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Le fiabe di Benaglia

Enrico Benaglia propone una serie di opere, tra cui alcuni inediti, eseguiti con la tecnica del pastello, con la quale ricava una prima bozza delle sue opere che poi trasforma in oli dopo aver studiato il tema e il tono cromatico con un pastello di dimensioni ridotte.

Usare il pastello permette di dare vita ad un’opera immediata, istintiva, volta a catturare le impressioni della realtà che poi il Maestro muta e trasforma negli esseri e nei paesaggi del suo mondo di favola, riuscendo a trasportare l’osservatore in un sogno ad occhi aperti.

La tecnica del pastello ben si presta a esprimere l’universo fiabesco di Benaglia: la morbidezza del pigmento, le sfumature e le velature, la pastosità degli infiniti toni fanno di queste opere autentici gioielli da collezione.

 

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Enrico Benaglia Roma musicainfinita_enricobenaglia

MACSI

vicolo del Campanile 9-9b

ENRICO BENAGLIA

Pastelli

Dall’8 novembre al 6 dicembre 2013

Orario:

dal mercoledì alla domenica

dalle 16.00 alle 20.00

Ingresso libero

Tel. 3392490110

Sito web

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Il ponte che vive

Ponte Rotto è uno fra i più anonimi monumenti di Roma, conosciuto anche come Pons Aemilius o Ponte Emilio – nella sua forma latina e italiana – è il più antico ponte in pietra di Roma inaugurato nel 174 d.C., sebbene un ponte ligneo fosse esistito sullo stesso sito fin dal 179 a.C. Oggetto di continue distruzioni e ricostruzioni, la sua metà orientale fu distrutta da un’inondazione nel 1598. Fu rimpiazzato dall’adiacente Ponte Palatino nel 1886.

Ore il Ponte Rotto non ha alcuna funzione e non rappresenta nulla. Non è segnalato da nessuna indicazione turistica e viene ignorato dalla maggior parte dei turisti; nonostante sia un’icona per molti abitanti, molti altri gli passano accanto con indifferenza. Questo contesto dà a Rewakowicz la possibilità di esplorare la dimensione umana del “paesaggio”: un genere definito dal suo contatto con gli esseri umani. In uno dei due film in mostra all’Istituto Polacco l’artista racconta la storia di persone la cui vita è legata al ponte, nonostante il ponte per loro non assolva il suo scopo originario.

Nel preparare un intervento su Ponte Rotto a Roma, Ana Rewakowicz coglie l’occasione di riflettere sul passato culturale della città e sul suo presente. Da dodici anni a questa parte l’artista lavora su oggetti gonfiabili e sulla loro relazione con l’architettura, il corpo e l’ambiente, producendo strutture temporanee che incoraggiano gli spettatori a interagire l’uno con l’altro e con ciò che li circonda. La mostra dell’artista all’Istituto Polacco induce – grazie a un’installazione, due film, e una serie di foto-disegni – a una riflessione sul legame tra Roma e il suo contesto. L’intero lavoro fa riferimento alla ricostruzione di Ponte Rotto, pianificata da tempo, tramite il completamento temporaneo degli archi mancanti. Analogamente al lavoro di Ana Rewakowicz intitolato Green Line Project (2006) – una ‘linea’ di 350 metri di materiale biodegradabile che si stendeva dall’isola di Lauttasaari fino ad Helsinki – il progetto di Ponte Rotto mira a un semplice intervento contemporaneo inserito in un paesaggio senza tempo. Nella Città Eterna un simile metodo operativo incontra un contesto particolare poiché ciò che è provvisorio si misura con l’antico.

La proposta di Ana Rewakowicz, di completare temporaneamente il ponte utilizzando materiale interamente riciclabile, induce a riflettere sulla convergenza di presente, passato e futuro in una cancellazione della distinzione tra “adesso”, “allora” e ciò che verrà.  Questo allo scopo di creare un contesto che sottolinei la distruzione del ponte non quindi per mostrare la bellezza, ma per guidare lo spettatore verso ciò che è importante: cioè l’“adesso”, che non deve essere cercato in un’incessante sete di novità, ma può essere trovato nell’apertura a un contatto con un ambiente più vasto. Il temporaneo intervento di Rewakowicz sottolinea precisamente l’imperfezione del ponte e della città, che trova la sua contemporaneità nella quotidiana apertura al passato, rinnovato giornalmente attraverso la percezione dei suoi abitanti. Il progetto di Ponte Rotto è un intervento temporaneo che indaga su dove Roma possa posizionarsi in un mondo in rapida mutazione e in un contesto artistico globale. Mike Watson.

