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Migrazione: Umanità sofferente tra due fuochi

Migrazione Profughi

Il Rapporto Annuale 2017 che il Centro Astalli, ha presentato l’11 aprile, è una fotografia aggiornata sulle condizioni dei richiedenti asilo e rifugiati che durante il 2016 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, ma è stata anche un’occasione per riflettere sugli sviluppi dell’accordo dell’Unione europea con la Turchia e le nuove direttive decreto dei ministri Minniti-Orlando.

Un’umanità che non deve solo fuggire dalla morte, ma affrontare un cammino impervio tra montagne e deserti, evitando di essere venduti come schiavi, per poi trovarsi davanti a distese d’acqua e le barriere turche, affrontare le nuove norme d’accoglienza e la tenace ostilità della destra, le schizofreniche posizioni dei penta stellati e le fosche accuse gettate dalla magistratura catanese sul ruolo di alcune navi di Ong di “comodo” per spalleggiare il traffico di esseri.

Non è possibile fare di un sol fascio le Ong come Medici Senza Frontiere o Save The Children con quelle pseudo che battono bandiere dubbie, tant’è vero che il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro sta concentrando la sua attenzione sulla maltese Moas o le tedesche.

Il procuratore di Catania ammette di non avere dei riscontri decisivi, ma la sua esternazione si basa su di una mera ipotesi, forse nata da un datato sospetto di Frontex. È triste se la Legge in Italia viene applicata su “sensazioni” o “sospetti” e non sulle prove dei fatti.

Ora Frontex, dopo aver attaccato le organizzazioni non governative di fare il gioco dei trafficanti di esseri umani, si corregge e attraverso il suo portavoce dichiara: “Salvare vite non è solo una priorità, ma anche un obbligo internazionale per tutti coloro che operano nel mare”.

Sulle polemiche di questi giorni sui rapporti di alcune Ong e scafisti, interviene anche il direttore dell’Iom (International Organization for Migration)  per l’Europa, Eugenio Ambrosi che sostiene come non sia di aiuto il fatto di “alimentare percezioni che mettono sullo stesso piano o confondono interessi criminali a scopo di lucro ed entità senza scopo di lucro che lavorano per salvare vite in mare”. Ma aggiunge “non possiamo essere ingenui. Il fatto che navi di soccorso di Ong operino così vicino alle acque libiche può essere sfruttato dai trafficanti”. E prosegue: “è necessario definire meglio il ruolo e le regole delle Ong e le risorse dell’Ue per l’obiettivo principale di garantire che nessuno muoia in mare”.

Una questione questa sulle responsabilità delle Ong nel traffico di esseri umani che un Movimento estremamente “fluido” come quello delle 5 Stelle, dalle mille opinioni che porta, certe volte, i suoi a disquisire, per noia più che per competenza, non si è fatto sfuggire per scavalcare in superficialità la Lega e i quattro gatti della Meloni che sventolano la bandiera della patria sovranità, ma è solo una vuota parola per mascherare da patriottismo il vero significato di egoisti.

Il direttore di Migrantes (Cei), mons. Giancarlo Perego, in un’intervista a Tv2000, afferma che al di là delle accuse da provare questa è una polemica “strumentale per portare lontano dall’impegno vero che dovrebbe essere di tutti i Paesi europei e i cittadini di fronte a un dramma che sta crescendo”, invece di trovare delle concrete soluzioni politiche che potrebbero proporre dei Corridoi umanitari attivati dalla collaborazione ecumenica fra cristiani della Comunità di Sant’Egidio, le Federazione delle Chiese evangeliche, le Chiese valdesi e metodiste, con un protocollo d’intessa firmato con il Ministero degli Affari Esteri e degli Interni.

Quello dei Corridoi umanitari non è solo una soluzione per salvaguardare la vita umana e garantire una migrazione avulsa da possibili infiltrazioni malavitose e terroristiche, ma soprattutto economicamente vantaggioso per l’Europa, invece di sperperare miliardi di euro solo per respingere.

La politica non dovrebbe strumentalizzare e accanirsi sulle Ong, ma trovare delle soluzioni che non siano la solita abitudine di ricorrere a un rimedio provvisorio, per una visione che invece travalichi la punta del naso modello Minniti-Orlando.

