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Il Silenzio della Poetica

La mostra, ideata dal Presidente della Fondazione Claudi Massimo Ciambotti e curata da Stefania Severi e Maria Luisa Caldognetto, intende valorizzare l’opera del poeta e filosofo marchigiano Claudio Claudi (1914 – 1972) attraverso la creazione di libri d’artista ispirati ad otto poesie dell’autore, animate dal tema ricorrente del Silenzio.
È stata la professoressa Cristina Ubaldini dell’Università di Roma Tor Vergata, studiosa di Claudi, a individuare nella sua poesia questo leitmotiv, espresso in forme che vanno dalla solitudine alla meraviglia del cosmo, che trova nella tappa romana nuove “voci”, arricchendosi di una selezione di libri d’artista sul silenzio provenienti dal Fondo Falqui della Biblioteca Nazionale, curata da Giuliana Zagra ed Eleonora Cardinale.
Alla mostra, parte integrante dell’edizione 2014 del Festival dell’Essenziale promosso dalla Fondazione Claudi, si accompagna anche il convegno Claudio Claudi, poeta e filosofo, nel centenario della nascita che si terrà nella sala 1 della Biblioteca Nazionale lunedì 13 ottobre alle ore 17: coordinati da Davide Rondoni, interverranno il prof. Alfredo Luzi (Università di Macerata), la dott.ssa Cristina Ubaldini (Università di Roma Tor Vergata) e i poeti Claudio Damiani ed Elio Pecora. Completano il Festival venerdì 10 e sabato 11 ottobre, dalle 18 alle 24, incontri, dibattiti e un’esposizione fotografica presso il Tempio di Adriano in Piazza di Pietra a Roma.
L’allestimento di Voci del Silenzio è stato concepito itinerante: oltre l’Italia, toccherà infatti la Francia (Mont Saint Martin), il Belgio (Arlon) e il Lussemburgo (Bertrange e Dudelange). Da qui l’esigenza di coinvolgere artisti italiani e francofoni e di creare un catalogo bilingue italo/francese, edito dalla lussemburghese Convivium. Otto artisti sono stati invitati a realizzare ciascuno due libri ispirandosi al silenzio ed in particolare al silenzio testimoniato da otto poesie di Claudi: dal Belgio vengono Andrée Liroux e Geneviéve Ensch, dalla Francia Isabelle Frank e Christiane Olivier, dal Lussemburgo Bettina Scholl Sabbatini e Jean-Claude Salvi, dall’Italia Francesca Cataldi e Vito Capone. Ad essi si affiancheranno inoltre, in modo speculare, otto libri d’artista realizzati dagli allievi delle accademie d’arte di Vilnius (Lituania), Lodz (Polonia) e Belgrado (Serbia), realizzati tra il 2008 e il 2011 sotto la guida di Giuliano Santini, Direttore del Centro Internazionale di Incisione Artistica Kaus di Urbino.

 

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Mostre Voci del Silenzio Voix du Silence Omaggio al poeta Claudio Claudi 2 Cataldi

VOCI DEL SILENZIO VOIX DU SILENCE
Omaggio al poeta Claudio Claudi
dal 9 ottobre all’8 novembre 2014

Roma
Biblioteca Nazionale Centrale

Informazioni:
http://www.fondazioneclaudi.it
Facebook: Fondazione Claudi

Ingresso:
gratuito dal lun-ven
dalle 10-19, sabato 10-13

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I volumi della carta di gelso

Un’ampia selezione dei suoi lavori Nobushige Akiyama, una trentina circa, alcuni dei quali site specific, come espressione dell’artista giapponese del suo un grande amore per la carta fatta a mano tipica del suo Paese, ed in particolare la carta kozo, ottenuta dalla corteccia del gelso con una complessa lavorazione. Questa carta, utilizzata nelle forme più varie ed in abbinamento con il legno, la resina, il bronzo e il marmo, è diventata la materia della sua scultura.