L’artista, in concomitanza con la mostra, terrà un laboratorio presso l’Istituto Polacco.

Il laboratorio è a cura di ALAgroup, la piattaforma di educazione e arte contemporanea fondata da Maria Rosa Sossai. www.alagroup.org

 

06 Mostre Ana Rewakowicz Ponte rotto

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Ana Rewakowicz

Ponte rotto

Dal 4 novembre 2013 al 17 gennaio 2014

Roma

Istituto Polacco

via Vittoria Colonna 1

Orario:

dal lunedì al giovedì dalle 10.00 alle 17.00

venerdì su appuntamento

Ingresso:

libero

Sito web

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06 Mostre Ana Rewakowicz Ponte rotto 1

Pictor Urbis

Così veniva chiamato Antonio Aquili più noto come Antoniazzo Romano, nato a Roma tra il 1430/35 e qui morto nel 1508, operante sia in città che nel Lazio Pittore versatile e capo di una avviata bottega ebbe committenti religiosi e laici ed adeguò spesso la sua arte ai loro gusti: pur potendo essere definito un pittore rinascimentale si cimentò anche in stili attardati di tipo tardo gotico dipingendo tavole a fondo oro.

Il Vasari, che scrisse a metà ‘500 le Vite dei più eccellenti pittori, pur esaltando soprattutto i pittori toscani suoi conterranei, elogia Antoniazzo definendolo “pittore dei migliori che fussero allora in Roma”. Non si sa molto della vita dell’artista, era figlio di Benedetto pittore ed aveva due fratelli anch’essi pittori, la ricostruzione delle sue vicende è più difficile rispetto a quella di artisti suoi contemporanei; ebbe certamente rapporti con Beato Angelico, Benozzo Gozzoli e Piero della Francesca tutti operanti a Roma e nel 1465 collaborò con Melozzo da Forlì nella decorazione ad affresco della Cappella Bessarione nella Basilica dei Santi Apostoli in Roma, riscoperta pochi decenni fa in una posteriore intercapedine; nel 1468 partecipò al ciclo illustrante la vita di Santa Francesca Romana nel convento delle Oblate a Tor de’ Specchi.

Lavorò in Vaticano con il Ghirlandaio, Melozzo e il Perugino e a lui è stato recentemente attribuito il ciclo di affreschi “storie dell’invenzione della vera croce” nel catino absidale della chiesa di Santa Croce in Gerusalemme precedentemente ritenuto opera del Pinturicchio. Dipinse anche a Tivoli, Bracciano, Subiaco, Viterbo.

Le opere esposte in una mostra presso la Galleria Nazionale di Arte Antica a Palazzo Barberini provengono da svariati musei e raccolte private, sono una cinquantina e offrono un vasto panorama dell’attività dell’artista e della sua prospera e operosa bottega che è stata individuata nell’attuale Piazza Rondanini. Accanto alle opere d’arte, tavole ed affreschi staccati, sono in mostra documenti provenienti dall’Archivio di Stato quali lettere autografe, contratti, atti privati e il testamento del pittore.

L’Accademia di San Luca espone un codice miniato del 1478 con lo statuto della corporazione dei pittori della quale Antoniazzo fu console.

Sono presenti numerose pale d’altare con Madonne e Santi e piccole tavole per culto privato con la Vergine e il Bambino nonché il ciclo pittorico in affresco della Camera di S.Caterina da Siena riunito per l’occasione dato che, dal ‘600, è stato staccato dalla sede originaria e diviso tra i conventi della Minerva e di S.Caterina a Magnanapoli; chiude la rassegna delle opere dell’artista la splendida tavola, a fondo oro, proveniente dalla chiesa di Santa Maria sopra Minerva; voluta dal Cardinale Torquemada rappresenta una Annunciazione con un contorno di fanciulle appartenenti ad una congregazione di ragazze povere, che il cardinale forniva di dote, a cui, la Vergine consegna un sacchetto di monete. La tavola, datata nell’anno giubilare 1500, è l’ultima opera nota di Antoniazzo.