Con il decreto dei ministri Minniti-Orlando che prevede un Centro di permanenza per il rimpatrio a misura “umana” in ogni regione, eliminazione dell’appello dopo rifiuto al diritto d’asilo,  si velocizzano le procedure per la concessione del diritto di asilo e la possibilità di svolgere lavori di pubblica utilità gratuiti e volontari. Alcuni migranti si sono organizzati e hanno “adottato” un tratto di marciapiede o di mercato rionale romano nel tenerlo pulito, affidandosi al buon cuore del passante per raccogliere qualche euro.

Papa Francesco ha più volte stigmatizzato i Centri di permanenza come lager e simbolo della negazione di qualsiasi umanità. La migrazione rimane un proficuo affare, come dimostra lo stanziamento di 19 milioni di euro per garantire l’esecuzione delle espulsioni, mentre l’Ue destina alla sorveglianza, anche con droni, delle frontiere 4,5 miliardi di euro da spendere entro il 2020.

Non è tutto, l’Ue sta impegnando complessivamente una cifra vicino ai 600 milioni di euro non solo per la ricerca e lo sviluppo di progetti per la sicurezza nel Mediterraneo, ma anche per Frontex e per Eos (European organisation for Security), il principale gruppo europeo impegnato per la sicurezza, che spinge per la creazione di un gruppo di lavoro per studiare un sistema di controllo delle frontiere denominato “EU Border check task force”.

La migrazione non è solo un “affare” per tener fuori dall’Europa gli Altri, ma anche per accogliere chi riesce a mettere piede in uno dei 27 paesi dell’Unione. Ogni governo, chi più chi meno, destina fondi per gestire una crisi che dura da anni trasformando la disgrazia di molti in lavoro per alcuni e grazie a istituzioni pubbliche e private, oltre che a singoli cittadini, si possono garantire dei pasti, e con qualche difficoltà per dare dei posti letto ad ognuno.

Nell’anno passato, il Centro Astalli, ha potuto contare sull’8 per mille Cei, Migrantes, Fondazione Bnl e Segretariato sociale Rai, per poter coprire i 3milioni e 100mila euro spesi per i servizi offerti dalla sede romana.

I Gesuiti del Centro Astalli sono impegnati sull’accoglienza, mentre i Gesuiti di Magis lavorano per sviluppare delle realtà economiche di cooperazione tra gli abitanti dei luoghi dai quali proviene parte dei migranti.

La situazione migratoria continua ad essere affrontata soprattutto con la limitazione della libertà di circolazione per alcune categorie di persone, ignorando l’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò il 10 dicembre 1948, ma sottolineando invece l’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sulla Libertà di circolazione e di soggiorno riguardante solo i cittadini dell’Unione.

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Africa: Attaccati al Potere

Africa Attaccati al Potere-velazquez-papa-innocenzo-xIl cammino per una Democrazia diffusa in Africa è pieno di insidie, indire delle elezioni non significa che poi i risultati possono essere accettati pacificamente da tutte le parti.

In Gambia si è prolungato il balletto del “me ne vado” o “resisto” del presidente uscente, Yahya Jammeh, che dopo aver governato per 22 anni in modo autoritario, sembrava volersi farsi da parte dopo il risultato a lui sfavorevole, ma ecco che annuncia di non accettare il responso delle urne e il CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) si attiva per convincere il presidente ghanese a lasciare il potere.

La risposta di Jammeh, a due giorni dell’insediamento del presidente eletto Adama Barrow, si annuncia decretando lo stato di emergenza e l’Onu risponde con l’autorizzare l’Ecowas a intervenire militarmente per affermare la legittimità delle elezioni ed ecco che, sotto la pressione internazionale, Jammeh dichiara alla televisione di stato che lascerà il potere, prima però deve decidere dove andare, magari trasferirsi in Mauritania o Qatar, anche il Marocco si è offerto a dargli ospitalità, ma la sua meta finale è stata la Guinea Equatoriale, portando via con sé auto e preziose suppellettili su di un aereo cargo fornito dal Ciad, per un esilio dorato, garantito da una “buona uscita” di una decina di milioni di dollari delle casse dello Stato, e soprattutto lontano da qualsiasi commissione d’inchiesta che possa indagare sulle violazione dei diritti umani del padre-padrone del Gambia.

Mentre si consumava la sceneggiata di Jammeh che poteva portare ad un conflitto regionale, Adama Barrow, il nuovo e terzo presidente del Gambia, prestava giuramento nell’ambasciata del suo paese a Dakar (Senegal), un escamotage per non considerarsi in esilio.

