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La grande Schifezza

Mi sia perdonata la parafrasi del film di Sorrentino, ma da romano sono convinto che come esiste Cosmos, il dio della Bellezza, a Roma dimori anche il suo gemello perverso e infero. Scendete dal Campidoglio di Michelangelo e andate a piedi verso il Colosseo: i turisti in mutande e ciavatte sono forse migliori dei saltimbanchi in fila lungo via dei Fori Imperiali? E quando scoprite che un mimo imbiancato in realtà è un nero e che i falsi santoni arancioni sul palo – emuli di Simeone stilita – sono dislocati a distanze precise uno dall’altro, davvero non esiste un’organizzazione centralizzata che smista, veste e autorizza secondo regole ferree i vari artisti come nell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht? Peccato che abbiano allontanato il mimo che imitava perfettamente papa Wojtila: sicuramente lo rappresentava meglio del monumento che campeggia nel piazzale della stazione Termini. Il nostro film continua davanti al Colosseo, con centurioni e turisti vari, ma è una scena facile. Prendiamo invece la metro B per scoprire che, a differenza delle altre stazioni, quella del Colosseo è un solo un modesto esempio di edilizia. Altra scoperta sorprendente: pur essendo la più trafficata di turisti, è la meno presidiata in assoluto. Saremo arrivati almeno alla terza generazione di borseggio minorile, ormai ci riconosciamo e ci salutiamo pure. Ormai te li tieni come ti tieni i mendicanti professionisti che presidiano stabilmente le chiese come ai tempi della Controriforma, o come gli storpi d’epoca, importati dai Carpazi, che popolano Fontana di Trevi. Sarò anche cinico, ma è facile vedere la facile teatralità di certi gesti, di certe vestizioni, di atteggiamenti ripetuti con poche varianti. Nel periodo della globalizzazione tutto è omologato, come i negozi dei cinesi a piazza Vittorio, come il gelato artigianale (?), come la serie dei negozi senza porta che vendono i souvenir a un euro e sembrano realmente un solo negozio con quaranta ingressi. Parlo di Fontana di Trevi, del Pantheon. In realtà la rogna si espande e si attacca dappertutto: negozi del genere si vedono ora anche dietro al Tritone, lungo il corso Vittorio, verso Campo di Fiori, ormai un mercato-farsa per turisti e un luna park per alcolisti la notte. E cresce il vouyerismo: se il turista low-cost ora fotografa le cartoline con la digitale per non spendere 10 centesimi di euro, ieri ne ho còlto uno mentre fotografava i gelati. Forse non era normale fotografare le ragazze scollate, ma di questi cosa dire? I turisti giapponesi spesso fotografavano mio padre antiquario nel suo negozio, ma almeno quello era colore locale, un prodotto caratteristico. Qui invece stiamo al livellamento, penso allo scrittore Ian Fleming che in 007 ti descrive per tre pagine un banalissimo pacchetto di sigarette Malboro. Penso anche al genio di Andy Warhol, analista della ripetitività iconica industriale. In fondo avevamo i profeti, ma non li abbiamo saputi ascoltare. Nello stesso momento – siamo in campagna elettorale – un candidato sindaco promette la chiusura dell’anello ferroviario e l’eliminazione di tutte le buche. E tante, tante piste ciclabili.

Roma non sia più schiava dei palazzinari

Christian Raimo ha lanciato dalle pagine de Linkiesta una sfida (dal titolo: Roma, così si è scelto di uccidere la città) ai candidati sindaco di Roma; una lettera aperta per un radicale cambio di rotta nell’amministrazione della capitale, oggi divisa in periferie ghetto ed enclave di lusso, per colpa dei politici, ma anche degli intellettuali. Sandro Medici, candidato della sinistra (Rifondazione comunista, Comunisti italiani, Liberare Roma, Roma Pirata e Repubblica Romana) gli risponde con una lettera. Saremo lieti di ospitare anche le repliche degli altri candidati.

Raccolgo l’invito a ragionare su Roma che Christian Raimo rivolge un po’ a tutti, oltreché ai candidati a sindaco. Colgo nella sua analisi molte verità e quella densità critica che è in gran parte la stessa che mi ha spinto a promuovere la Repubblica Romana.