Fanno contorno alcuni dipinti dovuti al figlio Marcantonio, che trasferì la bottega a Rieti, e ai collaboratori Jacovetti, Scacco, Gatti e Cola dell’Amatrice. In occasione della mostra gran parte di quanto esposto è stata restaurato ad opera delle Soprintendenze competenti, per lo più da personale interno.

Per gli affreschi è possibile seguire un itinerario che consente di visitare le chiese che ospitano dipinti di Antoniazzo Romano: Santi XII Apostoli, Santa Croce in Gerusalemme, San Giovanni in Laterano, San Pietro in Montorio, Sant’Onofrio.

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06 Mostre Antoniazzo 5524Antoniazzo Romano

PICTOR URBIS

Dall’11 novembre 2013 al 2 febbraio 2014

Roma

Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini

via IV Fontane 13

Orario:

da martedì a domenica

dalle 10.00 alle 19.00

Informazioni:

tel. 06/4824184

Sito web

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 06 Mostre Antoniazzo

Un gigante di marmo

Percorrendo il lungotevere in uno slargo intitolato, ironia della sorte, all’antifascista Lauro De Bosis si erge un obelisco di marmo alto più di 40 metri con una cuspide dorata; sulla sua faccia rivolta alla strada appare scolpita in grandi lettere la scritta “MUSSOLINI DUX”. È curioso pensare a come l’opera sia riuscita a sopravvivere alle varie epurazioni di simboli del Fascismo iniziate il 25 luglio 1943, forse si è salvata per le dimensioni ma è da notare come anche la scritta non sia stata intaccata da scalpellature o riempimento delle lettere. Comunque il monolite è sopravvissuto come gli edifici che lo circondano, ora Foro Italico, un tempo Foro Mussolini.

Il complesso ideato con finalità sportive ed educative venne progettato verso la fine degli anni Venti del ‘900 dall’architetto Del Debbio per incoraggiare i giovani alla pratica sportiva e militare legata agli ideali del regime e sin dai primi progetti era prevista l’erezione di uno o più obelischi.

La circostanza determinante avvenne nel 1927 allorché a Carrara, nella Cava Carbonera, venne rinvenuto un blocco di marmo, senza venature né fratture, di dimensioni non comuni, oltre 17 metri, ed il Consorzio dei marmi di Carrara propose di offrirlo al Capo del Governo; la proposta fu appoggiata da Renato Ricci, carrarese, responsabile dell’Opera Nazionale Balilla, reduce decorato della I Guerra Mondiale, importante gerarca e, come si diceva allora, squadrista della “prima ora”. L’ O.N.B. curava l’indottrinamento e la cultura fisica dei bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni articolati in varie fasce d’età: figli della lupa, balilla, avanguardisti, piccole italiane; aveva una salda e capillare organizzazione e molto seguito tra i giovani. Ricci decise di dedicare, a nome dell’O.N.B., il grande blocco trasformato in obelisco a Mussolini a decorazione del Foro allora in costruzione. L’opera era improba e tecnicamente complessa in quanto mai dalle cave era stato estratto un masso di tale misura, comunque fu isolato e tagliato con filo elicoidale, squadrato e preparato per il trasporto. Questo avvenne per una distanza di circa 10 Km. in discesa dalla cava al mare attraverso la “lizzatura”, termine tecnico che indica la discesa del blocco di marmo, inserito in una armatura di legno, trascinato da decine di buoi e trattenuto con funi da decine di operai; giunto al mare il monolite fu caricato su una specie di grande chiatta chiamata l’Apuano, progettata dall’Ammiraglio Pugliese e costruita dalla Regia Marina; dopo un complicato carico fu trainato da rimorchiatori a Fiumicino dove dovette attendere il massimo livello del Tevere in inverno per risalire il fiume fino alla Farnesina e qui rimase tre anni. Incaricati dell’erezione dell’obelisco furono gli architetti Costantini e Pintonello che iniziarono gli studi consultando anche la relazione di Domenico Fontana che per ordine di Sisto V innalzò l’obelisco su Piazza San Pietro.

Infine fu deciso di costruire una grande rampa in cemento e legno su cui fu fatto scorrere il monolite spinto da martinetti idraulici poi ruotandolo e depositandolo sul basamento nel frattempo costruito.

