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Il bando messo al bando

Le più importanti università italiane (Roma, Torino, la Normale di Pisa, la Statale di Milano) stanno boicottando l’accordo di cooperazione fra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e  il Ministero dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia (MOST) per la parte israeliana. Lo fanno per solidarietà con Gaza e l’atteggiamento del singolo rettore e senato accademico è ambiguo: nella mozione della Normale di Pisa si afferma “la necessità di ispirare le attività di ricerca e di insegnamento al rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, che prescrive il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Per questo si impegna “a esercitare la massima cautela” nel valutare accordi istituzionali collaborazioni scientifiche “che possano attenere allo sviluppo di tecnologie utilizzabili per scopi militari e alla messa in atto di forme di oppressione, discriminazione o aggressione a danno della popolazione civile, come avviene in questo momento nella striscia di Gaza”. Ma a questo punto vediamo cosa prevede il bando che ha spaccato l’università italiana. E’ pubblicato nel sito ufficiale del MAECI (1) e così recita:

Si richiedeva la presentazione di progetti congiunti di ricerca italo-israeliani, nelle seguenti aree di ricerca, entro mercoledì 10 aprile 2024 (ore 16.00, ora italiana):

1. Technologies for healthy soils (i.e. – novel fertilizers, soil implants, soil microbiome etc.)

2. Water technologies, including: drinking water treatment, industrial and sewage water treatment and water desalination

3. Precision optics, electronics and quantum technologies, for frontier applications, such as next generation gravitational wave detectors

Il testo ufficiale è stranamente stilato in inglese, mentre tutto il resto del documento (15 pagine) è in italiano e contiene una lunga serie di disposizioni amministrative: in tutto verranno selezionati 11 progetti congiunti con il finanziamento massimo totale di 1,1 milioni di euro. Per ogni singolo progetto il MAECI finanzia un massimo di 200 mila euro e comunque  non oltre il 50% dei costi indicati nel preventivo. I progetti di ricerca avranno la durata massima di due anni con il Ministero che cofinanzia i costi di personale, viaggi, materiali e attrezzature, spese per pubblicazioni, consulenze e spese generali.

Cercando ora di capire il testo in inglese, al punto 1 si parla di tecnologie agricole (nuovi fertilizzanti, impianti nel suolo, microbioma, pannelli solari), mentre il punto 2 si concentra sulle tecnologie dell’acqua (potabilizzazione, trattamento delle acque reflue e/o provenienti da impianti industriali, desalinizzazione). Il punto 3 invece parla di ottica di precisione, tecnologie quantistiche per applicazioni sperimentali in fase di sviluppo e non ancora disponibili per usi commerciali, come p.es. rilevatori di onde gravitazionali di prossima generazione. Una doverosa traduzione ufficiale (il MAECI è un ente di Stato italiano) o almeno un testo bilingue gioverebbe senza ambiguità  alla comprensione del contenuto, ma il punto è un altro: nel testo non si fa cenno a ricerche nel campo militare. E infatti nella mozione studentesca – fortemente ideologica, neanche a dirlo – si allude a collaborazioni scientifiche “che possano attenere allo sviluppo di tecnologie utilizzabili per scopi militari”. Quali? Non tanto quelle incentrate sui fertilizzanti (punto 1) ma casomai quelle che riguardano le ottiche di precisione e l’elettronica (punto 3), mentre non è chiaro se le tecnologie quantistiche sperimentali per lo sviluppo dei futuri rilevatori di onde gravitazionali possono avere un reale collegamento con l’industria militare, Invece nel bando non si parla stranamente di aerospaziale, che è invece il classico campo di uso duale della tecnologia di frontiera. Ma a loro replica Noemi Di Segni, presidente delle comunità ebraiche in Italia (UCEI) che ha definito il boicottaggio delle università israeliane “la cosa più assurda che abbiamo sentito pretendere (e che) non favorisce dialogo, pace, sapere e approfondimento, che sia verso le università israeliane, i singoli docenti, o anche soggetti di religione ebraica“.