Ora la situazione in Gambia, anche se Adama Barrow si è insediato, non è tranquilla con la difficile convivenza tra i soldati “fedeli” a Jammeh e le truppe dell’ECOWAS CEDEAO che sfocia in un continuo fronteggiarsi con scambio di colpi mentre le prigioni ospitano ancora gli oppositori della precedente amministrazione. Amnesty International chiede di indagare sulla morte di Solo Sandeng, esponente del Partito Democratico Stati (UDP), avvenuta dopo l’arresto e invoca la libertà per tutti i manifestanti fermati mentre chiedevano riforme elettorali, per una prova delle urne e della democrazia.

Un altro “attaccato” alla poltrona è il presidente Joseph Kabila, della RD Congo, che non sembra neanche voler indire le elezioni mentre il 92enne Mugabe si candita a succedersi, nel 2018, alla guida dello Zimbabwe.

La famiglia Kabila, in oltre dieci anni, ha creato un impero economico Africa Attaccati al Potere Kabila REUTERS1885896_Articoloche abbraccia tutti i settori dell’economia congolese e perché allora rischiare di perdere il potere sul Congo detto democratico e il controllo sull’estrazione dell’oro, diamanti, rame, cobalto e quant’altro è celato sotto la terra congolese, dando l’addio alla gratificante consuetudine di utilizzare una nazione come personale bancomat?

In Ciad il Presidente Idriss Déby per non lasciare la poltrona conquistata nel 1990 con un colpo di stato e consolidata nel 1996 con elezioni “costituzionali”, ha rimosso nel 2005 la limitazione a due mandati per poter mungere “ad libitum” le casse. Nell’aprile del 2016 è stato confermato per un quinto mandato per garantire la stabilità nell’area e combattere, grazie ai soldati della forza interregionale africana e le truppe francesi di stanza nel Ciad, i miliziani jihadisti che scorrazzano a nord sul confine libico, mentre imperversano a sud-ovest, tra Niger e Nigeria, gli integralisti islamici di Boko Haram, ma anche a est il confine con il Sudan non si può definire tranquillo.

Ancora più ad est è l’Eritrea ad essere governata con pugno di ferro da Isaias Afewerki, primo e unico presidente dal 1993, due anni dopo che il paese del Corno d’Africa conquistò l’indipendenza dall’Etiopia, che un rapporto della commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, pubblicato l’8 giugno 2016 a Ginevra, lo ritiene autore di numerosi crimini contro l’umanità, come la riduzione in schiavitù della popolazione non solo per servire sotto le armi la dittatura, reclusione, sparizioni e tortura oltre a persecuzioni, stupri e omicidi.

Sulle coste del Mediterraneo è Abdelaziz Bouteflika che, nonostante le sempre più insistenti voci sul suo precario stato di salute, ad essere presidente dell’Algeria dal 1999 e a non voler scendere dalla poltrona, ma è forse solo il Fronte di Liberazione Nazionale, il suo partito, a detenere il potere e decidere i cambi di dirigenza. Le elezioni del 4 maggio potranno dare un’indicazione sulla stabilità dello stato tra i più estesi dell’Africa, e il decimo del mondo, come “baluardo” alla diffusione di un islamismo integralista.

Anche in Tanzania non è il presidente a avere una continuità, ma il Partito della Rivoluzione che dal 1964, anno della fusione di Tanganika e Zanzibar, non ha permesso ad altre formazioni politiche di intromettersi nella gestione del potere.

Pierre Nkurunziza, in Burundi, ha giurato nel 2015 per il terzo mandato come Presidente, in elezioni giudicate non regolari dagli osservatori internazionali, che hanno causato veri e propri scontri tra l’opposizione e i governativi, portando l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon a recarsi nel paese africano per avviare un dialogo. Una crisi politica che vive a tutt’ sospesa nella speranza di una ripresa di dialogo tra governo e oppositori.

