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Monsignor Pussino e i nordici a Ponte Milvio

Si deve sicuramente a Nicolas Poussin se Ponte Milvio e la campagna circostante acquistarono notorietà nell’Europa del ‘600, diventando luogo di soggiorno per artisti e curiosi, con benefici economici per gli abitanti della zona. Lo sconforto iniziale che prese l’artista francese per un ambiente ostile si trasformò radicalmente in ammirazione per ciò che lo circondava e per la semplicità e generosità di quella gente. Un affetto ricambiato dai pontemollesi che lo adottarono come Sor Pussino. La popolarità di quei luoghi crebbe anche in virtù delle passeggiate che Poussin abitualmente faceva in compagnia di artisti: le famose “promenade” che lo portavano da Ponte Milvio a via Tor di Quinto e da Saxa Rubra fino al Casale del Pussino (come veniva ribattezzato dai pontemollesi, oggi Castello della Crescenza), passeggiate durante le quali incontrava butteri e contadini, bufalari e pecorai che gli mostravano considerazione.

Contemporanei di Poussin nel frequentare Ponte Milvio, ma in modo sporadico, furono gli artisti raccolti sotto l’appellativo di Bambocciani. Una banda chiassosa di pittori fiamminghi, olandesi e italiani che prese dimora in via Margutta, conferendole quel ruolo di strada degli artisti che tuttora mantiene.

Joseph Mallord William Turner raffigurò  Ponte Milvio in una serie di tele e disegni dedicati alla Campagna romana, mentre dieci anni dopo celebre è il dipinto di Camille Corot (1828), attualmente custodito al Louvre, dove è raffigurato Ponte Milvio.

Con il passare degli anni “Ponte Mollo” divenne il luogo di incontro degli artisti che provenivano dal nord: una vera e propria istituzione che, nel primo ventennio dell’ottocento, si trasformò nel circolo conosciuto come Pontemolle Gesellschaft.

Artisti importanti come Thorvaldsen, Cornelius, Andersen, Reinhart e Millin diventarono una congrega di buontemponi, che riservavano ai nuovi arrivati un caloroso benvenuto con gaie cantate, che terminavano all’osteria con un bicchiere di vino.

Avevano una loro insegna sociale: una fojetta (bicchiere) vuota col motto Praeses Populusque Pontemollicus e un Bajocco, una grossa medaglia con nastro azzurro, una sorta di “decorazione” in segno della ammissione al caratteristico sodalizio. Un senso di appartenenza al quale tenevano molto: Thorvaldsen scelse addirittura di sfoggiare solo questa goliardica “onorificenza” dell’Ordine del Bajoccoda, nonostante ne avesse ricevute molte altre in Europa, durante le cerimonie di Corte quando tornò nella sua Copenhaghen.

Dal Seicento di Nicolas Poussin, che visse in una sorta di Arcadia destinata a committenti facoltosi, si passa al Settecento che utilizzò le osterie di Ponte Milvio come luogo espositivo e di promozione del lavoro dei novelli pittori e di illustri artisti.

Il gruppo del “XXV della Campagna Romana”, formato da artisti italiani, incarnò, sino ai primi anni del ‘900, la tradizione della “Società di Ponte Mollo”(Pontemolle Gesellschaft).

Ancor oggi Ponte Milvio è un luogo d’incontro culturale grazie alla disponibilità dell’Amministrazione Capitolina: nella Torretta, infatti, sono da tempo ospitate numerose iniziative artistiche, esposizioni di arte contemporanea aperte ad ogni ambito espressivo, mentre alcuni artisti preferiscono mostrare in modo informale le proprie opere nel vicino mercato.

Monsignor Pussino e i nordici a Ponte Milvio DSCN3114 a
Ponte Milvio
Roman Campagna: Tiber from Castel Giubelio 1819 by Joseph Mallord William Turner 1775-1851
Ponte Milvio Joseph Mallord William Turner, The Roman Campagna with the River Tiber and Ponte Molle in the Distance, 1819

 

Monsignor Pussino e i nordici a Ponte Milvio Corot the-promenade-du-poussin-roman-campagna
Corot the-promenade-du-poussin-roman-campagna

 

Di chi è questa città?

