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Un restauro a San Pancrazio

roma-chiesa-san-pancrazio-pancrazio-sitoLa chiesa di San Pancrazio si trova appena fuori della cinta delle mura gianicolensi, oltre l’omonima porta; di origine antichissima fu fatta costruire all’inizio del VII secolo d.C. da Papa Simmaco e dedicata a San Pancrazio, giovinetto cristiano morto martire nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano. Sotto la chiesa si trovano delle catacombe, piuttosto povere, dove era sepolto il martire il cui cranio è ora conservato in chiesa, nella navata destra, in una teca nel muro.

La chiesa ha avuto nei secoli numerose vicende ricostruttive ma gran parte dell’aspetto attuale risale al restauro dei primi del ‘600 per opera del Cardinal de Torres il cui stemma appare più volte. Al ‘900 risale invece la ridipintura del catino absidale e della cappella in fondo alla navata destra.

Lungo le pareti delle navate laterali, sorrette da massicci pilastri sovrastati da festoni di puttini, si dispongono numerosi bassorilievi in stucco con episodi di vita di santi; il soffitto è in legno intagliato risalente al 1609. Il presbiterio è sorretto da colonne romane di spoglio e nella parte superiore si trovano affreschi rappresentanti santi come fossero statue inquadrate da finte architetture; risalgono ai primi del ‘600 e sono variamente attribuiti al Cavalier d’Arpino o ad Antonio Tempesta. Va notato che la chiesa fu coinvolta nei combattimenti sul Gianicolo all’epoca della Repubblica Romana e l’edificio e l’adiacente convento furono gravemente danneggiati e l’archivio andò perduto.

Nel 1662 il complesso fu affidato ai Carmelitani Scalzi che tuttora reggono la parrocchia. I frati sono devoti a Santa Teresa d’Avila, appartenente al loro Ordine, mistica spagnola vissuta tra il 1515 e il 1582, autrice di molti scritti devozionali, beatificata nei primi anni del XVII secolo; a lei era dedicata la cappella in fondo alla navata di sinistra decorata con un quadro celebrativo dipinto dal frate Luca de Nivelle distrutto da soldati francesi nel 1798. Fu sostituito con un’opera di analogo soggetto del pittore neoclassico Tommaso Conca.

In un anno imprecisato tra il 1838 e il 1848 i Carmelitani di Santa Maria della Scala, in Trastevere, donarono ai loro confratelli di San Pancrazio un quadro di Jacopo Palma il Giovane del 1615, come risulta da data e firma dell’autore; era stato nella originaria sede per oltre due secoli poi, forse per un cambio di allestimento, risultò in eccesso e fu donato. A San Pancrazio stette poco nella cappella della Santa, fu gravemente danneggiato nel 1849, arrotolato e conservato nel convento; nel 1928 fu recuperato e restaurato da Alessandro Frattini che praticamente lo ridipinse e tornò nella cappella di Santa Teresa. L’autore era stato il pittore tardo manierista Jacopo Negretti più noto come Palma il Giovane per distinguerlo da un prozio omonimo conosciuto come il Vecchio.

Rappresenta la Santa con un angelo che le trafigge il cuore con una lancia in un contorno di angioletti svolazzanti mentre un Cristo avvolto in un manto azzurro contempla dall’alto la scena; è il soggetto ripreso anni dopo, in scultura, dal Bernini, in Santa Maria della Vittoria, con un tono carnalmente sensuale mentre il Palma infonde al dipinto un aspetto dolce, tranquillo, composto.

Il Negretti, pittore famoso ai suoi tempi, fu allievo prediletto di Tiziano e non risulta sia mai stato a Roma. quindi l’opera fu dipinta a Venezia e poi inviata a Santa Maria della Scala.

Dopo il restauro del 1928 il quadro mostrava segni di degrado per cui due associazioni, Verderame Progetto Cultura e LoveItaly, hanno deciso di provvedere alla sua risistemazione promovendo una raccolta di fondi tra i parrocchiani e vari sponsor e donatori, mancano ancora 10.000 Euro che le due associazioni sperano di raccogliere tra mecenati pubblici e privati.