Ma se nel bando non c’è traccia diretta di quanto temuto è perché la ricerca e lo sviluppo della tecnologia militare tra Italia e Israele non passano per l’università, ma sono legate piuttosto ai grossi gruppi industriali della difesa e aerospaziali, come Leonardo e le imprese a loro collegate. L’Italia per la difesa può solo far parte di alleanze, e queste scelte sono state fatte dal dopoguerra. E’ normale che tra alleati ci si scambino informazioni, tecnologie, ricercatori, mezzi materiali. L’esportazione di tecnologia militare non è coperta dal segreto di Stato, tutto è pubblicato ufficialmente dal Parlamento. Per il 2021 p.es. basta leggere il documento reperibile in rete e intitolato:

SENATO DELLA REPUBBLICA / XVIII LEGISLATURA / Doc. LXVII  n. 5

RELAZIONE SULLE OPERAZIONI AUTORIZZATE E SVOLTE PER IL

CONTROLLO DELL’ESPORTAZIONE, IMPORTAZIONE E TRANSITO DEI MATERIALI DI ARMAMENTO (Anno 2021) / (Articolo 5 della legge 9 luglio 1990, n. 185) / Presentata dal Presidente del Consiglio dei ministri (DRAGHI)

Comunicata alla Presidenza il 5 aprile 2022

Sono 1628 pagine e invitiamo chi avesse dubbi in materia a studiarselo. Negli ultimi dieci anni le aziende italiane hanno venduto a Israele tecnologia militare e armamenti per 120 milioni di euro, ma gli acquisti arrivano quasi a 250 milioni, pur con alti e bassi (2). Nel 2022 Israele ha ricevuto armi da aziende italiane per quasi 9,3 milioni di euro. Israele è comunque solo una parte dell’insieme: nel 2022 le aziende italiane hanno esportato armi nel mondo per un valore complessivo di circa 5,3 miliardi di euro. In questa somma sono compresi i costi delle intermediazioni fra i vari Paesi, le licenze e le autorizzazioni alla vendita. Nel complesso il valore delle autorizzazioni alla vendita di armi ammonta a circa 3,8 miliardi di euro. Il primo Paese a cui nel 2022 l’Italia ha venduto armi è stato la Turchia (598,2 milioni di euro), seguita dagli Stati Uniti (532,8 milioni) e dalla Germania (407,2 milioni). Ma a complicare i dati c’è la realtà di una serie di ricerche e prodotti “dual use”. La tecnologia avanzata ha ricadute sia nel campo militare che in quello civile: basta pensare all’elettronica, all’informatica, alle telecomunicazioni, all’aerospaziale, allo sviluppo dei semiconduttori, al punto che è difficile fare discriminazioni se non per quanto riguarda le armi vere e proprie. Pertanto la voce “tecnologia militare” non va intesa in senso assoluto. In questo senso, anche se ragionando in senso inverso, interviene lo storico Franco Cardini: ogni accordo universitario può avere scopi bellici (Corriere Fiorentino del 9 aprile). D’altro canto le università italiane hanno rapporti di collaborazione con mezzo mondo, ma non tutti i paesi coordinati sono democratici e rispettosi dei diritti umani: gli accordi in vigore p.es. stipulati dall’Università di Bari “Aldo Moro” comprendono l’Iran, la Russia e la Turchia (3). Ostacolare la ricerca scientifica e/o la cultura è non solo antidemocratico, ma controproducente, e su questo la UCEI (Unione delle comunità ebraiche italiane) è stata ferma, parlando attraverso  la presidente Noemi Di Segni: “Sono contraria al boicottaggio accademico d’Israele. Le collaborazioni tra università, tra comunità di scienziati, tra studenti sono importanti. Sono un’occasione di incontro e dialogo per capire diversi approcci. Se si vuole costruire un futuro più pacifico, la strada non è il boicottaggio”. (4). Nel frattempo 8000 fra artisti e intellettuali hanno firmato un documento per vietare la presenza di artisti israeliani alla Biennale d’arte di Venezia (20 aprile- 24 novembre) (5). L’artista ebreo Ruth Patir, oltre ad avere uno spessore artistico di tutto livello, in realtà è contro la politica di Netanyau (6), ma evidentemente questo non basta. Nel frattempo il presidente Mattarella il 12 aprile è intervenuto direttamente nel contesto, dichiarando testualmente che “le università sono la culla della libertà di pensiero, da sempre esprimono il dissenso anche contro il potere e devono essere libere di continuare a farlo, ma chiudere la collaborazione con altri atenei è sbagliato perché, se si taglia il dialogo anche con università di Paesi impegnati in crisi o conflitti, si rischia di ottenere l’effetto opposto, cioè quello di aiutare il potere, quello peggiore”. 