Al di là dei tanti spunti e delle svariate argomentazioni, nella lettera di Raimo mi colpisce la sua accusa a quel corpo intermedio intellettuale che da decenni ha rinunciato (si rifiuta) di svolgere la sua funzione preminente: quella di sollecitare la politica a comprendere la città e a progettarne il futuro. Una funzione che nel passato, anche tra contrasti a volte furenti, ha spesso determinato scelte politiche consapevoli e felici. E sulla quale si sono formati amministratori che ancora rimpiangiamo: tra questi, i citati Nicolini e Tocci, più una larga schiera di politici-intellettuali che ancor oggi sopravvive qua e là, dispersa e sostanzialmente neutralizzata.

Ha ragione Raimo: l’assenza di dialettica tra chi pensa e chi agisce, tra chi legge la realtà e chi s’incarica di cambiarla ha determinato quel vuoto nella cultura della sinistra romana che ha finito per indebolire la centralità dell’istituzione pubblica sulle scelte urbane. C’è da aggiungere che per alcuni è stata una sventura, per altri è stato un sollievo. Sia come sia, quel che si è via via consolidato è stato un processo di subordinazione della politica all’economia, appena scalfito da pratiche di riduzione del danno che in pochi, pochissimi abbiamo cercato di agire.

Non per essere pedante, ma lungo gli anni Sessanta, dal Gruppo ’63 al Sessantotto, s’è sviluppata (e non solo a Roma) una tempesta critica che ha poi nutrito e sedimentato l’esperienza delle giunte rosse, per molti aspetti la migliore del secolo scorso. Per anni e anni abbiamo tutti attinto a quella fonte culturale originaria, che tuttavia non siamo più riusciti a rinnovare e/o attualizzare. Forse non era possibile o forse non ne siamo stati capaci. La conseguenza è stata comunque quella d’inaridire la nostra proposta, il nostro immaginario. E dunque consumare una sconfitta.

Oggi Roma è una bottega. Dove tutto si compra e tutto si vende, compresa la dignità della rappresentanza politica. Se per realizzare un asilo-nido si deve concedere l’edificazione di un paio di palazzine, se per qualche km di metropolitana bisogna autorizzare milioni di metricubi, vuol dire che il Campidoglio è un’agenzia d’intermediazione urbanistica e i vari amministratori agenti fiduciari delle centrali immobiliari.

Non sfugge a nessuno che tale avvilente situazione sia soprattutto figlia delle politiche economiche dominanti, che in generale, riducendo i trasferimenti di bilancio, impongono alla sfera pubblica di ritrarsi dal suo ruolo regolatore per far posto alle dinamiche di mercato, attraverso la privatizzazione di servizi e patrimoni, la dismissione di competenze economiche e sociali. Al punto da ridurre l’amministrazione a un mero ufficio certificatore di interessi privati.

Difficile valutare quanto la politica abbia consapevolmente contribuito alla sua eutanasia. Di certo, non ha fatto molto per evitarla. E qui a Roma l’ha perfino accompagnata e favorita, grazie al furore liberista delle giunte di centrosinistra e, successivamente, ai comitati d’affari e al penoso clientelismo della destra.

C’è consapevolezza di tutto ciò? A me non pare proprio. Anzi, l’impressione è che sia in corso un tentativo di rimozione e dunque una sostanziale accettazione di quel ch’è stato. Anche perché prendere atto delle proprie responsabilità comporterebbe uno scatto di discontinuità che le maggiori forze politiche oggi non sono in grado di produrre: per farlo, dovrebbero transitare lungo un ripensamento talmente profondo che finirebbe per scardinarle completamente. Per questa ragione sono ancora lì, con i loro assetti oligarchici che fanno e disfanno, preoccupati solo di consolidare i propri poteri, sostanzialmente indifferenti ai contenuti, alle proposte di cui dovrebbero essere portatori.

La conseguenza è che la campagna elettorale vivacchia su improvvisazioni e banalità, micro-polemiche e scemenze varie. Non c’è una visione di Roma, non c’è prospettiva strategica, non c’è cultura del futuro. E gli stessi programmi che vengono offerti agli elettori risentono di mancanza di spessore e di respiro.