Per il momento il restauro ha fatto sparire le ridipinture novecentesche facendo riapparire il dipinto originale in pessime condizioni ma le restauratrici contano di poter riportare il quadro a buone condizioni di visibilità.

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San Pancrazio fuori le Mura
piazza San Pancrazio, 5/D
Roma

tel. 06/5810458

 

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Qualcosa di più:

Continuano le sofferenze delle chiese “dimenticate”

Una chiesa dimenticata

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La sofferenza nell’arte

arte-lmb-sabrina-carletti-2816229_v-4_xwebI lavori proposti da Sabrina Carletti, scaturiti dal recente vissuto personale dell’artista, sono una riflessione intorno alla sofferenza. I problemi di salute hanno reso impossibile utilizzare l’Incisione come un tempo, ma prima il disegno, con il quale sono nati taccuini e libri d’artista, e poi la pittura, sono diventati medium privilegiati, di una febbricitante produzione, documentazione e indagine, che partendo dalla propria vicenda si interseca e si fa paradigma di altre realtà.

Protagonista e filo conduttore di un processo di stravolgimento, è il corpo, che sottoposto a trattamento chimico, rivela fragilità e forza diventando la messa a fuoco di trasformazioni fisiche e mentali.perturbamenti-di-sabrina-carletti-1

Un tema che insieme a quello del paesaggio urbano ritorna e come Ida Mitrano già notava in occasione della precedente personale del 2014, diviene “punto di osservazione interno” – “Una riappropriazione che non è solo visiva (…) Carletti agisce fisicamente il suo impatto con la superficie bianca (…) Non c’è progettualità precisa, ma la tensione a una nuova relazione di senso con ciò che la memoria non riconosce più, ma di cui l’artista dentro di sé, nelle viscere, ritrova le tracce (…).

arte-lmb-sabrina-carletti-incubazioneincubationfrucidura_wvpsPiù recentemente, in uno scritto a lei dedicato, il pittore e scrittore Luigi M. Bruno scrive: “nella pena corporea di mani e occhi come ciechi cercarsi, così nei crepuscoli di deserte stazioni, grumi notturni di città desolate o nel loro tiepido albeggiare, vive e germoglia la sua forte matrice espressionista (…) I grigi azzurrati, ferrosi, solcati da segni crudeli come ferite, così come i caldi accenti di vermigli e terre sono sapienti, consapevoli distillati di una cottura alchemica intima e oscura, là dove nel segreto del suo cercarsi l’artista fa del suo racchiuso orizzonte spazio e respiro di un cerchio più vasto, là dove la pena del proprio esistere si fa germe e concepimento d’universale comprensione.”

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perturbamenti-di-sabrina-carlettiPERTURBAMENTI
di Sabrina Carletti
Dal 9 al 22 dicembre 2016

Officine Nove
via del Casale Galvani 9
Roma

A cura di Monica Pirone

Ingresso gratuito

Informazioni:
tel. 333 767 5118

Sito ufficiale

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Bentornata Artemisia

mostre-artemisia-gentileschi-in-mostra-a-roma-1Tra la fine del 2001 e l’inizio dell’anno successivo si tenne a Roma, a Palazzo Venezia, una grande mostra su Orazio e Artemisia Gentileschi, ora la sola pittrice torna a Palazzo Braschi con una esposizione di 29 suoi dipinti insieme ad altri 60 di artisti che vissero nella sua epoca e con lei ebbero fecondi scambi culturali.

Artemisia nacque nel 1593 a Roma dove il padre Orazio, originariamente di cognome Lomi poi divenuto Gentileschi per evitare omonimie con un parente anch’egli pittore, aveva uno studio affermato e dipingeva con uno stile caravaggesco allora molto in voga.

La giovane iniziò a lavorare con il padre raggiungendo presto buona fama al punto che i critici la ritengono autrice a 17 anni del quadro “Susanna e i vecchioni”, poi purtroppo incappò in una vicenda giudiziaria; insieme con il padre intentò un processo con accusa di stupro contro Agostino Tassi, collaboratore di Orazio, accusato di violenza carnale. Più probabilmente si trattò di seduzione con promessa di matrimonio in quanto il Tassi si spacciava per scapolo mentre aveva moglie in altra città. Il Tassi ebbe una pena modesta mentre Artemisia ne ebbe conseguenze nello spirito e nella successiva vita artistica.