Le opere in mostra, oltre a un evidente valore estetico, hanno anche un valore culturologico, permettendo al pubblico italiano di conoscere l’affascinante mondo della carta washi, la tradizionale carta artigianale giapponese. Nel corso della mostra l’artista darà vita ad alcune dimostrazioni durante le quali il pubblico potrà assistere dal vivo alla manifattura della carta, e a dei wokshop, i cui partecipanti stessi fabbricheranno il proprio foglio di carta.

La mostra. curata da Stefania Severi, si integra con una serie di eventi organizzati negli ultimi anni dal Museo Nazionale d’Arte Orientale ‘G. Tucci’ che hanno avuto per oggetto la produzione di artisti contemporanei provenienti da Cina, Corea e Giappone, nonché di artisti italiani che si ispirano all’Oriente.

06 Mostre Roma Palazzo Brancaccio Nobushige Akiyama Il peso della leggerezza sculture in carta kozo 12 web******************************

NOBUSHIGE AKIYAMA
Il peso della leggerezza sculture in carta kozo
Dal 5 ottobre 2014 all’11 gennaio 2015

Roma
Palazzo Brancaccio
via Merulana, 248

sito web

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JAPAN FOUNDATION - ROMA

 

Manoleste

Sua Santità ha recentemente accusato i romani di trattare con disprezzo i rom che salgono sui mezzi pubblici. E’ vero, ma dovrebbe anche raccontarla per intero. Tuttavia suggerisco di non inseguire facili stereotipi: se alcuni delinquenti abituali sono noti, palesi e sfacciati, non sono i più pericolosi. Alludo ai distinti, quelli che ti chiedono sempre informazioni davanti alla banca o all’ufficio postale; quei signori tanto gentili – troppo – che si offrono di portarti i bagagli alla stazione Termini o girano frettolosi per scompartimenti e corridoi dei vagoni senza neanche una borsa e solo per scendere due minuti prima che il treno parta. Scommetto che alcuni sono persino incensurati.
A scanso di equivoci, non sto parlando di chi ruba per fame e può esser recuperato dai servizi sociali, ma dei professionisti recidivi. E qui il consiglio è uno solo: non fissatevi su ciò che un uomo sembra, ma su quello che fa.
Tanto per fare un esempio: alla fermata dell’Atac tutti guardiamo a sinistra per vedere se arriva l’autobus; ma se qualcuno invece fissa le borse, allora non va bene. E ricordatevi che il ladro non è mai solo: ha sempre un complice che si mette davanti alla porta e rallenta il flusso in uscita, oppure segnala la preda al compare, o ti distrae chiedendoti un’informazione mentre l’altro ti mette la mano in tasca. Ed ora guardatevi intorno : scoprirete che troppi si fanno avvicinare da tutti, che tengono i soldi o il bagaglio personale in modo sbagliato; che non chiudono la borsa; che non si guardano mai alle spalle o con troppa disinvoltura prendono i soldi al bancomat senza chiedersi se qualcuno li stia osservando, o peggio, lasciando in giro lo scontrino. E non sono sempre turisti o provinciali.
Mi è capitato di metter sull’avviso un gruppo di ragazzi romani, solo per farmi guardare strano: a loro proprio non passava per la mente che qualcuno potesse rubargli il portafoglio o il telefonino. Eppure non erano sprovveduti, sicuramente nella loro periferia sapevano riconoscere a volo i ladri d’auto o gli scippatori. In ogni caso chi ha un negozio o gira sempre a piedi o prende i mezzi pubblici ha un occhio più allenato, riconosce il ladro anche dall’andatura (furtiva o casuale), diversamente da chi guida e deve solo controllare semafori e precedenze. Ma siccome le masse di turisti girano per lo più a piedi, i borseggiatori a Roma usano la fiocina, sono scene che vediamo ogni giorno, quindi non dico niente di nuovo.