Nel vicino Ruanda è Paul Kagame, presidente dal 2000, ad annunciare la sua candidatura per un terzo mandato alle elezioni del 2017. L’accesso ad un terzo mandato possibile con la modifica costituzionale, ottenuta con la vittoria del referendum popolare, del 18 dicembre scorso, così non potrà solo rimanere al potere per altri dieci anni, ma potrà successivamente ricandidarsi ancora per altre due volte! Quindi Kagame potrebbe rimanere al potere fino al 2027, forse fino al 2034, diventando praticamente un presidente a vita. Ecco chi ha ispirato il turco Erdogan a plasmare la costituzione, ma forse lo si può perdonare nel suo farsi re, visto il ruolo svolto nella conclusione del genocidio ruandese del 1994 e, anche se non sempre positivo, nella seconda guerra del Congo.

Charles McArthur Ghankay Taylor ha governato sulla Liberia per soli sei anni, ma in compenso ha fatto danni non solo nel suo paese, ma ha messo lo zampino anche nella Guerra Civile nella vicina Sierra Leone per assicurarsi i blood diamonds (diamanti insanguinati) e per questo venne dimissionato nel 2003 per poi essere il primo ex presidente africano ad essere condannato dalla Corte Speciale per la Sierra Leone (SCSL) e dalla Corte per i Crimini internazionali de L’Aia, con sentenza definitiva 2013, a cinquant’anni di reclusione.

Il destino di Charles Taylor potrebbe essere condiviso dall’attuale presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashīr, accusato dalla Corte Penale Internazionale per i crimini in Darfur, e sulla cui testa pende una mandato di cattura internazionale. Al-Bashīr, presidente del Sudan dal 1989, ha potuto contare su di una sorta di sbadataggine o magari della negligenza di altri governi non solo africani per sfuggire al mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità emesso nel 2009 e da difese fantasiose come quella di Erdoğan basata su “un musulmano non può compiere un genocidio”.

In Mauritania Mohamed Ould Abdel Aziz è stato confermato, dopo un colpo di stato, presidente dal 2009 e nuovamente nel 2014. Ora si appresta ad indire un referendum costituzionale magari non solo per abolire il Senato, modificare la bandiera e l’inno nazionale, ma anche per trovare un escamotage per prorogare la sua presenza alla guida del paese, anche se privilegiando l’etnia arabo-berbera a cui appartiene lo stesso Abdelaziz, discriminando le etnie africane, puntando sul fatto di aver garantito sino ad ora la sicurezza del paese nonostante si trovi al centro di un’area instabile, come dimostrano le vicissitudini del vicino Mali, dove operano jihadisti di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, formazioni indipendentiste Tuareg e criminalità comune.

Per fortuna l’Africa non è solo di governanti intenti a fare soldi e conservare ad ogni costo la poltrona, ma anche di presidenti come il namibiano Hifikepunye Pohamba che, allo scadere del suo mandato nel 2015, si è aggiudicato il premio Mo Ibrahim per il suo buon governo. Il premio è stato istituito nel 2007 dalla fondazione del milionario sudanese Mo Ibrahim ed è una speranza per Africa democratica.

Africa Attaccati al Potere Jose-Eduardo-dos-Santos-008Un altro esempio di responsabilità può essere il presidente Jose Eduardo dos Santos che, confermato nelle ultime elezioni del 2012 in Angola con il 75 per cento dei voti, ha dichiarato di non volersi presentare alle prossime elezioni di agosto, nominando come successore Joao Lourenco. Una decisione presa dopo 37 anni al potere iniziati 1979, con la morte di Agostinho Neto

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Creature Digitali

Mostre ArtFutura Roma Ex Dogana 2017 2L’uso di strumenti tecnologici insieme alle loro capacità scientifiche e artistiche crea un codice di lettura nuovo per il futuro: materializzano l’immaginario, costruiscono nuove forme, materie e superfici come nuove opere e strumenti.

Dall’inizio del XXI secolo ci stiamo progressivamente ed inconsapevolmente mutando in “creature digitali”. Il nostro lavoro, le nostre azioni, le nostre amicizie, le nostre emozioni, tutto appartiene sempre di più all’universo digitale.

L’elemento più affascinante della tecnologia digitale é quello di essere in continuo divenire. Il progresso della tecnologia determinerà in modo esponenziale le capacità umane di creare e di distruggere, di avere successo come di fallire, il paradiso e l’inferno. L’unico elemento che potrà determinare il nostro futuro tecnologico é la nostra umanità senza la quale tutto potrà perdere di significato.

