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SALVIAMO L’AZZURRO SCIPIONI

 “ Il cinema, il mio cinema che tanto amo, fatto di immagini e di mistero è ormai in esilio da più di mezzo secolo, oltre i confini dell’industria e della mediocrità. Lo andremo a riprendere prima o poi con tutti gli onori e allora gli schermi torneranno vivi” (Silvano Agosti)

L’Azzurro Scipioni chiude, come chiuderanno tante altre sale cinematografiche, visto che i decreti del Governo considerano cinema, teatri e musei pericolosi luoghi di contagio. Chi li frequentava sa benissimo che cineclub,  teatri sperimentali, filodrammatiche e musei fuori circuito turistico, tutto sono meno che luoghi di pestilenza, anzi garantiscono da soli un’adeguata distanza fra le persone; ma questo Governo sembra sordo alla cultura. Quello che è peggio, mentre il cinema commerciale può estendersi sulle piattaforme digitali, il teatro dal vivo e il cinema indipendente non usciranno vivi da questo periodo, né si riprenderanno più: già erano cambiate alcune abitudini sociali (se il film non ha effetti speciali, basta vedere l’età media degli spettatori davanti al cinema) e lo stesso Azzurro Scipioni ormai programmava i film quattro giorni su sette. Anche se gestito in famiglia, un esercizio commerciale ha bisogno di clienti e il cinema non è solo arte: già uno dei film dei fratelli Lumière mostra gli operai che escono felici… dal loro stabilimento di produzione.

Ora, parlare del Cinema Azzurro Scipioni e del suo fondatore, animatore e padrone Silvano Agosti per me è come raccontare una parte della mia vita. Non mi dilungherò quindi a descrivere la sua produzione letteraria e cinematografica, con frequenti trasferimenti dalla carta alla pellicola: potete trovarla completa in rete; meglio parlare della mia lunga frequentazione di quella che prima erano i Quiriti,  una vecchia sala parrocchiale trovatasi un bel giorno prossima a una fermata della metro e di fronte alla casa di un geniale artigiano del cinema dall’insolito accento, d’estate curiosamente circondato da pigre mosche svolazzanti e capace di farti inaspettate domande personali. Per chi non fosse mai entrato in quel piccolo paradiso del cinema che è l’Azzurro Scipioni, da fuori sembra una bottega artigiana e di fatto lo è: alla cassa è facile trovare lui, il regista / scrittore/ editore / produttore / sceneggiatore / esercente. Dopo aver letto Marx, Silvano aveva capito l’importanza di controllare per intero tutto il ciclo produttivo di un film e si era ingegnato di conseguenza. Né si perdeva mai l’occasione di proporti un suo libro (quanti ne ha scritti?) o di programmare uno dei suoi tanti film, che alla fine non ti perdevi mai e amavi rivedere. Comodissime le sue poltrone (che ora mette in vendita a 5 euro l’una), recuperate a Fiumicino da un aereo Alitalia in disarmo, quasi un anticipo della saga della nostra compagnia di bandiera. Suggestivi i vecchi proiettori esposti nel vestibolo, che amavo per essere stato io stesso un proiezionista. Non ho mai seguito i suoi corsi di cinema (economici al massimo) ma devo riconoscere che i suoi allievi non sono mai stati affetti da precoce commercializzazione. Questo vuol dire che Silvano ha sempre avuto un’etica, al punto di aver sempre restituito fino all’ultima lira i soldi dell’articolo 28, quel dettato di legge che attraverso il credito cinematografico finanziava il cinema d’autore, ma che fin troppo spesso è stato concesso a chi non manteneva le promesse o era meglio si dedicasse ad altre forme d’arte. Silvano era il primo a dire che i contributi statali non migliorano la qualità dell’arte, e che i film si possono fare con pochi soldi, cosa vera soprattutto da quando la pellicola è stata sostituita dal video e dal digitale.

