E’ sempre interessante vedere come gli altri vedono e presentano se stessi. Prendiamo la Turchia di Erdogan. A Istanbul dire Yeşilçam sokak è come qui dire Cinecittà e anche in Occidente c’è grande consumo di serie televisive turche (loro le chiamano dizi, cioè serie). Si tratta di prodotti commerciali con bei panorami sul Bosforo, ambienti di lusso e sofferte storie d’amore: Daydreamer – Le ali del sogno, Cherry Season – La stagione del cuore, Bittersweet – Ingredienti d’amore (1). Nulla a che vedere con quanto viene invece diffuso sul mercato turcomanno e musulmano, dove invece predomina la narrazione non solo di tensioni familiari e contrasti tra classi sociali differenti (ispirate al canone mediorientale tradizionale), ma sono frequenti anche i complotti diplomatici. E soprattutto viene esportata l’immagine dell’Impero Ottomano come supremo regolatore dei conflitti tribali e delle divisioni etniche, portatore di pace e benessere e di un’amministrazione rispettosa delle autonomie e delle culture locali. Il che è storicamente attendibile, ma questo tipo di sceneggiati ha preso piede solo da quando Erdogan ha smesso di cercare un’improbabile integrazione europea e si è orientato verso un nuovo imperialismo neo-ottomano, con forti conseguenze anche sul clima culturale del paese. I produttori locali smettono allora di inseguire modelli e format di Hollywood, ripartendo dalla messa in scena di epici sceneggiati basati sui grandi romanzi turchi del secolo precedente o su personaggi storici del periodo imperiale, seguendo una precisa ideologia. Da lì a passare all’esaltazione dell’Impero Ottomano il passo è breve.
Impero che ha salvato… gli Ungheresi. Non è uno scherzo: ho qui sottomano un articolo in inglese: Ottomans saved Hungarian PM Orban’s Ancestors; now he says Islam never part of Europe (2). Autore ne è Juan Cole, un accademico americano specializzato nello studio del Medio Oriente ma spesso accusato di imparzialità (3). La sua tesi è che l’Europa è una costruzione ideologica e che gli antenati degli Ungheresi sono venuti dopo gli Arabi in Spagna e che in fondo tutti hanno invaso l’Europa, anche i Cristiani (!), che Juan Cole considera respinti fino al tempo di Costantino. Morale: dunque l’espansione turca è legittima e l’Islam fa parte della civiltà europea, visto che gli unici indigeni sono i Baschi. Il che è falso: venivano dall’Africa via Gibilterra, quindi erano invasori pure loro. Sempre poi che esista il diritto di invasione e che i Lituani debbano ringraziare i Sovietici perché li hanno salvati dai Polacchi.
Che l’Europa sia una costruzione ideologica che trascende la sua realtà fisica e geografica è vero: non si parla di Europa prima del medioevo e su questo ho anche scritto in questa sede. Concordo con Juan Cole anche su un altro concetto: nella sua essenza l’Europa non è una realtà immutabile, ma dinamica: è il punto terminale delle migrazioni afroasiatiche e il processo è tuttora attuale. Chiamatele invasioni, ma la sostanza non cambia: provenendo dall’esterno, ogni nazione prima o poi si è imposta con la forza sovrapponendosi alle ondate precedenti e integrandosi con la popolazione locale. In questo modo tutte le ondate che hanno invaso l’Europa hanno poi contribuito a creare la massa critica che poi ha permesso l’espansione della civiltà europea in tutto il mondo, anche se ora certa storiografia americana ne parla come fosse un romanzo criminale. Il punto debole dell’analisi di Cole è non realizzare che tutte quelle ondate si sono poi espanse fuori Europa, tutte tranne una: quella islamica, storicamente espulsa sia dalla Spagna che dalla Sicilia e dai Balcani fino ai Carpazi, perlomeno nella misura in cui è stato militarmente possibile (l’ultimo, antistorico tentativo risale alla recente guerra civile jugoslava). L’islam è comunque rimasto nella fascia balcanica albanese, bosniaca, kossovara, macedone e forse anche montenegrina, sia a livello religioso e culturale che nel DNA e nei caratteri somatici delle varie popolazioni: è normale che persino i tentativi più radicali di espulsione sociale non penetrino mai in profondità. Un progetto politico e religioso deve sempre fare i conti con la realtà e ha successo dove un fattore esterno non è ancora penetrato in profondità ma resta superficiale. Il problema è che l’Islam è uno dei tanti apporti esterni alla cultura europea, ma non è mai riuscito a diventare Europa almeno per come l’abbiamo intesa fino a poco tempo fa. E non possiamo capire gli atteggiamenti dei governi slovacco e ungherese, polacco, greco e serbo facendo finta di non sapere che l’Europa orientale è stata soggetta per secoli alla dominazione ottomana, peraltro tollerante delle culture locali come qualsiasi grande impero (è una necessità funzionale) ma che non ha mai portato a un vero sviluppo moderno dell’area, mantenendo strutture sicuramente più adatte alle società mediorientali e ritardando l’ingresso di quelle nazioni nella rivoluzione industriale.
Note:
- https://www.iltascabile.com/societa/telenovelas-turche/
- https://www.juancole.com/2015/10/hungarian-ancestors-protected.html
- https://en.wikipedia.org/wiki/Juan_Cole (la versione in italiano è scarna)
Europa: identità per esclusione
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