Eppure anche in questo caso è utile non censurare niente, questo si è ribadito anche quando hanno cercato di boicottare i film russi alle mostre del cinema: sono proprio quelli i luoghi per conoscere gli altri e le loro idee, è l’incontro e scontro con opinioni diverse, il Foro dove confrontare le molteplici visioni del mondo, magari anche litigando. Ricerca scientifica e culturale alla fine promuovono l’interazione, lo scambio, la crescita sociale e politica. Proprio per questo non va ostacolata né censurata in nome dell’ideologia.

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Note

  1. https://www.esteri.it/it/diplomazia-culturale-e-diplomazia-scientifica/cooperscientificatecnologica/accordi_coop_indscietec/
  2. https://pagellapolitica.it/articoli/commercio-armi-italia-israele
  3. https://www.uniba.it/it/internazionale/network/accordi-di-cooperazione-internazionale
  4. https://www.osservatorioantisemitismo.it/articoli/universita-lo-sdegno-degli-ebrei-italiani-per-il-boicottaggio-di-israele/
  5. https://www.mosaico-cem.it/attualita-e-news/italia/alla-biennale-di-venezia-gli-artisti-contro-israele-chiedono-il-boicottaggio/
  6. https://www.pikasus.com/biennale_arte_2024/padiglione-israele-biennale/

Alla ricerca degli artisti perduti 7

Pistoletto

Pistoletto,a proposito della sua “Venere degli stracci”,dice:” Una cosa è certa, il mondo contemporaneo chiede più vestiti che Veneri!” –

Non è vero! Non abbiamo bisogno di altri indumenti da ammucchiare!…” La Bellezza salverà il mondo” diceva Dostojievsky, e non è una frase retorica. Significa che l’uomo ha bisogno della sua umanità, non dei reperti del consumismo che tutti usiamo ed abusiamo.

La BELLEZZA è il senso e la qualità del sentire umano, dell’opera d’arte che parli ancora del grande sogno dell’uomo, l’uomo che si innalza dal suo cumulo di stracci per cercare ancora il respiro di un ideale grande, COSTI QUEL CHE COSTI!

Perchè non di solo pane si vive, come disse Qualcuno che conosceva l’uomo e il suo destino, ma della grande opera della Natura che ai nostri occhi si manifesta sublime e terribile, Natura alla quale l’uomo si è sempre ispirato per cercare la ragione ultima del suo vivere: la LUCE, la capacità e la necessità di AMARE, la BELLEZZA!…E se la tragedia incombe, l’uomo ne dia testimonianza lucida, terribile e pur commovente nella sua BELLEZZA ( la tragedia greca, “Guernica”, Michelangelo, van Gogh..).

Se il DOLORE, che pure ci appartiene come inscindibile eredità,lo tradiamo con la sciatteria e la rinuncia della Bellezza, il dolore rimane arido e infruttuoso, perché è seme che non GERMOGLIA!

Eugène Henri Paul Gauguin (1848 – 1903)

Gauguin, un pittore di originale qualità per determinate stesure cromatiche pochissimo modulate, volutamente piatte, con effetto “arazzo”, famoso per la sua ricerca ostinata di un arcaico primitivismo inteso nell’essenzialità dei fondamentali valori umani che solo nella pretesa “innocenza” di una umanità primordiale trova il fascino per attrarre la ricerca dell’artista, logorato e deluso dalla ipocrita “routine” del cosiddetto mondo civilizzato..

Naturalmente era ed è una chimera illusoria, vissuta come fantasia di un liberatorio ritorno alle origini tribali..

Inganno in cui cadde non solo Gauguin, ma tutto un esercito di artisti, scrittori, filosofi, avventurieri, alla ricerca delle presunte pure fonti dell’esistere.

A Tahiti, ieri come ancora oggi, si dirige tutta una falange di creativi, diseredati, smarriti, in cerca della loro veridica identità..

almeno così si pensa e ancora si crede a proposito della leggenda del “buon selvaggio” ( che naturalmente non è affatto buono!) del buon, vecchio Rousseau!