Sul cinema di Silvano si può scrivere molto, visto che copre già oltre cinquant’anni di lavoro, iniziato con i cinegiornali del ’68 e continuato sia con film di impegno civile (Il giardino delle delizie, D’amore si vive, L’addio a Giovanni Berlinguer, Matti da slegare, etc.) che puramente personali e poetici (L’uomo proiettile, Uova di Garofano, La ragion pura, Quartiere). Si va dal documentario (quasi una ventina) al cortometraggio e al lungometraggio a soggetto, uno dei quali – Uova di garofano – fu presentato nel 1992 alla Mostra del cinema di Venezia; naturalmente l’ultimo giorno, quando i critici sono ormai sfiancati e i giornalisti ripartiti: ricordo ancora il successivo incontro con attori/parenti, di cui poco capivo la parlata bresciana. Ora va di moda l’aggettivo “inclusivo”, ma il cinema di Silvano lo è sempre stato, accogliendo umanamente degenti psichiatrici, trans, disabili, barboni e quant’altro. Dico accogliendo e non “descrivendo”, visto che Silvano ha dato a tutti la dignità di personaggio e il diritto di esprimersi e godere dei diritti civili. “Proclamare l’essere umano patrimonio dell’Umanità” è una frase sua.

 Anche se poi non ho mai fatto l’alba con le sue maratone cinematografiche di Capodanno, devo sempre a Silvano la possibilità di aver potuto partecipare a eventi unici, come un incontro con Helmut Berger. Ma ho anche presentato a Silvano un regista armeno di cui neanche ricordo il nome, il quale sotto braccio aveva le pizze di un suo film girato nel Nagorno-Karabach, zona che per me era familiare quanto la Jakuzia di Risiko o la Kirghisia… di Silvano Agosti. Quel regista sarebbe poi espatriato dai parenti in Francia, ma per fortuna Silvano parlava russo correntemente, forse da giovane aveva studiato cinema al Goskino. In quel caso era stato un ottimo studente di un’ottima scuola, attualmente frequentata dalla figlia di un mio amico finlandese.

Un’amica mi dice ora che suo nipote era rimasto affascinato dal film Hugo Cabret proiettato all’Azzurro Scipioni. Glielo aveva fatto vedere per fargli capire chi era George Meliès e alla fine il nipote ci ha addirittura scritto la tesi di laurea. Ma sulla magia del cinema ricordo proprio la figura dell’ebreo con la lampada magica o il proiettore che inizia un bambino alla magia del cinema in Uova di Garofano, più tutte le volte che ho visto Nel corso del tempo di Wim Wenders. Sempre di Wenders è lì che ho visto Pina Bausch e Il Sale della terra. Ma è senza conto l’elenco dei film visti e rivisti nelle due sale Chaplin e Lumière. Chi veniva per la prima volta aveva diritto al rimborso del biglietto qualora il film non gli fosse piaciuto, ma penso che pochi abbiano mai richiesto indietro i soldi.

Proprio l’esempio della mia amica che ha portato il nipote all’Azzurro Scipioni la dice lunga sul rapporto tra i giovani e la sala cinematografica. Se vedi i film ti viene voglia di farli, di capire come si scrivono e si producono. Personalmente non amo vedere i film in tv e su DVD, a meno che me li sia persi o debba studiarci sopra. Ma quanti ragazzi sono mai entrati in una sala cinematografica che non proietti film di avventura pieni di effetti speciali (che non disdegno, sia chiaro: l’importante è non trasformare in discorso un film per ragazzi). Il cinema vive, ma non c’è stato ricambio in sala, è mancata la trasmissione fra generazioni, complice anche il costo dei biglietti e l’offerta stratosferica sulle varie piattaforme digitali. Una volta attenuata l’attuale pandemia, mi piace pensare che l’Azzurro Scipioni possa sopravvivere anche senza l’aiuto del Comune di Roma. Intanto è tutto da vedere, vista la fragile posizione attuale dell’Assessore alla crescita culturale, come si fa chiamare Luca Bergamo. E poi il cinema esiste finche ci sono i film e gli spettatori.