È orribile l’atroce morte inflitta a donne e bambini attraverso l’uso di gas nervino o sarin che possa essere, ma non si può ritenere meno orrendo rimanere vittima di missili lanciati su scuole e ospedali. Certo i missili sono un’arma convenzionale, i gas sono un’arma di distruzione di massa, ma utilizzare indiscriminatamente le armi è comunque un crimine contro l’umanità. Un concetto ribadito lapalissianamente anche da Ian Buruma, nell’articolo La moralità delle bombe su La Repubblica del 3 settembre, e ribadita da Adriano Sofri il giorno successivo sullo stesso quotidiano, perché una barbarie è una barbarie, quali siano i mezzi con la quale viene perpetrata, essa rimane un crimine verso le popolazioni civili coinvolte, loro malgrado, in uno scontro d’interessi e di ideologie.
Morire per una pallottola alla nuca o in pieno petto non può essere diverso dall’essere uccisi dal rilascio di armi biologiche o per un colpo di machete.
Il cinismo di questa guerra è ben esplicato dalle ipotesi sugli autori di tanta atrocità nel liberare il gas in una zona abitata da oppositori o sostenitori di Bashar al-Assad, per un machiavellico ragionamento che si spinge a teorizzare un eccidio per mano di amici per far ricadere la colpa sui nemici.
I dubbi dilaniano Obama e il suo Nobel per la Pace, ma anche la sfida che l’Occidente ha intrapreso per ostacolare la conquista dell’anima dei siriani da parte dei jadeisti è motivo di cautela per “punire” la deplorevole azione di Bashar al-Assad senza spodestarlo dal potere.
Solo gli oppositori di Bashar al-Assad vogliono la sua testa, mentre tutti i paesi cosiddetti amici della Siria, che siano favorevoli o no al regime instaurato dal clan alawita, sono interessati che rimanga alla guida per un cambiamento morbidamente guidato, per evitare il caos terroristico iracheno e libico.
Il G20 di San Pietroburgo non ha portato alcun contributo nel trovare una via di dialogo tra schieramenti, né tanto meno a fissare la data per la conferenza di pace denominata Ginevra 2, mentre la Siria ammette di possedere un arsenale chimico e promette di smaltirlo entro un anno, ma è come avverrà lo smaltimento che potrebbe preoccupare.
Intanto la Russia ha le sue proposte per il controllo delle armi chimiche e al-Assad, attendendo le sue ragionevoli condizioni per dialogare, invia all’Onu in un documento di 13 pagine in arabo il primo inventario sui propri arsenali.
Sono solo parole più che speranze coltivate nella 68° sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. Piccoli passi come l’ammissione da parte del leader iraniano Hassan Rohani aprendo al dialogo sul nucleare e differenziandosi dalle posizioni negazioniste del suo predecessore Ahmadinejad sulla Shoah, dichiarando che: «È stato un grande crimine compiuto dai nazisti sugli ebrei».
Questi sono dei piccoli gesti, ma i risultati potranno venire solo con la collaborazione dei responsabili della politica estera statunitense Kerry e russo Lavrov, appoggiati dalla leadership cinese, nel guidare i cambiamenti in Siria ed evitare che cada nelle mani dei jadeisti e qaedisti.
L’approvazione della Risoluzione sulla situazione siriana ha permesso all’Onu e alla diplomazia di tornare a svolgere un ruolo di protagonista, ma che disgiunge i principi dalle possibili azioni, senza imputare a nessuno l’uso delle armi chimiche. Per ora la Siria ha reso inutilizzabili gli impianti per la loro produzione, ora l’Opac (OPCW), l’Organizzazione dedita allo smantellamento delle armi chimiche alla quale è assegnato il Nobel per la Pace 2013, avrà il compito più impegnativo: quello della distruzione dell’armamentario chimico siriano.
Un passo, in attesa del nuovo appuntamento per Ginevra 2 fissato per il 23 e 24 novembre,, ma non basta indire una conferenza di pace, è necessaria l’adesione e la partecipazione deibelligeranti che ancora non si sono accettati come tali. Se lo schieramento governativo è unico e monolitico, non si può dire lo stesso dell’opposizione frammentata e divisa, spesso in disaccordo tra quella armata e quella politica. Anche il Consiglio nazionale siriano, forse la componente più rappresentativa dell’opposizione non riesce a decidere se partecipare o disertare la conferenza, mentre chi vuol partecipare non è ritenuto rappresentativo di una qualsiasi posizione.
La Turchia è sempre più preoccupata per la crescente influenza dei gruppi qadeisti e l’Arabia saudita, con la sua posizione che non coniuga le parole con le pretese, rifiuta il seggio biennale al consiglio di sicurezza dell’Onu per protestare sulle recenti decisioni per risolvere il conflitto siriano e per la situazione palestinese, quando anche se con lentezza si procede a definire un iter per la convivenza israeliano palestinese.
Intanto la situazione si aggrava non solo per la quotidiana distruzione di vite e edifici, ma anche per i primi casi di polio, in un conflitto che continua a sconquassare la Siria raccontata più dai video sgranati dei telefonini che dai fotoreporter.
Nonostante le incertezze e le mancate adesioni alla conferenza, sarebbe opportuno, dopo lo sfoggiare di tanti buoni intenti, dare corpo alle parole e non continuare nel gioco delle parti: mi si nota di più se ci vado o se non ci vado?
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