Sono salita nell’autobus, ho trovato un posto libero tra altri tre già occupati. Accanto a me è seduto un russo, poteva avere circa cinquant’anni, con lo sguardo severo e una brutta ancora tatuata sul collo. Guarda fuori dalla finestra; un giovane italiano è seduto di traverso e fa lo stesso, non si muove, ascolta la musica, sembra morto. Mi è di fronte un nero, anche giovane, è vestito con cura, ha l’espressione intelligente e amicale. All’ultimo minuto sale anche una coppia italiana, si ferma vicino alla porta, entrambi con piercing sul viso, con i vestiti troppo largi, pantaloni sciolti, le scarpe sporche. Lui maneggia una chiave e improvvisamente traccia dei graffi sulla porta di vetro. I graffi assomigliano a un codice graziato, illeggibile e brutto. Forse un segno per affermare il suo passaggio.

Dopo guarda la sua fidanzata e la bacia, pare che con la lingua vuole raggiungere il suo stomaco, o forse mangiare la ragazza intera. Io li guardo con disgusto, poi sposto lo sguardo al russo, sembra o finge di non aver notato niente. L’africano invece si gira intorno per vedere che cosa è successo, dopo i nostri occhi ci incontrano e ci guardiamo per un attimo. Non c’è nessuno che scuote la testa, come usavano fare le nostre nonne per esprimere la propria disapprovazione.

Ci guardiamo con tristezza e rammarico, con imbarazzo, senza dire una parola, eppure non siamo noi che ci dovremmo vergognare. Il ragazzo sta ancora succhiando la faccia della sua fidanzata, sembra stia celebrando un grande trionfo, come se avesse fatto un buon lavoro. Il russo sta sempre guardando fuori dal finestrino, l’africano invece si sta addormentando. Anch’io alla fine sono stancata di osservare la coppia. Per il resto del percorso ho continuato a domandarmi se devo dire qualcosa a lui, a quel giovanotto con la lunghissima lingua e orecchie sproporzionate, convinto di sembrare il Re Leone.

Scendo alla mia fermata e continuo a pensare che avrei dovuto dire qualcosa. Che uno di noi indiani, russi, negri, polacchi poteva dirgli che non doveva danneggiare la mia città.

Temperature cromatiche

Nel ritrovare il gruppo delle pittrici del “gonfalone arte” in esposizione al termine della fruttuosa attività annuale non posso che elogiare la loro ricca,profonda, appassionata ricerca artistica, fortemente differenziata per diversità di temperamenti e alterna “temperatura” estetica, risultato di tendenze e tensioni distinte e singolari ma accomunate, oltre che dall’amicizia nella sperimentata comunità di lavoro, nell’esemplare volontà di approfondire senso e qualità dell’esprimersi che è, più che mera ricerca tecnica, desiderio di ritrovarsi e riconoscersi nella gioiosa utopia dell’ambito pittorico. Così che camminare con loro, ormai da molti anni, conforta anche me del valore fondamentale e della necessità del nostro realizzarci nella dimensione creativa.

Espongono: Marisa Ciciani, Elena Chester, Dinah d’Avino, Elisabetta Dunin, M. Grazia Giordano, Marzia Tedeschini, Anna Maria Monti.

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GONFALONE ARTE

Marisa Ciciani, Elena Chester, Dinah d’Avino, Elisabetta Dunin, M.Grazia Giordano, Marzia Tedeschini, Anna Maria Monti

Dal 17 al 22 giugno 2013

Roma

Moto della Mente

Monte Giordano 43

Orario:

dalle 15.00 alle 19.00

 

Libreria Feltrinelli

Da Feltrinelli all’Argentina mi trovo bene: i senegalesi alla vendita sono gentilissimi e alle informazioni c’è un imponente nero, solennemente vestito in jalaba colorata. “Nanga def” – gli faccio sbagliando accento, lui sorride. Cerco un libro di fiabe africane per i miei nipotini e ne trovo almeno cinque, non so quale scegliere. “Amul problem” mi fa, porgendomi un libro di racconti del Mali; lo compro. All’uscita, sull’ampio marciapiede non c’è scampo: ragazzi bianchi laureati cercano di rifilarmi Coelho, Garcia Marquez e il secondo romanzo di Melissa P. – Gentili ma sistematici…alla fine, invece di un libro ne compro tre. Come al solito.