Giovanni Boldini (1842 – 1931)

…E’ inutile: Boldini resta sempre il più “gettonato” dei pittori tardo-impressionista, inurbato francese, molto, molto mondano e “alla page”, cocco dell’aristocrazia parigina e trionfatore dei suoi salotti…Del resto il suo stile da virtuoso-funambolo del pennello, tanto virtuoso, ahimè, da spesso lasciarsi andare a corrive e fin troppo facili pennellate, contentava il bel mondo di allora e il bravo borghese assetato di ritratti “a modo”….E allo stesso modo, e per le stesse ragioni, continua a spadroneggiare il “cartellone” anche oggi….Quando, quando, dico io, ci si accorgerà che l’ottimo Boldini degli inizi macchiaioli fu traviato e travolto dal successo in terra francese tanto da vendersi al Mefistofele del piacevole e gratificante virtuosismo delle sue eleganti “figurine” da catalogo d’alta sartoria?

Vincent van Gogh (1853 – 1890)

…Vedi, nella pittura di van Gogh ( lui, il primo degli espressionisti) c’è una forza dirompente che deriva da una concezione delle cose, oso dire, quasi esistenzialista ante litteram, in cui è la gioia di appartenere e vivere quasi carnalmente nella luce della vita, e nello stesso tempo sentire di non appartenere ad essa se non nel tragico, eterno conflitto eros-thanatos che è la pena e la gioia di questo mondo comunque meraviglioso, come nel nascere e morire si mischia l’agonia e la vittoria di esistere…

Rose Maynard Barton (1656- 1929)

Di quest’artista anglo-irlandese si può dire : ecco, questo è impressionismo, ma con quel tanto di “fumé”, di contegnoso, di costumato e garbato che fa molto ” english “.

La pittura di una lady con le giuste e signorili maniere dei buoni salotti….Nulla più della dannazione dell’assenzio, delle rosse prostitute, degli “apache” e dei bistrot malfamati degli impressionisti francesi…

Tarsila do Amaral (1886-1973)

Disegnatrice,pittrice e traduttrice brasiliana. E’ considerata una delle esponenti più significative dell’arte moderna in America latina.

Artista la cui produzione si distingue nell’ambito sudamericano, basata sulla esuberante policromia, tipica di quelle temperature equatoriali, e sulla fantasia figurativa che riecheggia le astruse simbologie precolombiane, civiltà trascorse ma che hanno lasciato impronte indelebili in quelle culture e in quelli artisti a cui inevitabilmente richiama il loro DNA.

Colori accesi, figurazioni grottesche fortemente pronunciate, un certo primitivismo che del resto in quell’inizio del ‘900 trionfa in Europa affascinata dalla sintesi del tribalismo africano.

Pensiamo alla Kahlo, a Diego Rivera: le cromie elementari e le figurazioni piuttosto ingenue sono anche quelle di Tarsila, con la differenza che nella Kahlo emerge una sessualità crudele nella sua visceralità e Rivera è costante nelle sue narrazioni popolar/socialiste.

In Tarsila prevale invece la narrazione indio ricca di elementare musicalità, ma sopratutto quel “ritorno” sciamanico alla magia di una natura primordiale che paradossalmente rimanda all’ingenuità magica del “doganiere” Rousseau.

Africa: un Piano Mattei decolonizzante

Il Piano Mattei, conosciuto anche come Piano Africa, è un programma di cooperazione internazionale ideato dal Governo italiano e presentato dalla presidente del Governo Italiano nel 2023. Il piano si ispira all’operato di Enrico Mattei, storico presidente dell’ENI, che tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, si propone di promuovere lo sviluppo sostenibile e la sicurezza in Africa attraverso una serie di interventi in diversi settori, nell’ambito di dare e di avere.

L’Africa è un continente grande quanto la Cina, gli Stati Uniti, India e mezza Europa messi insieme e il Piano Mattei è l’ennesimo tentativo di alcuni politici di bloccare i flussi migratori, dopo aver cercato di “arruolare” alcuni governi come guardiani dei confini altrui.

I primi passi del Piano Mattei vennero fatti nel 2022 da Mario Draghi in Algeria con il dare ed avere idrocarburi in cambio della formazione.

Questa è una scatola che deve essere riempita, magari prendendo ispirazione da ciò che da tanti anni viene portato avanti da organizzazioni di volontariato laiche e religiose senza però chiedere niente in cambio e da imprenditori privati impegnati in un’economia solidale.

