.

La mostra è illustrata in un ampio, ben fatto e singolarmente economico catalogo edito da arte’m.

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Labirinti del cuore
Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma
Dal 24 giugno al 17 settembre 2017

Palazzo Venezia
Orario:
martedì – domenica 8,30/19,30

Castel Sant’Angelo
Orario:
tutti i giorni 9,00/19,00

Informazioni:
tel. 06/32810410
http://ww.mostragiorgione.it
http://www.art-city.it/labirinti-del-cuore.html

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Pigna: Il Restauro di una fontana

E’ stato appena presentato il restauro della fontana della Pigna situata in un angolo di Piazza San Marco, è stato finanziato, con la spesa di 19.000 euro, dal Rotary Club Roma e compiuto dal Consorzio R.O.M.A.. Il manufatto si presentava in stato di degrado dovuto alle concrezioni calcaree per il tipo di acqua in uso a Roma ed anche all’utilizzazione massiccia; infatti, data la sua posizione, è  un “abbeveratore” per torme di turisti e a volte luogo di abluzioni per “migranti” che affluiscono alla mensa dei Gesuiti nella vicina via degli Astalli. La fontana fa parte di un lotto di fontanelle rionali commissionate nel 1925 dal Governatorato di Roma allo scultore Pietro Lombardi e inaugurate il 28 ottobre 1927, data simbolica all’epoca. Le fontanelle dovevano ispirarsi al nome o alle attività del Rione in cui erano collocate; abbiamo così quelle delle Anfore a Testaccio, una con Palle di Cannone a Borgo, vicino a Castel Sant’Angelo, una con Tavole e Pennelli a Via Margutta, una con una catasta di Libri a Sant’Eustachio nei pressi dell’ antica Università “ La Sapienza”. Nel nostro caso ripete il nome del Rione, IX Pigna, ed il suo più celebre monumento antico: una pigna di bronzo alta 4 metri situata in epoca romana più o meno nelle vicinanze del Pantheon ed ora nell’omonimo cortile in Vaticano dopo essere stata per secoli in Piazza San Pietro dove fu vista e citata da Dante. La fontana del Lombardi è in travertino ed è composta da una pigna posta sopra un calice formato da foglie a sua volta sovrastante una serie di vaschette, sui lati del pilastro che regge il tutto da una parte uno stemma abraso con la scritta R. IX, dall’altra si intuiscono resti di un fascio scalpellato e la scritta  A(nno) V (E.F); l’area è delimitata da quattro colonnotti. E’ un’opera, come le sue consorelle, graziosa e simbolica,  fa pensare con nostalgia, esclusivamente artistica, ai tempi del Governatorato che ordinava e faceva eseguire celermente mentre ora il Comune in molti casi deve ringraziare generosi mecenati che a lui si sostituiscono.

Il pittore e il mistero svelato

Esaminiamo la frase che sembra il titolo di un libro giallo. Il pittore: Bernardo di Betto più noto come Pintoricchio, soprannome originato unendo la sua professione con una corporatura minuta, nato a Perugia intorno al 1450 iniziò il suo apprendistato, non conosciuto, presso pittori locali associandosi poi con il Perugino.

La sua prima opera nota è la partecipazione al cantiere dell’Oratorio di San Bernardino a Perugia, fu poi a Roma con il Perugino nella Cappella Sistina; nell’Urbe dipinse nella Cappella Bufalini nella chiesa dell’Aracoeli, nel Palazzo Della Rovere, ora dei Penitenzieri, in Borgo e a lui e ai suoi collaboratori sono attribuite due, forse quattro, cappelle in Santa Maria del Popolo. Entrato in contatto con il Papa Alessandro VI Borgia fu chiamato ad affrescare l’appartamento papale; insieme ai suoi collaboratori Piermatteo d’Amelia, Raffaellino del Garbo, Pellegrino Tibaldi, coprì le pareti con una mirabile serie di dipinti seguendo una precisa iconografia religiosa.