Fontana dell’Acqua Acetosa

Tra lungotevere e via dei campi sportivi, di fronte alla ferrovia Roma-Viterbo, isolata dal frenetico traffico dei giorni feriali, si trova un’interessante esempio di fontana barocca: quella dell’Acqua Acetosa da cui il nome del luogo che si estende tra i Monti dei Parioli e il Tevere e che, appunto, viene chiamata “Acetosa”, per via del sapore acidulo che ricorda la pianta usata prevalentemente contro lo scorbuto. Una sorgente, quella dell’Acqua Acetosa, a cui i romani hanno da sempre attribuito delle qualità curative, bevendo volentieri la sua acqua magari per allungare il vino dei Castelli nelle osterie vicine alla fonte, perché la trovavano gustosa, leggera, fresca e frizzantina. La fonte è ormai caduta nell’oblio dell’incuria, dopo un lungo periodo d’inattività. Sono lontani i giorni degli appelli musicali degli acquacetosari, modulati sul ritmo di una lunga e strascicata nenia, che terminava con una corona più o meno tenuta, a seconda dei mezzi vocali del cantore: “Fresca… fresca… l’acquaaa acetoooooosa!”. L’odierna fontana, come rilevato dal medico romano Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), venne preceduta da quella voluta da Paolo V (1605-1621) e consisteva in una parete sobriamente ornata: il “rude aedificium”. Demolita la fonte di Paolo V, è Alessandro VII Chigi a volere una nuova sistemazione dell’area che, nel 1662, viene realizzata da Andrea Sacchi e da Marcantonio de Rossi, su disegno di Gian Lorenzo Bernini.

Tra le due fontane, come ricorda nei suoi scritti il Lancisi, si inserisce la sistemazione di Innocenzo X (1644-1655).

Il monumento rispecchia l’idea di un ninfeo con tre fontanelle dalle quali sgorga timidamente l’acqua; è costituito da un’esedra tripartita sormontata da un timpano concavo e realizzato in una piccola depressione alla quale si accede tramite una scalinata.

Una serie di iscrizioni conservano la memoria del luogo; a sinistra, attraverso l’elogio poetico che decanta le ben note virtù medicamentose dell’acqua, viene riportato il nome di Paolo V con la datazione del 1613, mentre nel fornice destro della mostra berniniana, dirimpetto alla iscrizione di Paolo V, si osservano le tracce dell’incavatura destinata ad accogliere il medaglione oggi scomparso. Un’altra lapide, inserita nel riquadro sopra la nicchia centrale, menziona il risanamento compiuto da Clemente XI nel 1712. Grazie al nuovo assetto fu possibile attingere l’acqua con ogni agio e comodità, un’operazione che era resa difficile dal fango che circondava la conca naturale e rendeva il luogo impraticabile.

Ora la fontana, dopo un periodo d’abbandono, vive una seconda giovinezza con la sistemazione dell’area in Parco della Fontana dell’Acqua Acetosa. Restaurata e con una dovuta bonifica idraulica, a causa dell’inquinamento riscontrato negli anni ’50, ma non versa più Acqua Acetosa, bensì normale acqua potabile.

Roma Fontana  Acqua Acetosa Anonimo Bambocciante Romano, Veduta inedita della fonte dell'Acqua Acetosa prima che Andrea Sacchi vi costruisse il ninfeo, prima metà del XVAII secolo webRoma Fontana  Acqua Acetosa Incisione del Falda del 1667, Fontana dell'Acqua Acetosa webRoma Fontana Acqua Acetosa oggi