Questi artisti scienziati ci aprono le porte di un nuovo mondo digitale dove risulta evidente che tutto, come le loro opere, sarà in continua evoluzione. La loro arte rappresenta l’evoluzione di un mondo dove tutto sarà diverso, come anche i musei e gli spazi espositivi sempre più simili a luoghi dove poter usare l’immaginazione, dove poter visualizzare i nostri pensieri e i nostri sogni diventando parte attiva dell’allestimento come metafora della nostra esistenza.

Sculture cinetiche che creano olografie galleggianti, campi magnetici che generano forme di ferrofluido dinamiche, esperienze audiovisive immersive in cui sperimentare proiezioni virtuali sconosciute. Sono queste alcune delle installazioni presentate nella mostra ArtFutura, presso i nuovi spazi espositivi dell’Ex Dogana di Roma.

Per questa esibizione italiana, il curatore Montxo Algora ha riunito quegli artisti che hanno percorso in parallelo il cammino tra arte e scienza, incrociandosi su traiettorie nuove. Una opzione, suggerita anche dal contesto, dalla natura del contenitore Ex Dogana, inteso come fabbrica del futuro.

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ArtFutura
CREATURE DIGITALI
Dal 29 aprile al 10 settembre 2017

Mostre ArtFutura Roma Ex Dogana 2017 logoEx Dogana
via dello Scalo di San Lorenzo, 10
Roma

Curatore: Montxo Algora
Artisti: Paul Friedlander (UK), Esteban Diácono (Argentina), Can Buyukberber (Turchia/USA), Sachiko Kodama (Giappone), Chico MacMurtrie (USA) e il collettivo Universal Everything (UK)

Informazioni:
tel. 892.234
www.vivaticket.it

Prenotazioni
gruppi e scuole:
email: gruppi@bestunion.com / tel. 892.234
Informazioni online:
www.artfuturaroma.it –

La mostra, prodotta da MondoMostre Skira, è curata da Montxo Algora direttore dell’omonimo Festival internazionale “ArtFutura”.

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Gramsci: a 80 anni un pensiero più vivo che mai

AP Gramsci          Antonio Gramsci è considerato uno dei politici e degli intellettuali italiani più studiati a livello internazionale. A ottanta anni dalla sua morte dovuta alla carcerazione fascista, il 27 aprile 1937, la diffusione internazionale degli studi sul suo pensiero sono in costante crescita. La Bibliografia gramsciana, curata da Francesco Giasi e da Maria Luisa Righi con la collaborazione dell’International Gramsci Society, raccoglie ad oggi 19.828 unità bibliografiche (cioè volumi, saggi e articoli su Gramsci pubblicati dal 1922 e pubblicazioni e traduzioni degli scritti di Gramsci dal 1927, fino ai giorni nostri)[1]. Guido Liguori ricorda che dal 1997 ad oggi, solo in Italia sono stati pubblicati «circa 180 volumi (libri o numeri di rivista monografici) di o su Gramsci, mediamente uno al mese per oltre quindici anni»[2]. Liguori è peraltro autore proprio quest’anno di un interessante volume sugli scritti gramsciani relativi alla rivoluzione russa (della quale ricorre il centenario)[3]. Una nuova biografia è stata invece curata, sempre quest’anno, da Angelo D’Orsi[4], che dal 2015 dirige la rivista “Gramsciana”[5].

La statura intellettuale e politica di Gramsci sembra quindi aver resistito alla crisi del socialismo e del movimento operaio internazionale. Ciò probabilmente perché, come ha scritto Michael Walzer, la vita e le opere dell’intellettuale sardo sono destinate a «sollevare questioni controverse» che derivano «dal rapporto carico di tensione […] tra la scienza marxista e la politica della classe operaia»[6]. D’altronde, quello fra il Gramsci studioso e il Gramsci dirigente politico è un rapporto che difficilmente può essere disgiunto, non fosse altro perché, come ha ricordato Eric Hobsbawm, esso si attuò attraverso il PC(d’)I[7].

Proprio per questo, in un’epoca come la nostra, caratterizzata dalla crisi di credibilità e di fiducia dei partiti politici tradizionali, la riflessione gramsciana sugli intellettuali, sviluppata nei Quaderni del carcere, assume ancor oggi un evidente significato e, diciamolo pure, un discreto fascino. Si tratta di una riflessione mai disgiunta da quelle che l’intellettuale sardo portò avanti, fra il 1929 e il 1935, sul partito, sul rapporto fra Stato e società civile nei Paesi a capitalismo avanzato, sull’egemonia, ecc.

