La guerra fra Russia e Ucraina dura da un anno e ha cambiato il nostro modo di vedere la realtà. Intanto, nessuno aveva previsto che a distanza di ottanta anni dalla seconda Guerra Mondiale e a trenta dalla fine della Guerra Fredda fosse possibile e conveniente una terza guerra in Europa. Cultura, commercio, conoscenza tra i popoli avrebbero dovuto sviluppare una nuova coscienza politica in un mondo globalizzato. La stessa interconnessione fra economie diverse – basti pensare al gas russo – avrebbe dovuto garantire stabilità, mentre l’interscambio culturale e il benessere sarebbero stati lo stimolo per maggiori riforme democratiche e servizi sociali. Ebbene, questi argomenti erano correnti anche nel 1914, come leggo ne La grande storia della prima Guerra Mondiale dello storico inglese Martin Gilbert (Mondadori, 1998). Se nella dinamica delle guerre in Europa entrano in gioco parametri diversi dalla quelli della razionalità, quali sono? Sicuramente la componente primordiale del potere assoluto e la pretesa di considerare i vicini una proprietà privata, ma anche la scarsa capacità di gestire le minoranze o di non saper condurre l’azione politica con mezzi adeguati. La guerra è un’espressione della politica, lo dice Karl von Clausewitz nel suo testo Della Guerra che è la bibbia delle scuole militari. Solo che lui scriveva al tempo di Napoleone, quando la guerra ancora costava meno di quello che potevi ricavarne. Oggi, a distanza di un anno dall’Operazione speciale di Putin il fronte sembra quello della prima Guerra Mondiale: invece del movimento si vedono solo trincee nelle quali mio nonno non si troverebbe troppo spaesato.
Ma un aspetto nuovo c’è, a parte la tecnologia dei droni o delle armi ipersoniche o la migliore copertura delle comunicazioni. Parlo della visione del conflitto attraverso non tanto i media, quanto l’elettronica di consumo. Le guerre recenti le abbiamo viste quasi in diretta attraverso reportage giornalistici o riprese fatte dagli eserciti stessi, ma finora non s’era vista la continua proiezione di micro sequenze che rimbalza ogni giorno su Facebook, Tik-tok e altri social. Anche il soldato semplice o il partigiano possono usare mezzi che ancora pochi anni fa erano costosi e ingombranti mentre ora sono tutti miniaturizzati, né sembra esista un forte controllo su immagini che se condivise possono però anche dare informazioni al nemico, ed è successo. Queste immagini c’è chi se le studia per capire le operazioni sul terreno – parlo dei militari – ma la maggior parte dell’utenza è composta da gente normale, in genere giovani o giovanissimi, per i quali la guerra è un’astrazione o un videogame, e non per niente alla maggior parte di questi brevi filmati viene unita una musica rock o da effetti speciali, aumentando il senso di straniamento in chi la segue. Ma c’è di più: se le riprese documentarie sono presentate come in un videogame, i veri videogame si possono scambiare per riprese reali, specie se uno vede tutto nello schermo di un Iphone. Alludo a un videogame chiamato Arma3. In realtà è la versione ridotta e commerciale di un sistema di simulazione militare prodotto per le scuole militari e venduto solo in quel mercato. Si possono scegliere mezzi, terreni e tattiche a volontà e il realismo è massimo e il sistema si compra per 30 euro; posso dire che, vista la sua destinazione originaria, il prodotto è realistico, non è il solito sparatutto. Se posso distinguere il filmato vero dal videogame è perché nella versione commerciale restano dei limiti inavvertibili da chi ne fa un uso ludico. Faccio un esempio: se mi apposto con un’arma controcarro aspettando la colonna dei mezzi nemici, una volta colpito il primo carro e forse il secondo io prendo e scappo, mentre nel videogame continuo a sparare sempre dalla stessa posizione, il che è assurdo. Ma giuro che è difficile distinguere la ricognizione delle trincee russe fatte da un drone da cento euro dalle sequenze di un videogame ad alta definizione come Arma3. La differenza è che i soldati non si rialzano più.