L’elencazione dei problemi che Raimo sintetizza con efficacia necessiterebbe di ben altro, di ben altra passione, di ben altra competenza. Purtroppo, resta senza risposte.

Nel nostro piccolo, stiamo provando a tratteggiare un’idea di città, che meglio corrisponda all’inquietudine e al desiderio dei tanti e tante che non intendono rassegnarsi. Con la quale vorremmo raccogliere la disponibilità e il consenso di chi sta ritrovando la passione per la politica. Sappiamo quanto sia difficile, ma sappiamo anche che solo in una condizione di libertà e indipendenza è possibile ricominciare un cammino di cambiamento: di se stessi e della città

Le transavanguardie nell’antico

Anfore, ciotole, cesti, resti di forme antiche della vita quotidiana creati appositamente con una materia del tutto originale, realizzate da Marcello Mondazzi, perseguendo la ricerca artistica nata alla fine degli anni Settanta, a partire dalla pittura con la Transavanguardia e il Citazionismo e dalle successive realizzazioni polimateriche, per arrivare poi alla scultura, incentrata sulla ricerca materica e sul tema della memoria e del frammento. Attraverso un processo complesso che si serve delle sollecitazioni dell’acqua, del fuoco, della manipolazione diretta, l’artista plasma e modella la materia in vario modo attraverso la combustione utilizzando una sostanza simbolo della modernità e della tecnologia contemporanea: la plastica.

Fogli e ritagli di metacrilato, policarbonato, perspex, vengono manipolati con un procedimento tecnico complesso che riprende il processo tradizionale della scultura. “Oggetti” che, al pari dei reperti archeologici che li circondano, testimoniano con il loro aspetto corrotto, il passaggio degli eventi e rivelano delle sembianze che possono essere comprese solo ripercorrendo mentalmente a ritroso il processo di alterazione.

 

Mercati di Traiano Marcello Mondazzi Frammenti del Tempo copertina******************************

MARCELLO MONDAZZI

“Frammenti del Tempo”

Sino al 9 giugno 2013

Roma

Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali

via Quattro Novembre 94

Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00-21.00)

http://www.mercatiditraiano.it/

 

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 Mercati di Traiano Marcello Mondazzi Frammenti del Tempo 2Mercati di Traiano Marcello Mondazzi Frammenti del Tempo 02

L’eclettismo del decò

Da qualche decennio Maria Paola Maino e Irene de Guttry, oltre al compianto Mario Quesada, si sono prodigati nell’opera di ricerca e valorizzazione degli artisti gravitanti nell’orbita della scuola romana, in particolare per quanto attiene le arti decorative. Ne è una riprova convincente la mostra dedicata ad una delle personalità più interessanti della scena artistica romana degli anni Venti e Trenta: Alfredo Biagini, artista versatile, eclettico e originale. La sua duttilità gli permetteva di sperimentare tecniche espressive diverse: dalla scultura alla ceramica dalla lavorazione a sbalzo dei metalli alla decorazione dell’ornato architettonico.

Figlio di un orafo, Biagini nasce a Roma nel 1886. Dopo aver studiato scultura ed architettura dal 1905, si reca in seguito a Parigi per completare la sua formazione professionale.

Negli anni della guerra si stabilisce nel suo studio a Villa Strohl-Fern dove entra in contatto con numerosi artisti di gusto secessionista. Dopo la mostra del 1918, è presente alle maggiori rassegne in Italia e all’estero: Ginevra (1920-21), Berlino (1921), Dusseldorf (1922).

Si specializza agli esordi in un fortunata produzione di animalista e nel corso degli anni Venti verso un recupero della classicità romana e rinascimentale, alternando studi di figure femminili e mitologiche a quelli di animali.

Importante e documentato il sodalizio con l’architetto Marcello Piacentini. Nel 1915 in occasione dei lavori di decorazione del cinema teatro Corso in Piazza San Lorenzo il Lucina a Roma, terminati nel 1917 e che sollevarono non poche polemiche per l’impronta ritenuta eccessivamente modernista. Nel 1927, ancora con Piacentini, realizza l’apparato plastico del cinema- bar-ristorante Quirinetta in cui rivisita in chiave di esotismo déco, tematiche iconografiche legate alla cultura classica, impreziosite dalla varietà dei materiali impiegati: terracotta, bronzo, argento, stucco e mosaico.