Operò anche a Castel Sant’Angelo, intervenendo nella decorazione di un torrione costruito a picco sul fiume e demolito a metà ‘600, nel grande affresco del soffitto del coro di Santa Maria del Popolo e nella Cappella Baglioni a Spello; a Siena dipinse la Libreria Piccolomini nel Duomo. Oltre che per questi grandi cicli di affreschi fu abile pittore di cavalletto lavorando per committenti religiosi e laici. Ricco e famoso morì a Siena l’11 dicembre 1513. Pittore pienamente inserito nel Rinascimento si contraddistinse per il suo stile calligrafico e minuto, per le sue figure composte dalle espressioni serene, per il suo riferirsi a reminiscenze gotiche, per la scelta dei colori sontuosi ed eleganti. Passiamo ora alla seconda parte esaminando con occhio curioso la vita della Roma papale di fine ‘400 in cui operò il nostro Pintoricchio. All’epoca era pontefice Alessandro VI Borgia, di origine aragonese, molto discusso per la sua vita privata; prima di essere eletto papa aveva avuto, da una relaziona con Vannozza Cattanei, quattro figli tra cui Lucrezia e Cesare, detto il Valentino. Anche dopo la sua elezione continuò ad avere una vita dissoluta e dal punto di vista politico coinvolse lo Stato della Chiesa in guerre con altri stati italiani favorendo l’entrata in Italia del re di Francia Carlo VIII. Colto e mecenate di ogni tipo di arte, fece della Curia pontificia uno dei centri culturali più vivaci dell’Italia del Rinascimento. Chiamò a Roma il Pintoricchio per affrescare il suo appartamento in Vaticano e tra i vari personaggi fece dipingere se stesso avvolto in uno splendido piviale dorato, forse la figlia Lucrezia ed il principe Turco Djem, fratello del Sultano, allora in esilio a Roma. Alessandro VI, ultrasessantenne. si innamorò di una giovane, all’epoca ritenuta molto avvenente, conosciuta come “la bella Giulia”; nata Farnese, coniugata con un Orsini, madre di una bimba dalla dubbia paternità, la donna attirò l’attenzione del Borgia che se la tenne sempre vicina, con il tacito consenso del marito e della famiglia d’origine, creando scandalo nella pur tollerante Roma rinascimentale.

L’influenza di Giulia favorì la carriera del fratello Alessandro che a 25 anni divenne Cardinale oggetto di feroci pasquinate ; in giovane età ebbe figli che dettero origine alla dinastia dei Farnese duchi di Parma e Piacenza poi prese gli ordini sacri e divenne  papa con il nome di Paolo III. Fu grande mecenate, si dedicò alla riforma della Chiesa ed iniziò il Concilio di Trento. Tra le varie stanze dell’Appartamento Borgia, in gran parte ancora esistente e visitabile, il Pintoricchio, con il suo stile nitido ed elegante, affrescò la stanza da letto del papa decorando una parete con l’immagine del papa, con un manto rosso, inginocchiato davanti ad una Madonna che tra le braccia ha il Bambino che protende le mani, una delle quali tiene un globo aureo con una croce, verso il papa che a sua volta gli carezza un piede. Nella Corte cominciarono a correre voci malevole propalate da avversari dei Borgia e dei Farnese che sostenevano trattarsi del papa inginocchiato davanti a Giulia rappresentata come la Vergine.

La diceria continuò per decenni tanto che oltre 50 anni dopo il Vasari parlò di “Signora Giulia Farnese per il volto di Nostra Donna” e i papi successivi dovettero intervenire. Giulio II Della Rovere, immediato successore, si trasferì in un nuovo appartamento che fece affrescare da Raffaello e in quello Borgia furono ospitati i Cardinali Nipoti; Pio V Ghislieri, a metà ‘500, fece coprire l’affresco con tappezzerie, nel 1612, durante il pontificato di Paolo V Borghese, l’ambasciatore del Duca di Mantova corruppe un servitore con un paio di calze di seta, fece copiare il dipinto da un mediocre pittore, Pietro Fachetti, e lo inviò a Mantova.

A metà ‘600 papa Alessandro VII Chigi per porre fine ad una leggenda circolante da un secolo e mezzo  fece distruggere l’affresco;  frammenti con la testa della Madonna ed il Bambino furono salvati, incorniciati formando due piccoli quadri separati rimanendo per secoli dei Chigi e finendo poi, decontestualizzati ed ignorati, sul mercato antiquario. Soltanto negli ultimi anni i due frammenti sono stati abbinati al quadro di Mantova ricostruendo l’immagine dell’affresco perduto; già nel 2007 in una mostra a Palazzo Venezia è stato presentato il quadro con il Bambino destando grande interesse e curiosità per due mani, una su un fianco e l’altra intorno ad un piede, appartenenti a due diverse persone mostrando evidentemente che il Bambino faceva parte di un gruppo.