            Stato e società civile

Di fronte alla sconfitta subita dal movimento operaio e rivoluzionario in Italia e in Europa ad opera della reazione borghese e del fascismo intorno agli anni Venti del Novecento, Gramsci analizza le società industriali occidentali, ritenendo che non sia sufficiente la mera presa del potere politico, ma sia necessaria una battaglia per quella che Walzer ha chiamato «la “conquista” della società civile […] una lotta culturale lunga e faticosa in cui il nuovo mondo soppianta lentamente, dolorosamente quello vecchio»[8].

Questa “guerra di posizione”, questa battaglia per l’egemonia nella società civile sarebbe dovuta essere, secondo Gramsci, la natura dello scontro di classe in Europa dopo la sconfitta della rivoluzione in Europa occidentale[9].

            Il ruolo degli intellettuali

Le funzioni di egemonia e di dominio politico, esercitate rispettivamente nella società civile e nello Stato vengono svolte, secondo Gramsci, dagli intellettuali:

Gli intellettuali sono i “commessi” del gruppo dominante per l’esercizio delle funzioni subalterne dell’egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso “spontaneo” dato dalle grandi masse della popolazione all’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che nasce “storicamente” dal prestigio (e quindi dalla fiducia) derivante al gruppo dominante dalla sua posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione; 2) dall’apparato di coercizione statale che assicura “legalmente” la disciplina di quei gruppi che non “consentono” né attivamente né passivamente, ma è costituito per tutta la società in previsione dei momenti di crisi nel comando e nella direzione in cui il consenso spontaneo viene meno[10].

Per il comunista sardo, l’attività intellettuale è presente in tutte le attività umane, ma nelle condizioni contemporanee non tutti gli uomini e le donne svolgono quelle funzioni intellettuali mirate al conseguimento dell’egemonia sociale e del dominio politico di una classe sull’altra. Di fronte alla figura dell’intellettuale tradizionale, che si autorappresenta come autonomo e indipendente dalle classi sociali dominanti[11], Gramsci individua un nuovo tipo di intellettuale, definito in base alla sua funzione di organizzatore nella società e in tutte le sfere della vita sociale[12], sebbene sia nelle sovrastrutture dello Stato e della società civile che la loro funzione si dispiega, si struttura e, per certi versi, si rende autonoma (sia nel campo dell’egemonia sociale, sia in quello del dominio statale).

Già durante il Congresso di Lione del PCI nel 1926, Gramsci aveva respinto la concezione (molto diffusa anche a sinistra) dell’intellettuale che «crede di essere il sale della terra e vede nell’operaio lo strumento materiale dello sconvolgimento sociale, e non il protagonista cosciente e intelligente della rivoluzione»[13]. Con le lotte sindacali e le occupazioni delle fabbriche (1920-21), la classe operaia italiana aveva dimostrato nel primo ventennio del Novecento di saper dirigere gli aspetti tecnici della produzione capitalistica; si trattava a quel punto, secondo Gramsci, di acquisire la capacità di dirigere quelli “politici”[14]. Il concetto gramsciano di “intellettuale organico” quindi permette, come ha scritto Walzer, di ricomporre «l’homo faber» con «l’homo sapiens», nell’interesse non di una classe o di un gruppo sociale, ma della «società nel suo insieme»[15].

La teoria gramsciana sugli intellettuali è inoltre interessante anche per un altro aspetto, che (nell’epoca del cosiddetto “capitalismo cognitivo” in cui viviamo oggi) assume un’importanza non secondaria. Secondo il comunista italiano, si stava assistendo a un ampliamento della categoria degli intellettuali, una “massificazione” che «ha standardizzato gli individui […], determinando gli stessi fenomeni che in tutte le altre masse standardizzate: concorrenza che pone la necessità dell’organizzazione professionale di difesa, disoccupazione, superproduzione scolastica, emigrazione, ecc»[16]. L’avverarsi di questa intuizione gramsciana è oggi dispiegato al massimo livello, come dimostra la precarizzazione molte attività intellettuali e/o tecniche specializzate.