Tanti piccoli Piani Mattei negli ambiti dell’istruzione (prima gli studenti africani andavano a Mosca a studiare ora vanno a Pechino), della salute (possiamo fornire assistenza sanitaria grazie all’istituto farmaceutico militare per i vaccini antipoliomielite) e delle campagne per fermare il tracoma e impedire la cecità infantile e il morbillo, della formazione (i missionari salesiani in questo sono bravi), che nascono dalle esigenze del basso e non da ciò che si vuol vendere, ascoltando e valorizzando le esigenze e le aspirazioni dei popoli africani, evitando di imporre modelli di sviluppo preconfezionati, ma garantendo antibiotici e l’accesso all’acqua pulita.

Dopo che le nazioni coloniali hanno ridisegnato i confini degli stati africani,  tracciandoli con la riga e la squadra senza tener conto della morfologia del terreno e delle etnie, come hanno fatto in Medioriente, ora il Piano Mattei vuol anche arginare l’espansione predatoria di nuovi attori internazionali, come Cina, Russia e Turchia, che perseguendo i propri interessi in Africa si muovono con approcci differenti.

La più subdola è sicuramente la Cina con la sua trappola del debito, offrendo “cooperazione” nel realizzare infrastrutture, per poi impossessarsi delle loro ricchezze se i Governi indebitati non riescono a ripagare i prestiti, e i Russi che offrendo milizie per combattere i nemici dello Stato saccheggiano, mentre i Turchi sono più propensi ad un proselitismo religioso per infiltrarsi nel Potere.

Le intenzioni del piano italiano non puntano alla trappola del debito e alla dipendenza economica, ma favoriscono invece la cooperazione e il partenariato tra pari, intervenendo anche sull’istruzione e sulla formazione, sulla salute, sull’agricoltura, sull’acqua e sull’energia, tutti ambiti nei quali le organizzazioni missionarie e di volontariato hanno una lunga e proficua esperienza in progetti locali. Ora quell’esperienza può essere messa a frutto per una visione territoriale più ampia, superando il locale, coinvolgendo attivamente le ONG, le associazioni di volontariato e le comunità africane nella progettazione e attuazione dei progetti per garantirne l’impatto positivo e la sostenibilità.

Tutto ciò richiede un impegno finanziario significativo da parte del Governo italiano e dei potenziali partner internazionali per evitare che gli aiuti vengano deviati o utilizzati per altri scopi, per non alimentare la corruzione, assicurando una reale ricaduta positiva sulla popolazione.

Per ora la dotazione finanziaria è di 5,5 miliardi di Euro (3 miliardi dal Fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi dalla Cooperazione), per gli 8 «progetti pilota» che prevedono, entro il 30 giugno, il loro avvio in Egitto, Kenia, Mozambico, Marocco, Tunisia, Costa d’Avorio, Congo ed Etiopia, con la presentazione al Parlamento di una relazione sullo stato di attuazione del Piano, per guardare l’Italia come un «hub» energetico fra Africa e Ue.

Un passo fondamentale per il clima e per la migrazione è dare un nuovo impulso alla “Muraglia” di alberi per frenare il deserto nel Sahel, dal Senegal al Gibuti, per garantire zone per la coltivazione autoctona e arginare l’imposizione delle multinazionali e dei “gusti” degli stati stranieri nell’acquisire terre per le loro colture.

Gli ostacoli sono diversi, come il coinvolgimento dell’Europa, che per ora sta timidamente guardando all’ambizioso Piano Mattei, come il rapporto con gli Stati africani nel non disperdere i fondi impegnati, come rafforzare le rappresentanze diplomatiche, a Gibuti c’è una base militare italiana ma non un ambasciatore, come non lasciare incompiuti i progetti, addestriamo le forze di polizia somale e poi non forniamo le attrezzature, dobbiamo garantire l’efficacia degli interventi ed evitare la dispersione dei fondi.

Garantire la trasparenza nell’utilizzo dei fondi e l’efficacia degli interventi implementando i meccanismi di monitoraggio e valutazione, è arduo essere rigorosi nel rendere conto delle spese in paesi a conduzione familiare, dove la libertà di stampa è un optional, dove i servizi di intelligence sono al servizio del governo di turno e non per la sicurezza del cittadino e dove l’uso dello smarphone è più importante della salute.

Non sarà saccheggio, ma solo un bieco interesse per bloccare i flussi migratori cercando di migliorare la loro economia, non tanto per il cibo ma fornire smartphone, e certamente senza alcun un interesse nella salvaguardia dei diritti, anzi più i governi con i quali l’Italia tratta sono autoritari più il controllo dovrebbe essere maggiore e le contraddizioni nell’Occidente democratico detonano.

