Affascinati dal dramma e dal pathos pensiamo alta e sublime questa condizione, disprezzando l’immobilità come condizione mediocre e vile. Ma noi viviamo le passioni, necessarie e fatali, come il malato vive il delirio della febbre: guarirne è il traguardo, non permanervi. La stasi è il simbolo di perfezione, è il segno dell’avvenuta osmosi tra noi e il Cosmo, è la fine del tragico conflitto individuo-mondo. Sì. è anche la fine dell’individualità in un darsi totale, nel trasmutarsi in materia ed essere indifferenziati. Buddha vede in ciò la perfezione finale: non più affrontare tragicamente il mondo ma ESSERE il mondo!…Ciò non significa indifferenza e vuoto, ma anzi pienezza totale, profondità assoluta, perché il mondo ci si svela interamente, e noi percepiamo l’Essere aldilà dell’angoscia e dei limiti impostici da pathos, fatale retaggio, soma dolorosa.
Il saggio, il santo, l’illuminato è sempre più avaro di gesti e di parole, egli cerca l’immobilità, simbolo di questo permanere nell’Assoluto; e non è immagine dell’Empireo dantesco, il più alto e immobile dei cieli divini? Immagine dello stesso “perno” divino che è immoto, ma da cui si sprigiona il movimento della Ruota celeste?
Nostro destino è vivere e rivivere i cicli e i ritorni dolorosi della nostra ruota che gira incessantemente (arcano X° simbolo della vita umana), pur desiderando disperatamente, eterna nostalgia, la patria perduta aldilà delle stagioni, del tempo e della morte. La patria che ci ebbe e forse un giorno ci riavrà, dopo un lunghissimo pellegrinare.
” A quando, finalmente, un appuntamento meno fallace con te?” dice malinconicamente alla stella il principe di Salina, il Gattopardo. Siamo stanchi del mondo, dell’eterno divenire, dell’eterno mutare che ritorna su sé stesso: ” Tutto ciò che è stato sarà di nuovo, e ciò che sarà è già stato”, recita l’Ecclesiaste.
per la cronaca risale all’89 dal mio “Zibaldone/zabaglione”