Successivamente è ricomparso, proveniente da una collezione privata, il piccolo quadro con il volto di una Madonna e la Sovrintendenza Capitolina unitamente all’Associazione Culturale MetaMorfosi e a Zetema Progetto Cultura ha organizzato una mostra che riunisce i due frammenti di affresco, il quadro di Mantova ed una trentina di opere, quadri, stampe, documenti riferibili all’attività del Pintoricchio. Ai Musei Capitolini è stata ricostruita una parte della vita culturale dell’ultimo ‘400 romano, riproducendo anche con gigantografie alcuni affreschi dell’Appartamento Borgia. Attraverso il confronto tra i due frammenti e la copia del Fachetti i curatori, Acidini, Buranelli, La Malfa, Strinati,  hanno ricostruito l’immagine dell’affresco originario e sono giunti ad una importante conclusione. L’eguaglianza Madonna-Giulia è insostenibile ed è una diceria falsa; il viso della Madonna non è un ritratto di Giulia, che forse è stata identificata in un affresco molto deteriorato nel castello farnesiano di Carbognano, ma è il tipico volto allungato delle Madonne del Pintoricchio che mantengono sempre un carattere di dolcezza, di soavità.

L’affresco avrebbe rappresentato l’investitura divina al papa Alessandro; non sarebbe il papa che ammira Giulia ma il Bambino, sorretto dalla Madonna, che concede al pontefice la potestà di Suo Vicario. Pittore identificato e mistero svelato.

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Pintoricchio. Pittore dei Borgia
Il mistero svelato di Giulia Farnese
Dal 19 maggio al 10 settembre 2017

Musei Capitolini (Palazzo Caffarelli)
Piazza del Campidoglio
Roma

Orari:
tutti i giorni 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)

Ingresso:
€ 15 biglietto intero integrato Mostra + Museo (comprensivo della tassa del turismo per i non residenti a Roma);
€ 13 biglietto ridotto integrato Mostra + Museo, per i non residenti a Roma (comprensivo della tassa del turismo per i non residenti a Roma)
Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente

Informazioni:
tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)

Catalogo:
Gangemi

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Creature Digitali

Mostre ArtFutura Roma Ex Dogana 2017 2L’uso di strumenti tecnologici insieme alle loro capacità scientifiche e artistiche crea un codice di lettura nuovo per il futuro: materializzano l’immaginario, costruiscono nuove forme, materie e superfici come nuove opere e strumenti.

Dall’inizio del XXI secolo ci stiamo progressivamente ed inconsapevolmente mutando in “creature digitali”. Il nostro lavoro, le nostre azioni, le nostre amicizie, le nostre emozioni, tutto appartiene sempre di più all’universo digitale.

L’elemento più affascinante della tecnologia digitale é quello di essere in continuo divenire. Il progresso della tecnologia determinerà in modo esponenziale le capacità umane di creare e di distruggere, di avere successo come di fallire, il paradiso e l’inferno. L’unico elemento che potrà determinare il nostro futuro tecnologico é la nostra umanità senza la quale tutto potrà perdere di significato.

Questi artisti scienziati ci aprono le porte di un nuovo mondo digitale dove risulta evidente che tutto, come le loro opere, sarà in continua evoluzione. La loro arte rappresenta l’evoluzione di un mondo dove tutto sarà diverso, come anche i musei e gli spazi espositivi sempre più simili a luoghi dove poter usare l’immaginazione, dove poter visualizzare i nostri pensieri e i nostri sogni diventando parte attiva dell’allestimento come metafora della nostra esistenza.

Sculture cinetiche che creano olografie galleggianti, campi magnetici che generano forme di ferrofluido dinamiche, esperienze audiovisive immersive in cui sperimentare proiezioni virtuali sconosciute. Sono queste alcune delle installazioni presentate nella mostra ArtFutura, presso i nuovi spazi espositivi dell’Ex Dogana di Roma.

Per questa esibizione italiana, il curatore Montxo Algora ha riunito quegli artisti che hanno percorso in parallelo il cammino tra arte e scienza, incrociandosi su traiettorie nuove. Una opzione, suggerita anche dal contesto, dalla natura del contenitore Ex Dogana, inteso come fabbrica del futuro.