Nel 1612 sposò un modesto pittore fiorentino e soggiornò a Firenze fino al 1620, tornò poi a Roma e dal 1627 al 1630 operò a Venezia. Nel 1630 si trasferì a Napoli entrando in contatto con i mumerosi pittori caravaggeschi che allora lavoravano nella città; nel 1638 si recò a Londra per collaborare con il padre chiamato ad operare presso la corte inglese. Nel 1640 tornò a Napoli dove morì nel 1653.

La mostra, voluta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Soprintendenza Capitolina e da Arthemisia Group con il coordinamento di Zetema, è divisa in tre sezioni che comprendono ed esaminano i tre più importanti periodi della vita dell’artista: fiorentino, romano e napoletano, a ognuno di essi è preposto un curatore tra cui Nicola Spinosa che si occupa del periodo napoletano e trae le conclusione per l’intera opera della pittrice; in particolare viene esaminata l’attività romana ed i rapporti con il Vouet, il soggiorno fiorentino con l’inserimento nella corte medicea di Cosimo II e nel circolo culturale facente capo a Michelangelo il Giovane ed infine la stagione napoletana con l’incontro con Stanzione, Caracciolo e Ribera che influirono sullo stile caravaggesco di Artemisia facendole scoprire una vena classicista di scuola emiliana.

Il tutto si articola sull’esame di decine di quadri, spesso con episodi biblici, che mostrano il rapporto culturale tra Artemisia e i suoi colleghi.

Tra i dipinti spicca il notissimo “Giuditta che taglia la testa di Oloferne” che per molti critici rappresenta il grido di dolore e la rivalsa della donna-pittrice per le tristi vicende delle quali era stata vittima. Si tratta comunque di un soggetto evidentemente molto sfruttato nei primi decenni del ‘600 in quanto sono esposti più quadri di diverso autore con  protagonisti Giuditta ed Oloferne.

La mostra è ospitata in Palazzo Braschi, si tratta dell’ultimo palazzo principesco di famiglia papale ed è frutto del nepotismo di Papa Pio VI Braschi in favore del nipote; fu costruito nel 1792 demolendo un precedente edificio di proprietà degli Orsini.

L’architetto Cosimo Morelli, e successivamente il Valadier, dettero al palazzo una chiara impronta neoclassica che appare soprattutto nel grandioso scalone. Nel 1871 i Braschi vendettero il palazzo allo Stato Italiano che vi ospitò il Ministero delle Colonie, durante il Ventennio vi ebbe sede la Federazione Provinciale Fascista dell’Urbe.

Durante i nove mesi di occupazione tedesca di Roma nel palazzo s’istallò la Banda Bardi-Pollastrini specie di polizia ausiliaria fascista che si rese responsabile di arresti, torture, estorsioni, violenze di ogni genere al punto da venire sciolta dalle stesse autorità della Repubblica Sociale, poi, per qualche anno, fu la volta di alcune famiglie di profughi e di sfollati che arrecarono seri danni all’edificio.

Finalmente recuperato e restaurato dal Comune il palazzo fu adibito nel 1949 a Museo di Roma tuttora esistente e ricco di reperti di ogni genere relativi alla storia e all’arte della città soprattutto per i secoli XVII e XVIII.

La mostra occupa il primo piano del palazzo mentre il museo, ora chiuso per ristrutturazione, è ai piani superiori.