Le operazioni di montaggio si svolsero regolarmente poi intervennero squadre di operai per sistemare la cuspide in bronzo dorato, rifinire gli angoli e le facciate, intagliare la scritta, coprire il basamento con lastre di marmo. Il 4 novembre 1932, alla presenza di Mussolini, Balbo, De Bono, Ricci e di una folla di gerarchi, militari, autorità ed esponenti dell’ O.N.B., l’obelisco fu inaugurato insieme a parte del Foro.

Questa è la storia sommaria dell’obelisco di Mussolini ma per chi desidera una documentazione più approfondita è disponibile il libro di Maria Grazia D’Amelio dal pudico titolo L’Obelisco marmoreo del Foro Italico. Storia, immagini e note tecniche pubblicato da Palombi Editori.

Questa casa editrice, ormai pressoché centenaria, sin dall’inizio ha privilegiato la pubblicazione di opere relative alla città di Roma, alla sua storia, ai suoi costumi, ai suoi monumenti.

Il libro, di bella veste grafica e di circa 190 pagine, esamina in dettaglio le vicende dell’obelisco partendo dalla localizzazione e dall’inizio della costruzione del Foro, passa poi alla scoperta del grande masso, alla sua lavorazione in cava, al trasporto in terra, in mare, lungo il fiume fino all’erezione, anni dopo. Ogni passaggio è descritto con puntuale esattezza e grande professionalità dall’autrice che esamina, con dovizia di particolari, i dettagli tecnici delle varie fasi della lavorazione.

Circa metà del libro è costituita dall’Album Fotografico dell’Obelisco che fu commissionato all’Istituto Luce dall’ O.N.B e che in 83 foto b/n ripercorre la storia del monolite; l’album che appartiene all’archivio privato di Renato Ricci è costituito da 44 cartoncini e porta nella copertina il titolo “monolite mussolini anno X opera balilla”; altre immagini sono contenute negli archivi di persone od enti a diverso titolo coinvolti nell’operazione. Il libro è corredato da una ampia raccolta di carte d’archivio relative a vari carteggi, da una larga indicazione di fonti audiovisive, soprattutto di origine Luce, e da una amplissima bibliografia. Sono trascorsi più di ottanta anni, sono passati Mussolini, Ricci, Del Debbio, Costantini, l’O.N.B., il Fascismo; l’area circostante, molto degradata, non è più frequentata dai balilla ma dai tifosi diretti allo stadio ma l’obelisco, bianco ed imponente, sta sempre li, sopravvissuto agli eventi e consegnato alla storia.

 

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L’Obelisco marmoreo del Foro Italico a Roma

Storia, immagini e note tecniche

Maria Grazia D’Amelio

Editore: Palombi

Pagine: 209, 196 ill.

ISBN 978-88-6060-232-9

€ 34.00

http://www.palombieditori.it

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Monologando Daniele

Gli elementi del teatro esplosivo di Daniele Parisi, in scena dall’8 al 24 novembre con due lavori da lui stesso diretti ed interpretati, è di un umorismo allucinato e da una spiazzante crudeltà, in una girandola caleidoscopica dal sapore amaro.

Il primo, “Abbasso Daniele Parisi”, in programma per le serate del 8, 9 e 10 novembre alle ore 21.00, è una sorta di one-man show, nel quale Parisi incarna personaggi ora dimenticati, ora traditi, appassionati e spaventati. Un bestiario di umanità grottesche libero da congetture psicologiche e dettami morali, condito di ritmo loop, tormentoni e canzoni impossibili.

Secondo lavoro in programma, “AB HOC ET AB HAC”, in scena il 15, 16, 17, 22, 23, 24 novembre alle ore 21.00. Un vero e proprio viaggio nell’ipocondria e nelle ossessioni che riguardano da sempre l’essere umano alle prese con concetto di “salute”. Un susseguirsi di situazioni e personaggi esilaranti, che davanti alla malattia o alla paura, smarriscono ogni principio razionale, entrando così in un universo surreale, diventando inconsapevolmente ridicoli.

Due appuntamenti da non perdere, che incarnano a pieno il teatro di Daniele Parisi, in tutte le sue bizzarre sfumature.

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06 Teatro Abbasso Daniele Parisi foto di federica CalìABBASSO DANIELE PARISI (prima settimana)

AB HOC ET AB HAC

Dall’ 8 al 24 novembre 2013

 

Teatro Doppio

via Tunisi, 16

Roma

Tel. 328 546 8526

http://www.danieleparisi.org/

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