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ArtFutura
CREATURE DIGITALI
Dal 29 aprile al 10 settembre 2017

Mostre ArtFutura Roma Ex Dogana 2017 logoEx Dogana
via dello Scalo di San Lorenzo, 10
Roma

Curatore: Montxo Algora
Artisti: Paul Friedlander (UK), Esteban Diácono (Argentina), Can Buyukberber (Turchia/USA), Sachiko Kodama (Giappone), Chico MacMurtrie (USA) e il collettivo Universal Everything (UK)

Informazioni:
tel. 892.234
www.vivaticket.it

Prenotazioni
gruppi e scuole:
email: gruppi@bestunion.com / tel. 892.234
Informazioni online:
www.artfuturaroma.it –

La mostra, prodotta da MondoMostre Skira, è curata da Montxo Algora direttore dell’omonimo Festival internazionale “ArtFutura”.

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Le trame dei Diritti

Mostre Roma Memoria tessile sul filo dei dirittiLa mostra è tessuta della Memoria delle tragedie che hanno coinvolto i lavoratori del settore tessile nel mondo e sulle battaglie per i diritti conquistati e, in larga parte, non ancora riconosciuti.

La cultura ancestrale della tessitura e i violenti eventi che ne hanno caratterizzato la storia, dall’antichità ai nostri giorni, attraverso le opere di fiber art di artisti contemporanei

Gli appunti, le tracce tessili di Cecila De Paolis, Jacopo Lo Faro, Cristina Mariani, Lucia Pagliuca, Diana Poidimani, Lydia Predominato, Giulia Ripandelli, Grazia Santi, Laura Sassi, Patrizia Trevisi si ispirano a fatti di cronaca che cominciano in un lontano passato, come il Tumulto dei Ciompi – i più umili salariati dell’Arte della lana – scoppiato a Firenze il 20 luglio 1378; le rivolte di Lione nei setifici; gli scioperi di Torino per riduzione dell’orario di lavoro, migliori condizioni lavorative e aumenti salariali; l’incendio del 25 marzo 1911 della fabbrica Triangle di New York che causa la morte di 146 persone, tragedia che fa parte degli eventi storici ricordati in occasione della Giornata Internazionale della Donna.

Purtroppo l’elenco è ancora lungo: la tragedia di Savar a Dacca nel novembre del 2012 dove, a causa di un incendio, sono morti 100 operai di una fabbrica tessile e, a settembre 2012, altri due incendi, a Karachi e a Lahore in Pakistan, hanno causato 315 vittime e più di 250 feriti. Anche la Thailandia ha pianto le sue vittime: nel 1993 un incendio ha ucciso 188 lavoratori della Kader Toy Factory di Bangkok e molti, ancora oggi, continuano a morire al ritmo del lavoro.

Memoria tessile: sul filo dei diritti vuole ricordare e raccontare tutti questi eventi in un ideale passaggio dalla tessitura primaria alla fiber art, cercando di cogliere il nesso tra la memoria storica del “fare tessile” e il presente. Creare fiber art vuol dire prendere in considerazione l’intreccio base, considerarlo come radice primaria da cui partire per renderlo poi contemporaneo attraverso forme e materiali attuali.

Nelle opere di fiber art esposte si ritrovano notazioni, racconti salvati, ricordi, immagini, luoghi, numeri, lo scorrere del tempo, frammenti tessili, cuciture, abiti scultura, pannelli e fili, trame, ferro, cotone, lane trattate e ripetute; ma aleggiano anche i canti delle leggende popolari e i canti di protesta delle filatrici e delle ricamatrici al ritmo del gesto tessile tramandato da mano a mani.

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MEMORIA TESSILE: SUL FILO DEI DIRITTI
Dal 4 maggio al 30 giugno 2017

Mostre Roma Memoria tessile sul filo dei diritti grazia santi_particolareCasa della Memoria e della Storia
via San Francesco di Sales, 5
Roma

Informazione:
tel. 060608 – 06/6876543

Orario:
dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 20.00

Ingresso libero

a cura di Bianca Cimiotta Lami
con il coordinamento artistico di Lydia Predominato

Artisti: Cecila De Paolis, Jacopo Lo Faro, Cristina Mariani, Lucia Pagliuca, Diana Poidimani, Lydia Predominato, Giulia Ripandelli, Grazia Santi, Laura Sassi, Patrizia Trevisi

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