Il Piano Mattei può rappresentare un’opportunità importante per rafforzare le relazioni tra Italia e Africa, cercando di farla uscire dalla trappola del debito e contribuire allo sviluppo sostenibile del continente. Il successo del piano dipenderà dalla capacità di tradurre in azioni concrete i suoi principi ispiratori, superando le sfide e coinvolgendo attivamente tutti gli attori in gioco. Il Piano Mattei, se attuato con lungimiranza, può rappresentare un modello di cooperazione internazionale virtuoso e replicabile, in grado di apportare un cambiamento positivo e duraturo in Africa: la cassaforte delle materie prime.

Adottare un approccio complessivo che affronti le sfide africane in modo interconnesso, promuovendo lo sviluppo umano, la governance democratica e la tutela dell’ambiente, investire in progetti a lungo termine che creino capacità locali e favoriscano uno sviluppo sostenibile nel tempo.

Con la collaborazione della IA di Google Gemini

La pigrizia linguistica in Translate

Da quando i traduttori automatici sono migliorati – fino a qualche anno fa non erano tanto convincenti – mi chiedo quale futuro si prospetta per le scuole di lingue e più in generale l’apprendimento delle lingue straniere. I sistemi più recenti di traduzione automatica anche in voce sono stati resi possibili dai rapidi miglioramenti nel campo dell’intelligenza artificiale e in particolare dei processi di machine learning, cioè le attività di apprendimento dei computer tramite i dati. Sono di conseguenza sistemi che funzionano molto bene con le cosiddette lingue ad alta disponibilità di risorse, come l’inglese ma anche l’italiano, di cui esistono grandi quantità di dati.Perché è chiaro che, almeno in certi ambiti, l’uso di Google Translate, Reverso, DeepL Translate più l’intelligenza artificiale hanno ridotto drasticamente il mercato dei professionisti. Un ufficio commerciale che debba mandare una richiesta al suo corrispondente indonesiano può anche compilarla in quella lingua anziché in inglese. Mi sono anzi meravigliato non tanto del numero di lingue parlate nel mondo, ma di quante sono registrate nei traduttori automatici, segno che c’è una richiesta e anche un numero di parlanti che possa giustificare l’investimento. Siamo quasi arrivati al traduttore universale utilizzato in varie serie di Star Trek (una serie che i meno giovani si ricordano), in particolare dalla ufficiale addetta alle comunicazioni, la guardiamarina Hoshi Sato in Star Trek: Enterprise. Si tratta di un dispositivo che fa esattamente ciò che il nome lascia intuire, ossia traduce qualsiasi lingua permettendo di far comunicare gli alieni con gli esseri umani dell’equipaggio dell’Enterprise. Ogni tanto la fantascienza ci azzecca, ed è interessante notare i criteri seguiti dagli ideatori di Star Trek:

Accadde nel 2267 che il capitano Kirk della USS Enterprise ne utilizzò uno per comunicare con l’alieno conosciuto come il Compagno nella regione Gamma Canaris. Nel rispondere alla domanda di Zefram Cochrane circa la teoria del funzionamento, Kirk spiegò che esistono certe idee e concetti universali e comuni a tutte le forme di vita intelligente. Il traduttore confronta le frequenze degli schemi delle onde cerebrali, seleziona le idee che riconosce, e fornisce la grammatica necessaria. Kirk successivamente spiegò che il dispositivo genera una voce, o una sua approssimazione, che corrisponde ai concetti di identità da esso riconosciuti. Il Compagno si rivelò come appartenente al genere femminile perché il traduttore universale rilevò quest’aspetto della sua identità dai suoi schemi cerebrali, assegnandogli una voce femminile.(TOS: “Guarigione da forza cosmica”).Ma il traduttore universale talvolta era fallace. Per esempio, fu capace di tradurre letteralmente le parole dei Tamariani, ma non fu in grado di interpretare il modo di parlare metaforico dei Tamariani in un discorso facilmente comprensibile. Il traduttore inoltre mancò di comprendere le sfumature di numerosi verbi transitivi del Dominionese. (TNG: “Darmok”; DS9: “Probabilità statistiche”)”. (1)