Ancora una commissione pubblica lo vede protagonista accanto al pittore Guido Cadorin, nella decorazione dei locali di rappresentanza dell’Hotel Ambasciatori a Via Veneto.

Negli ultimi anni della vita si dedica all’arte religiosa eseguendo le statue di S. Girolamo e S. Giovanni oltre ad alcuni fregi plastici per la chiesa del Gesù a Roma. Partecipa, quindi con successo al concorso per la porta bronzea della basilica di S. Pietro; opera che l’artista non vede realizzata poiché muore a Roma nel luglio del 1952.

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Mostre Alfredo Biagini_sculture_e_ceramiche_deco_largeALFREDO BIAGINI

Sculture e ceramiche déco

(Roma 1886-1954)

Dall’8 maggio al 15 settembre 2013

 Roma

Villa Torlonia, Casino dei Principi

Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)

http://www.museivillatorlonia.it

 

 

 

Ritrarre l’anima

“Fotografava solo “il meglio”: aristocratiche con figli e cani aristocratici, poeti, scrittrici, dive intellettuali, generali, gerarchi, membri di case regnanti. Fotografava solo gente bellissima o che lei riusciva a rendere bellissima: le sue donne sembravano sempre regine inavvicinabili eppure dolcissime, i suoi uomini forti intelligenti, dominatori. È naturale che Ghitta Carell fosse soprattutto negli anni Trenta italiani, la fotografa di moda più ricercata”.

Il giudizio autorevole espresso da Natalia Aspesi sulla Carell (1899 – 1972) è attuale ancora oggi, e la mostra retrospettiva ospitata presso la Fondazione Pastificio Cerere, lo dimostra in pieno, indagando su fronti diversi. Da una parte si affronta il tema del ritratto come questione fondamentale nella storia della rappresentazione visiva e come punto nodale dell’arte moderna; dall’altra, viene valutata la produzione dell’artista all’interno degli sviluppi socio-antropologici dell’Italia nel periodo in cui ha operato.

La Carell apprende i segreti della tecnica fotografica a Budapest e prosegue la sua formazione fotografica a Vienna e Lipsia, per approdare nel 1924 a Firenze, dove frequenta l’ambiente mitteleuropeo che si ritrovava a Fiesole in casa dello scultore Mark Vedres e della di lui moglie Matild, storica dell’arte. In seguito si trasferisce a Milano, dove diventa una fotografa molto apprezzata, soprattutto dai personaggi dell’alta finanza. La sua fama raggiunge facilmente la media borghesia, che comincia a considerare le fotografie di Ghitta Carell come una prova di affermazione sociale. Si trasferisce nella Capitale, vicino a Piazza del Popolo, dove riesce a conquistare la gente che conta. Famose ed epocali le foto che ritraggono Edda e Galeazzo Ciano, Mussolini, Albero Savino, Pio XII o i rampolli della nobiltà romana.

Dopo il secondo conflitto mondiale torna l’antica fama e tutto il gotha democristiano (De Gasperi, Gronchi, Andreotti ecc.), posa sotto le lampade di questa fotografa come le attrici, scrittori e giornalisti di vaglia (Cesare Pavese, Valentina Cortese, Camilla Cederna). Si allontana dall’Italia sul finire degli anni Sessanta per trasferirsi in Israele, ad Haifa, dove muore nel 1972.

 

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Mostre Ghitta Carell e il potere del ritratto 3215_4GHITTA CARELL

e il potere del ritratto

Fondazione Pastificio Cerere

via degli Ausoni, 7

Dal 18 aprile al 17 maggio 2013

Tel. 06/45422960 – 335 5771737

http://www.pastificiocerere.it/

Orario:

dal lunedì al venerdì

dalle 15.00 alle 19.00

Mostre Ghitta Carell e il potere del ritratto 20132-633x337 Mostre Ghitta Carell e il potere del ritratto 15290Mostre Ghitta Carell e il potere del ritratto Lo scrittore Cesare Pavese, 1948, stampa gelatina sali d'argento, 18 x 24 cm, Copyright Archivio storico Fondazione 3M 3c