Partito politico, rivoluzione passiva ed egemonia

La riflessione gramsciana sugli intellettuali non può essere scollegata da quella sul partito politico e sui suoi rapporti con la classe operaia e con gli intellettuali come massa. Per Gramsci, il partito svolge il ruolo di saldatore «fra intellettuali organici di un dato gruppo, quello dominante, e intellettuali tradizionali»[17]. Un’altra funzione fondamentale del partito è quella di elaborare i propri intellettuali: politici qualificati, dirigenti, militanti, capaci di sviluppare una lotta di classe egemonica in tutti gli apparati egemonici della classe dominante (scuole e università, mezzi di informazione, sindacati, associazionismo, anche la Chiesa, ecc.), e in grado, come è stato ricordato nel paragrafo precedente, di svolgere tutte le funzioni intellettuali previste in una società “integrale” come quella capitalistica[18].

Per Gramsci, chi milita nel partito deve essere al tempo stesso un “dirigente proletario” (alla testa, cioè, delle lotte della classe operaia) e «un nuovo tipo di filosofo», intendendo per filosofia «un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente culturale». Queste funzioni comportano, per l’intellettuale di partito, una costante opera di mediazione fra la spontaneità del conflitto sociale e la direzione consapevole della politica intesa come scienza.

Tuttavia questa “saldatura” non è possibile se non si ha consapevolezza dello Stato, della sua essenza, dei suoi meccanismi fondamentali di funzionamento.

Proprio dagli studi sul Risorgimento e sullo Stato unitario italiano, Gramsci elabora tre concetti principali: il concetto di rivoluzione passiva, che sta ad indicare processi di trasformazione politica guidati “dall’alto” che non rivoluzionano le sovrastrutture, non instaurano un nuovo Stato né un nuovo apparato egemonico; quello di egemonia, inteso come «messa in opera di meccanismi destinati ad assicurare il consenso delle masse per una politica di classe (poggiando, del resto sulla forza)», da non ridurre alla categoria marxista di ideologia dominante, o al concetto weberiano dei meccanismi di legittimazione; a questo, infine, è legato il concetto di crisi di egemonia (detta crisi organica), ossia la strategia attraverso la quale la classe operaia si rende autonoma e si costituisce a sua volta in classe egemone. Questa strategia, come è stato brevemente esposto in precedenza, è la guerra di posizione, «che permette alla classe operaia di lottare per un nuovo Stato»[19].

Conclusioni   

Il tentativo originale di declinare la teoria marxista e la strategia politica leninista sulla base del contesto storico, sociale, politico e culturale italiano, non fu solo fra i pochi particolarmente significativi nella prima metà del secolo scorso, ma ancora oggi riveste una importanza non marginale: il rapporto fra Stato e società civile; la funzione egemonica di una classe sociale dominante attraverso la figura dell’intellettuale “organico” e attraverso la “rivoluzione passiva”; la “guerra di posizione” come processo di “contro-egemonia” delle classi subalterne che producono i propri intellettuali organici e attirano a sé quelli tradizionali; sono cardini interpretativi che ancora oggi, pur in condizioni profondamente mutate rispetto a quelle di 80 anni, possono contribuire non poco alla comprensione dei meccanismi di funzionamento delle post-democrazie contemporanee, e (auspicabilmente) ad elaborare e sperimentare percorsi – chissà, strategie? – di superamento, “rivoluzionarie” avrebbe detto Gramsci.

 

[1]      http://www.fondazionegramsci.org/bibliografia-gramsciana/.

[2]      G. Liguori, Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche. 1922-2012, Editori Riuniti university press, Roma, 2012, p. 11.

[3]      G. Liguori, Come alla volontà piace, Castelvecchi, 2017.

[4]      A. D’Orsi, Gramsci. Una nuova biografia, Feltrinelli, Milano, 2017.

[5]http://www.mucchieditore.it/index.php?option=com_virtuemart&page=shop.product_details&category_id=23&product_id=2234&Itemid=4&lang=it

[6]      M. Walzer, L’intellettuale militante. Critica sociale e impegno politico nel Novecento, il Mulino, Bologna, 2004, pp. 109-110.

[7]      E. J. Hobsbawm, Note su Gramsci, in I rivoluzionari, Einaudi, Torino, 2002, p. 330.

[8]      M. Walzer, L’intellettuale militante, op. cit., p. 112.

[9]      E. J. Hobsbawm, Note su Gramsci, cit. p. 344.

[10]     A. Gramsci, Quaderni del carcere, vol. 2, Gli intellettuali, Editori Riuniti, Roma, 1975, pp. 20-21.

[11]     Ivi, p. 16.