Ebbene, Mark Zuckerberg ha confermato: è pronto il suo primo sistema di traduzione per le lingue non scritte basato sull’intelligenza artificiale. La tecnologia sviluppata da Meta è frutto di una lunga ricerca condotta sull’Hokkien, un insieme di dialetti di Taiwan.  Parlato soprattutto dai cinesi emigrati, l’Hokkien non ha – come il 40% delle lingue e dialetti – alcuna forma scritta. Lo stesso CEO di Meta, durante l’evento streaming “Meta Inside the Lab: costruire il Metaverso con l’AI” aveva dichiarato che “la capacità di comunicare con chiunque in qualsiasi lingua è un superpotere che le persone hanno sempre sognato e l’intelligenza artificiale ce la consegnerà nel corso della nostra vita”. La ricerca sull’Hokkien è un passo per l’Universal Speech Translator, ossia un sistema in grado di fornire una traduzione vocale in tempo reale di tutte le lingue. Ma già Samsung, p.es., promuove da mesi una funzione di traduzione istantanea delle telefonate disponibile su un suo modello di smartphone. A settembre Spotify ha avviato con OpenAI, l’azienda produttrice del software ChatGPT, un progetto sperimentale di traduzione vocale dei podcast in altre lingue mantenendo le voci originali di conduttori e conduttrici.

Ma come avevo intuito, queste facilitazioni levano lo stimolo alla comprensione delle lingue straniere. Negli Stati Uniti sono diminuite del 29,3 per cento dal 2009 al 2021. In Australia la quantità di studenti delle superiori che studiavano una lingua straniera nel 2021 è stata la più bassa di sempre (8,6 per cento). E in Corea del Sud e Nuova Zelanda le università stanno chiudendo i dipartimenti di francese, tedesco e italiano. Anche la conoscenza dell’inglese è diminuita tra i giovani, secondo un rapporto di EF Education First, una società internazionale che organizza corsi di lingua inglese e scambi culturali in tutto il mondo. E nel regno Unito la scarsa attrazione dell’Erasmus per gli studenti inglesi è la loro scarsa motivazione a imparare una seconda lingua (2).

E qui va inquadrato il vero problema: s’indeboliscono la comprensione e gli scambi tra culture diverse. Una lingua non è solo un vocabolario con una grammatica e una sintassi, ma l’espressione di un mondo, di una cultura, di una società. Traducendo le lingue senza conoscerle si arriva al relativismo: sono tutte sullo stesso livello come le culture che le parlano e che non abbiamo la curiosità di conoscere. Per anni ho visto nei festival e nei cineclub film anche di tre ore parlati e sottotitolati nelle lingue più strane, ma ero spinto a vederli non per autolesionismo, ma perché mi facevano entrare di persona in mondi di cui non conoscevo l’esistenza o che credevo di capire per aver letto l’Espresso e Panorama o qualche romanzo premio Nobel africano o sud americano. la lingua non è un mezzo di trasmissione del pensiero, ma un modo di interpretare la realtà stessa. Imparare una nuova lingua equivale, sotto molti aspetti, ad apprendere un modo nuovo di vedere il mondo e di pensare. La parte umana delle relazioni è il fattore più importante non soltanto nello studio delle lingue, ma in qualsiasi scambio tra culture diverse. Per questo ai giovani direi: usate pure traduttori e intelligenza artificiale, ma sviluppate anche la vostra, e soprattutto siate curiosi.

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Note:

  1. https://memory-alpha.fandom.com/it/wiki/Traduttore_universale
  2. https://www.ilpost.it/2024/04/18/intelligenza-artificiale-lingue-straniere/

Un amore impossibile e passionale

CJRANO de BERGERAC
di
EDMOND ROSTAND

E’ la sera della prima.

La storica gloriosa sala

dell’AMBRA JOVINELLI di ROMA

è carica di curiosità e di emozione

nell’attesa di un nuovo spettacolo

già incredibilmente superpremiato.

Finalente si spengono le luci ed ecco…

declamando i primi versi

nella lingua melodiosa di CJRANO 

ARTURO CIRILLO

viene incontro al suo pubblico

con l’eleganza dell’attore nato.

Accade allora qualcosa di incredibile

mi appare come in sogno eppure vivo e fascinoso

il grande Mario Scaccia.

E’ solo un attimo ma non un’illusione:

poetico delirio sospeso tra sogno e realtà

ipossibile a dirsi mentre la storia continua

e colpisce,come un omaggio a Marta Abba,

l’apparizione  del viola sulla scena

colore morbido passionale che in questo gioco

tra magia e visioni…ci sembra scaramantico e perfetto.