Fa rabbia però la mancanza di un vero contrasto sistematico e collettivo. Vero è che gli arresti sono frequenti – 600 negli ultimi mesi, su 7000 e passa denunce – ma sappiamo benissimo che per i reati per i quali è prevista una pena inferiore ai tre anni non c’è la pena detentiva ma solo l’obbligo di firma.
Se poi l’autore del reato è un minore, può essere solo riaffidato ai genitori, ma immaginiamo tutti che tipo di rieducazione possono dare le famiglie a quei gruppi di ragazzine che vediamo sulla metro o persino sotto il Campidoglio.
Si è parlato anche di istituire la polizia turistica (un’altra!), ma basterebbe che gli stessi vigili si diano da fare sul serio, tanto certe facce son sempre le stesse, né basta mascherarsi da turisti.
Sarà un caso, ma da quando il Messaggero ha pubblicato foto inequivocabili di flagranza di reato, ai piedi del Campidoglio stazionano sempre un paio di vigili. Ma non è solo una questione di presidio: non si capisce p.es. perché alla stazione Termini non esistano da anni né facchini né carrelli, col risultato di rendere stanziali quelli che onestamente o meno ti vogliono per forza aiutare a portare i bagagli.
In sostanza, a Roma vogliamo il turismo perché fa comodo, ma non sappiamo proteggerlo. E qui metto in conto anche le guide turistiche improvvisate, i tassisti abusivi, i chioschi mobili senza prezzi segnati, i B&B fai-da-te, i conti taroccati al bar e al ristorante, i posteggiatori e truffe varie.
Niente di strano se poi il britannico Foreign Office, l’omologo del nostro Ministero degli esteri, mette ufficialmente in guardia i propri concittadini che vengono a Roma.
Ha un bel dire il nostro sindaco che quelle son notizie false, che i romani si sono offesi (!) e che anche Londra è pericolosa: nella percezione urbana il borseggio è una piaga sociale priva di un deterrente credibile, divenuta endemica in seguito ad una cattiva gestione dell’ordine pubblico, aggravata sì dalla crisi economica, ma anche dalla pratica giudiziaria. Le sentenze della magistratura vanno sicuramente rispettate, ma se una società cambia, perché mai le leggi dovrebbero restare quelle di cinquant’anni prima, quando un problema era marginale? E se la protervia dei delinquenti spingesse i cittadini a far da soli, sarebbe forse meglio? Che senso ha mandare i soldati nei Balcani se non sappiamo poi gestire i Balcani trasferiti a Roma? E se per legge si proibisce ai tifosi violenti di frequentare gli stadi per mesi o anni interi, perché invece si permette al ladro appena rilasciato di salire di nuovo sul 64?
A parte l’affollamento delle carceri, sicuramente a favore del garantismo italiano ha influito a suo tempo l’idea democratica di non permettere dopo il Fascismo leggi che potessero essere usate anche contro i dissidenti politici. Solo che la Germania ha avuto una dittatura peggiore, ma non per questo ha leggi più generose di quelle italiane, anzi. Ed è ovvio che il delinquente – italiano o straniero non importa – sceglie il paese dove rischia di meno; è umano che lo faccia. Quindi, occhio al portafoglio.

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1462: sant’Andrea sbarca a Roma