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mostre-artemisia-gentileschi-in-mostra-a-roma-2ARTEMISIA GENTILESCHI
Dal 30 novembre 2016 al 7 maggio 2017

Museo di Roma Palazzo Braschi
Roma

Informazioni:
tel. 060608

Sito ufficiale

Orario:
tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00

Catalogo:
Skira

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Le Periferie dell’Arte

mostre-centro-culturale-aldo-fabrizi-ritorno-a-portonaccio-loLa nuova stagione dello spazio espositivo del “Centro Culturale Aldo Fabrizi” di Roma si apre, il 30 novembre prossimo, con tutti i crismi della dimensione attuale e le relazioni con il passato che non riguardano solo la “verità” espressa dalla poesia di Elio Filippo Accrocca ma interessano l’universo di una certa periferia romana: Portonaccio, la scuola del cosiddetto gruppo di Portonaccio, Pietralata e Pasolini, il gruppo del Presenteismo al Malafronte. Con questa connessione, questa sorta di rinascimento, l‘evento messo in essere, diventa reale e si proietta verso i traguardi dello spirito, ove sono racchiuse emozioni ed altre forme di oggettività tangibili. Pertanto, l’omaggio al poeta di Cori attraverso l’arte e le relazioni di numerosi artisti diventano l’argomento centrale che si ricongiunge al tempo ed allo spazio di Accrocca con un dialogo lineare su cosa è l’arte e cosa può essere la vita umana nell’arte. Da un’osservazione e una riflessione attenta, intensa, partecipativa, emergono le stratificazioni dei simboli e dei significati celati e svelati nella struttura ritmica delle parole e dei versi di “Portonaccio” prima e “Ritorno a Portonaccio” poi, portatrice di una condizione sociale sublime del pensiero, sul ritorno e sulla rinascita vitale.

Luoghi della meditazione diventano pertanto un ponte, un orizzonte, una ferrovia, un gruppo, la cosiddetta scuola di Portonaccio, Buratti, Muccini, Omiccioli, Pinata, Urbinati, Vespignani, Zianna, che cattura dalla poesia forme geometriche, ombre e colori che nel corso delle stagioni affiorano e si organizzano.

La forza di questa mostra va oltre, come lo scorrere delle acque di un mostre-centro-culturale-aldo-fabrizi-ritorno-a-portonaccio-s-ziannafiume e ci porta agli anni 80, al Centro Socioculturale del Malafronte e al Presenteismo ed alla poetica di un manifesto firmato da Piccinini, Signoretti, Fiorentini, Coppeta, Meconi, Teofani, e Levratti, Carcassonne, Gentile, Ochoa che si espande con le idee successive che sfoceranno in “Controcorrente, Prospettive Presenteiste” di Bruno, Campanella, Lombardi, Laura Turco Liveri, Vaglica, Quintini.

La mostra a questo punto si anima e prende vita, si fa comprensibile dimostrando che la bellezza è a portata della quotidianità e può avere la forma lineare, variabile, per una dialettica tra spazio e percezione, tra l’idea e la sua funzionalità. Indimenticabili le opere e gli artisti che con il territorio, amato da Elio Filippo Accrocca, hanno avuto punti di contatto, come Ennio Calabria e Salvatore Provino (affreschi nella sede della sezione ex PCI di San Lorenzo), Franco Mulas, Enrico Benaglia, Bruno Canova, Oliviero Rainaldi, Bruno Ceccobelli, Maria Grazia Dardanelli, Osvaldo Sabene e Turi Sottile. Guardando dal ponte s’intravede il possibile orizzonte che si apre ad una nuova vita, al ritorno: una conversazione tra l’artista, lo spazio ed il visitatore in cui le memorie di uno vengono a coincidere ed a confondersi nella percezione dell’altro.

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mostre-centro-culturale-aldo-fabrizi-ritorno-a-portonaccio-r-mafaiRITORNO A PORTONACCIO 2
Omaggio al poeta Elio Filippo Accrocca

Dal 30 novembre 2016 al 15 gennaio 2017

Centro Culturale Aldo Fabrizi
via Treia 14 (via Corinaldo)
Roma

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Dove, forse, fu martirizzato San Pietro

chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162452 Secondo la tradizione l’Apostolo fu crocifisso nell’Ager Vaticanus, praticamente dove ora sta la Basilica, ma una leggenda secondaria lo da invece ucciso in una parte del Gianicolo in seguito definita Mons Aureus da cui prende il nome la chiesa di San Pietro in Montorio.