Ed ecco, in un clima che Eduardo avrebbe definito “Affatato”

ritorna dopo secoli a vivere attraverso la magia del teatro

la tragica storia d’amore tra Cjrano de Bergerac poeta spadaccino

la troppo bella Rossana

e il giovane Cristiano semplicemente innamorato.

Triangolo amoroso dove la poesia è fatale protagonista

tra gli amori impossibili è forse il più cantato

insuperabile capolavoro di Edmond Rostand.

Che altro dire, raffinato “teatro canzone”

come lo definisce ARTURO CIRILLO

un incontro struggente con l’arte poetica

dove attrici ed attori sono tutte e tutti bravissimi

attorno ad un Arturo Cirillo dolce acuto protagonista

adattatore del testo e regista in stato di grazia.

E voglio questi attori ricordarli tutti, uno ad uno.

IRENE CIANI: splendida affascinante Rossana.

GIACOMO VIGENTINI: il giovane Cristiano privo dell’arma poetica.

FRANCESCO PETRUZZELLI: l’inappuntabile De Guiche.

ROSARIO GIGLIO: un perfetto Raguenau

GIULIA TRIPPETTA: l’elegantissima governante.

Inoltre questi attori, da veri professionisti,

come dai tempi mitici della COMMEDIA DELL’ARTE,

si trasformeranno di volta in volta in altri personaggi,

mai minori, come si usa dire nella gloria del Teatro.

Grande spazio meriterebbe l’invenzione geniale delle scene,

talvolta letteralmente rotanti, firmate DARIO GESSATI

e lo sfarzo giocoso dei costumi di GIANLUCA FALASCHI

originali e fantasioni fino alla visione-sogno di Wanda Osiris.

Il tutto poi non apparirebbe se non esaltato dalla bravura

di PAOLO MANTI creatore maestro di sugestive luci

e dalla scelta essenziale delle musiche composte o rielaborate

da Federico Odling con grande sensibilità.

Musiche talvolta evocative di autori amati ombre lievi

che sembrano apparire tra gli attori e muovere con loro

quei misurati passi di danza essenziali che dall’inizio

danno ritmo e tempi armoniosi allo spettacolo.

Vogliamo inoltre ricordare con gratitudine

quel piccolo esercito di lavoratori e lavoratrici

che silenziosamente hanno collaborato

alla realizzazione dell’impresa e che per limiti di spazio

non riusciamo a nominare.

Insomma uno spettacolo perfetto indescrivibile.

Si può solo vederlo e lo ricorderemo a lungo.

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Nota di regia

Andare con il ricordo ad un musical da me visto da ragazzino a Napoli, nell’ancora esistente Teatro Politeama, è stato il primo moto di questo nostro nuovo spettacolo. Il musical in questione era il Cyrano tratto dalla celeberrima commedia di Rostand, a sua volta ispirata ad un personaggio storicamente vissuto, coetaneo del mio amato Molière.

Riandare con la memoria a quella esperienza di giovane spettatore è per me risentire, forte come allora, l’attrazione per il teatro, la commozione per una storia d’amore impossibile e quindi fallimentare, ma non per questo meno presente, grazie proprio alla finzione della scena. Lo spettacolo che almeno trentacinque anni dopo porto in scena non è ovviamente la riproposizione di quel musical (con le musiche di Domenico Modugno) ma una continua contaminazione della vicenda di Cyrano di Bergerac, accentuandone più il lato poetico e visionario e meno quello di uomo di spada ed eroe della retorica, con delle rielaborazioni di quelle musiche, ma anche con elaborazioni di altre musiche, da Èdith Piaf a Fiorenzo Carpi.

Un teatro canzone, o un modo per raccontare comunque la famosa e triste vicenda d’amore tra Cyrano, Rossana e Cristiano attraverso non solo le parole ma anche le note, che a volte fanno ancora di più smuovere i cuori, e riportarmi a quella vocazione teatrale, che è nata anche grazie al dramma musicale di un uomo che si considerava brutto e non degno d’essere amato. Un uomo, o un personaggio, in fondo salvato dal teatro, ora che il teatro ha più che mai bisogno di essere salvato.

Arturo Cirillo


17- 28 aprile Teatro Ambra Jovinelli
Roma – Via Guglielmo Pepe
tel. 06.83082620


ARTURO CIRILLO
Cyrano de Bergerac

La tournée

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