Il bisogno di case opposto al desiderio di cultura. Su questo discutono gli uffici del Ministero per le abitazioni e un gruppo di archeologi che ha lavorato in un sito risalente all’età del bronzo scoperto venti anni addietro. Accade nella Striscia di Gaza, 360 chilometri quadrati divisi in cinque aree: Rafah, Khan Yunis, Deir al-Balah, Gaza city, Nord di Gaza, dove si addensano 1.700.000 abitanti, cioè 4.570 abitanti per ogni quadrato di chilometro. Con un’autodeterminazione periodicamente soffocata da aggressioni armate di Israele che mietono vittime soprattutto fra i civili, tre devastanti nell’ultimo decennio: Piombo fuso, Pilastro di Difesa, Margine di protezione con circa 4000 morti. E il noto stato di perenne aiuto internazionale dovuto al controllo delle frontiere, operato sul confine egiziano e su quello israeliano dalle Forze Armate di Tel Aviv che spesso impediscono alle merci di entrare e uscire, contraendo o azzerando le poche attività produttive interne. Bloccare il lavoro e creare disoccupazione è una delle strategie usate da Israele per piegare i gazawi, aggravandone le condizioni esistenziali, mentali e fisiologiche. Dati dell’Onu segnalano come l’80% di quella popolazione vive in condizione di estrema necessità o di palese povertà.
Questo panorama conduce gli stessi amministratori a trattare quasi esclusivamente temi primari: sicurezza, nutrizione, abitazioni. Così Ibrahim Radwan, il ministro che s’occupa del problema della casa, questione in continua emergenza, viste le reiterate distruzioni del territorio operata dall’aviazione d’Israele, afferma: “Il nostro bisogno abitativo è enorme, per la sovra popolazione e le distruzioni attuate dai sionisti. Ovviamente teniamo in considerazione la storia, che è anche vita e cultura dei palestinesi, ma dobbiamo cercare un compromesso fra le due necessità”. Più che al compromesso il governo di Hamas pensa a offrire un tetto agli sfollati. E poiché talvolta le demolizioni di edifici ampiamente devastati non è resa possibile dalla mancanza di grandi pale meccaniche o di esplosivo per abbattere le armature di cemento, gli scheletri restano e si cercano nuovi spazi per le costruzioni, cui non sfuggono aree d’interesse archeologico. Chi ha lavorato agli scavi ha recuperato anfore e altri reperti, conservati in appositi magazzini per l’archiviazione prima di essere esposti. Comunque sottolinea che un luogo simile può offrire chissà quante altre sorprese, sacrificarlo per delle costruzioni è un sacrilegio. Un comitato di cittadini ha anche manifestato per preservare la zona da ruspe e sbancamenti, però la burocrazia e il realismo socio-politico incombono e per ora non si fermano.
Enrico Campofreda
Pubblicato 3 novembre 2017
Articolo originale
dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo
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