Roma. Una volta, molti secoli fa, era “caput mundi” perché i romani di allora (“tosti” e precisi come svizzeri tedeschi) ne avevano fatto una città che era davvero una grande nazione, un immenso lago dove confluivano razze, religioni, acque, merci, culture, in una specie di accogliente e trionfale pentolone che le amalgamava tutte genialmente.
Finita la gloria politica e militare nel Medioevo Roma ritorna però ad essere “caput mundi” ma stavolta per ragioni mistiche o pseudo—mistiche-politiche; insomma è il fulcro del cristianesimo con tutti i suoi complicati e anche misteriosi traffici. In effetti il “mercato” delle reliquie, vere o false che fossero, toccò allora vertici incredibili imputati molto all’ignoranza scientifica pressoché totale e alla immensa buona fede che sconfinava nella superstizione del popolino, convenientemente diretta e ammaestrata dal clero imperante.
Da allora molte reliquie o presunte tali, all’esame di archeologi e chimici sempre più severi, sono pateticamente scomparse nel nulla o ne è rimasta traccia come di favole ingenue. Ma pur tra le reliquie oggi ancor maggiormente “accreditate” ci piace rievocare l’avventuroso viaggio della onorata reliquia di S.Andrea (l’apostolo fratello di Pietro). Da Patrasso in fuga dai turchi, ad Ancona, poi per via di terra a Narni e poi lungo il Tevere, la Santa Testa dell’apostolo approdò finalmente nei pressi di ponte Milvio dove il papa Pio II la ricevette “brevi manu”, con adeguata cerimonia, dal cardinal Bessarione.
Il fatto accadde l’11 aprile del 1462 e dell’avvenimento (pochi lo ricordano) ne fa fede e testimonianza una edicola con debita iscrizione, poggiata su quattro colonne, dove si erge la statua del Santo (chi dice scolpita da tal Paolo Taccone, chi dice da tali Varrone e Niccolò, fiorentini).
Un altro papa, Pio V, eresse e concesse in seguito nel 1566 alla Confraternita della Trinità dei Pellegrini un oratorio con annesso piccolo cimitero per i pellegrini defunti nella città santa. L’oratorio, pur dimesso e trascurato, è tuttora visibile oltre alcune lapidi dell’antico cimitero. Notevole il fatto che l’edicola di S.Andrea subì la rovina di un fulmine nel 1866 e una conseguente ricostruzione.
Naturalmente la preziosa reliquia del Santo, una volta approdata, non rimase nei paraggi allora erbosi e disabitati, ma si incamminò con solenne processione lungo la via Flaminia sino alla definitiva deposizione in S.Andrea della Valle.
Il piccolo oratorio colà rimasto, oggi purtroppo gravemente negletto (graffiti osceni, parcheggi e altro sudiciume), pur rielaborato dal Valadier nel 1803, è in fiduciosa attesa di un’adeguata se pur modesta valorizzazione.
Più oltre, procedendo sulla via Flaminia si noti la piccola chiesa-tempietto dedicata anche questa a S.Andrea dell’architetto Vignola (l533) ma con diverso antefatto: pare che Giulio III per commemorare la sua miracolosa fuga durante il Sacco di Roma (1427), allora ancor cardinale, la fece in seguito erigere in ricordo di quel giorno memorabile che guardacaso era un 30 novembre, dedicato a S.Andrea; una specie di cappella votiva, rurale e fuor di porta, pur nei paraggi della “sua” altrimenti splendida e fastosa Villa Giulia.

 

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Roma: il decoro per il Tevere

È desolante passeggiare per il lungotevere e vedere l’incuria che regna nel più assoluto disinteresse dell’Amministrazione capitolina e dell’Autorità del bacino fluviale.

Se questa incuria è imperante al centro si può immaginare in quale condizione si possono trovare gli argini nella periferia romana.

Il biondo Tevere è lasciato senza l’ordinaria manutenzione per un continuo rimpallo di competenze e la cronica carenza di fondi.

Una situazione che il fiume subisce da decenni, non trova una soluzione, e che in occasione di una pioggia più consistente si trasforma da placido a pericoloso, lasciando, con il ritirarsi delle acque, testimonianze dell’evento sui rigogliosi alberi e sulle sponde.

Questo è quello che si vede: sono tronchi e tavolame che trovano anche nell’esuberante e spontanea vegetazione un ostacolo al loro defluire verso il mare, ma non è difficile immaginarsi quale discarica si cela sotto quelle torbide acque.

Un mondezzaio di carcasse di auto e di elettrodomestici, e se le prime potrebbero essere vittime delle periodiche esondazioni i secondi rimangono testimoni della maleducazione del cittadino, per un fiume che si vorrebbe navigabile, con una spesa di 100milioni di euro, entro il 2015.

Il Tevere non potrà mai essere la Senna o il Tamigi immaginato dal Sindaco Marino, ma forse potrà assomigliare meno ad una cloaca.

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