L’edificio inizia ad apparire nelle fonti intorno al X secolo e poi è più volte citato nei passaggi di proprietà da un ordine religioso all’altro; nel 1472 Papa Sisto IV lo concesse alla Congregazione Francescana del Beato Amedeo da Silva che fece demolire la chiesa iniziando la costruzione di una nuova attraverso l’opera di Baccio Pontelli. o più verosimilmente di Meo del Caprino, e con il finanziamento di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, coniugi e Reali di Spagna, che assunsero il patronato del complesso monastico. Durante il pontificato di Papa Alessandro VI, nel 1500, la chiesa fu consacrata ma i lavori continuarono per un intero secolo.

L’edificio sacro subì danni durante l’occupazione francese di Roma in età napoleonica e successivamente nei combattimenti del 1849 tra le truppe francesi del Generale Oudinot e le forze della Repubblica Romana guidate da Garibaldi.

Nel 1876 il governo italiano concesse chiesa e monastero al Regno di Spagna che vi collocò la Reale Accademia di Spagna, la residenza dell’ambasciatore e il Liceo Cervantes, istituzioni tuttora operanti.

La facciata della chiesa, di fine ‘400, in bianco travertino è visibile da molte zone della città; è divisa in due parti, con in alto un rosone, e scompartita nella parte inferiore da quattro paraste, sul portale campeggia lo stemma marmoreo dei Re di Spagna.

L’interno è a navata unica con cinque cappelle, di varie dimensioni, per lato. La prima a destra è decorata da un affresco ad olio su muro rappresentante la “Flagellazione” opera notissima di Sebastiano del Piombo, nella cappella successiva campeggia un affresco, trasportato dall’esterno, con l’effigie della “Madonna della Lettera” attribuito a Nicolò Circignani detto il Pomarancio.

La terza contiene dipinti del ‘700 mentre sull’altare della quinta il Vasari dipinse la “Conversione di San Paolo”; nel transetto grande cappella con le tombe del padre e dello zio di Papa Giulio III del Monte con statue scolpite da Bartolomeo Ammannati.

Sull’altar maggiore campeggiava fino ai primi anni dell’800 la grande pala della “Trasfigurazione” di Raffaello; fu fatta asportare da Napoleone, riportata a Roma nel 1816, dirottata nella Pinacoteca Vaticana e sostituita da una copia dipinta dal Camuccini del quadro di Guido Reni la “Crocifissione di San Pietro”. Sul retro dell’altare era stata posta la tomba di Beatrice Cenci che fu purtroppo distrutta dai soldati francesi nel 1798.

Notevole nella terza cappella di sinistra il dipinto di Antoniazzo Romano “S. Anna, la Madonna e il Bambino” mentre la seconda è opera, della metà del ‘600, del Bernini a cura e spese della famiglia Raymondi.

La prima a sinistra è stata dipinta a fine ‘500 da Giovanni De Vecchi. A fianco della chiesa il chiostro del convento che presenta su di un lato delle lunette affrescate.

Al centro il bellissimo ed armonioso tempietto rotondo del Bramante, chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162646è a pianta circolare contornato da dodici colonne doriche ed è sovrastato da una cupola a costoloni: l’interno è diviso in due parti, nella superiore una statua cinquecentesca di S. Pietro, nell’inferiore episodi della vita del Santo in stucco ed un foro che la devozione ritiene trattarsi del luogo dove fu infissa la croce dell’Apostolo.

Nell’interno dell’antico convento un altro chiostro con lunette affrescate con episodi della vita di S. Francesco. Nella piazza antistante la chiesa sorge una colonna sovrastata da una croce eretta a metà ‘600. Una strada a gradoni collega la piazza alla sottostante via Garibaldi, è decorata da una Via Crucis in terracotta policroma istallata nel 1957 in sostituzione di una precedente deteriorata.

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chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162602Chiesa di San Pietro in Montorio
piazza di San Pietro in Montorio, 2 (Gianicolo)
Roma

Informazioni:
tel. 06/5813940
Sito web

Orario:
tutti i giorni ore 8.00-12.00 / 15.00-16.00

Messe:
Festivi ore 8.00 e ore 12.00
Durante la celebrazione della Santa Messa non è possibile visitare la chiesa

Per visite guidate di gruppo è obbligatorio un preventivo appuntamento telefonico

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