[12]     A. Gramsci, Quaderni del carcere, vol. primo (quaderni 1-5), Einaudi, Torino, 1977, p. 37.

[13]     A. Gramsci, La costruzione del partito comunista, Einaudi, Torino, 1971, p. 504, cit. in C. Buci-Glucksmann, Gramsci e lo Stato, Editori Riuniti, Roma, 1976, p. 43.

[14]     A. Gramsci, Quaderni del carcere, vol. 2, Gli intellettuali, op. cit., p. 18.

[15]     M. Walzer, L’intellettuale militante, op. cit., p. 114.

[16]     A. Gramsci, Gli intellettuali, cit. p. 22.

[17]     A. Gramsci, Gli intellettuali, cit. p. 24.

[18]     C. Buci-Glucksmann, Gramsci e lo Stato, op. cit., p. 52.

[19]     C. Buci-Glucksmann, Gramsci e lo Stato, op. cit., pp. 73-77.

Le trame dei Diritti

Mostre Roma Memoria tessile sul filo dei dirittiLa mostra è tessuta della Memoria delle tragedie che hanno coinvolto i lavoratori del settore tessile nel mondo e sulle battaglie per i diritti conquistati e, in larga parte, non ancora riconosciuti.

La cultura ancestrale della tessitura e i violenti eventi che ne hanno caratterizzato la storia, dall’antichità ai nostri giorni, attraverso le opere di fiber art di artisti contemporanei

Gli appunti, le tracce tessili di Cecila De Paolis, Jacopo Lo Faro, Cristina Mariani, Lucia Pagliuca, Diana Poidimani, Lydia Predominato, Giulia Ripandelli, Grazia Santi, Laura Sassi, Patrizia Trevisi si ispirano a fatti di cronaca che cominciano in un lontano passato, come il Tumulto dei Ciompi – i più umili salariati dell’Arte della lana – scoppiato a Firenze il 20 luglio 1378; le rivolte di Lione nei setifici; gli scioperi di Torino per riduzione dell’orario di lavoro, migliori condizioni lavorative e aumenti salariali; l’incendio del 25 marzo 1911 della fabbrica Triangle di New York che causa la morte di 146 persone, tragedia che fa parte degli eventi storici ricordati in occasione della Giornata Internazionale della Donna.

Purtroppo l’elenco è ancora lungo: la tragedia di Savar a Dacca nel novembre del 2012 dove, a causa di un incendio, sono morti 100 operai di una fabbrica tessile e, a settembre 2012, altri due incendi, a Karachi e a Lahore in Pakistan, hanno causato 315 vittime e più di 250 feriti. Anche la Thailandia ha pianto le sue vittime: nel 1993 un incendio ha ucciso 188 lavoratori della Kader Toy Factory di Bangkok e molti, ancora oggi, continuano a morire al ritmo del lavoro.

Memoria tessile: sul filo dei diritti vuole ricordare e raccontare tutti questi eventi in un ideale passaggio dalla tessitura primaria alla fiber art, cercando di cogliere il nesso tra la memoria storica del “fare tessile” e il presente. Creare fiber art vuol dire prendere in considerazione l’intreccio base, considerarlo come radice primaria da cui partire per renderlo poi contemporaneo attraverso forme e materiali attuali.

Nelle opere di fiber art esposte si ritrovano notazioni, racconti salvati, ricordi, immagini, luoghi, numeri, lo scorrere del tempo, frammenti tessili, cuciture, abiti scultura, pannelli e fili, trame, ferro, cotone, lane trattate e ripetute; ma aleggiano anche i canti delle leggende popolari e i canti di protesta delle filatrici e delle ricamatrici al ritmo del gesto tessile tramandato da mano a mani.

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MEMORIA TESSILE: SUL FILO DEI DIRITTI
Dal 4 maggio al 30 giugno 2017

Mostre Roma Memoria tessile sul filo dei diritti grazia santi_particolareCasa della Memoria e della Storia
via San Francesco di Sales, 5
Roma

Informazione:
tel. 060608 – 06/6876543

Orario:
dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 20.00

Ingresso libero

a cura di Bianca Cimiotta Lami
con il coordinamento artistico di Lydia Predominato

Artisti: Cecila De Paolis, Jacopo Lo Faro, Cristina Mariani, Lucia Pagliuca, Diana Poidimani, Lydia Predominato, Giulia Ripandelli, Grazia Santi, Laura Sassi, Patrizia Trevisi

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