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Alessandra Celletti: L’Utopia del sogno

LMB Musica Alessandra Celletti 2017 Working on Satie erik_small-4Con “Working on Satie” Alessandra Celletti celebra i fasti della mitica stagione surreale che col balletto “Parade” nel 1917 proclamò la necessità ironica, gioiosa, rivoluzionaria, di affermare i diritti della libera creatività che attinge all’antirealtà del paradosso onirico.
Dal poema di Cocteau Satie, coadiuvato dal delirio cubista di Picasso, ricostruì il percorso ora umoristico ora grottesco ora elegiaco di una innovativa, scandalosa tessitura armonica che rivelava l’assurda ma vitale irrealtà del Sogno e dei suoi enigmi.

Compositrice fervida e originale, oltre che affermata pianista, Alessandra Celletti ci conduce con l’andamento altalenante e misterioso di frammentarie evocazioni a ricomporre la complessa tela di un “notturno” vagando tra sonno e risvegli, tra i quadri di una immaginaria esposizione (non è già surreale l’invenzione di Mussorgsky?) alla ricerca del magico filo, della traccia fiabesca che ci riporta alla nascosta sostanza del nostro esistere.
I capitoli dell’opera, in irragionevole libera autonomia, in effetti si ricollegano e si manifestano proprio con la logica della apparente assurdità onirica.

Dopo l’omaggio rievocativo a Satie con il picchettare (“the Typewriter”) della macchina da scrivere, l’autrice si immerge letteralmente nella rievocazione (“Landscapes”) di elegiaci paesaggi della memoria dove colori e temperature autunnali ci riconducono a lontane stagioni infantili (il bambino che gioca e continuamente si assopisce).
Con “Faces” si alternano volti e figure di antiche fotografie, riflessioni malinconiche di esistenze sconosciute, voci remote, occhi e sorrisi che riemergono dalla penombra.
Poi le profondità fredde e acquatiche di “the Lake”, i verdi minerali di “Absinthe flowers”, la rievocazione infantile di curiose giostre, il reticolo buio in “the Metal tower”, come di sbarre e inferriate a chiudere il respiro.
Eppoi in “Ectoplasm” le tracce evanescenti di animule, echi languenti di un trascorso, irresoluto esistere.
E ancora, il bizzarro, tutto surreale “Concert in a snowball”, dove la pianista suona sulla tastiera di leggiadri megascheletri, con un intermezzo quasi di sapore chopiniano (una “berceuse”?).
Spirali elicoidali che sprofondano in imbuti terrestri, enigmatici palombari, saltellanti musiche di pianola che si alternano a placide meditazioni.

Una straordinaria passeggiata tutta intrapresa col gusto del libero divagare, lo stupito indagare con occhi infantili la continua sorpresa d’un magico mondo nascosto dietro l’apparenza della comoda, quotidiana realtà.
Una visione musicale in perfetta simbiosi, inscindibile dalla fantasia visiva, dalla geniale improvvisazione pittorica dell’artista Onze che con la compositrice realizza un insolito duetto di richiami e coinvolgimenti che hanno nel comprendersi e realizzarsi quasi la perfezione di un miracoloso “entanglement”.

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Qualcosa di più:

Sopra il cielo, in fondo al cielo, con Alessandra Celletti

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L’atlante segreto di Alessandra Celletti

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Roma Criminale

MP Libri Mala romanaLa mala romana è diversa dalle altre? Beh, intanto non opera una sola organizzazione criminale, come a Palermo o a Reggio Calabria: la capitale è immensa, la periferia è un’ampia zona grigia dove si può essere delinquenti e lavoratori allo stesso tempo e si direbbe che c’è posto per tutti, sia italiani e stranieri. In più, manca una vera gerarchia e la banda della Magliana sembra più un mito che una reale piramide: il malavitoso romano tende a formare bande temporanee, è un anarchico e – tenendo il conto di quanti di loro muoiono poveri dopo colpi milionari – nemmeno è un’aquila. Ma Roma è anche la capitale dei fattacci più neri e questo libro, scritto da un commissario e da un giornalista, oggi entrambi in pensione, ripercorre il peggio della Roma degli anni ’80 e ’90 e oltre. Altri tempi: poca elettronica, centraline telefoniche analogiche e intercettazioni macchinose. Le videocamere erano meno invasive di oggi e il DNA era roba per l’Università. Reperibilità – senza cellulari – significava turni di 24 ore davanti a un fisso e addio moglie. Attualmente la tecnologia è diventata quasi un feticcio e ha permesso in effetti di risolvere casi difficili o “freddi”, anche se la CIA rimpiange i cocktail party d’ambasciata; ma ancora pochi anni fa si lavorava ancora con i sistemi della vecchia scuola: pedinamenti, informatori, torchiate e minacce, ricognizioni suola e tacco e in più quella strana familiarità che c’è sempre stata tra guardie e ladri. La realtà di una questura non è come nei film e chi è stato anche una sola volta a San Vitale se ne accorge subito: si passano ore a buttar giù verbali, interrogare i sospetti, confrontare foto segnaletiche, altro che inseguimenti per strada con la pistola in pugno, che qui comunque non mancano. Un’auto civetta della Mobile viene persino fermata dai Carabinieri per quanto “barabba” sono i poliziotti a bordo. Come al solito, tra Madama e la Benemerita non c’era mai stata una vera collaborazione. Ma andiamo oltre. Montalbano si occupa di un omicidio per volta, ma Roma non è Vigata e la squadra omicidi segue invece anche quindici casi tutti insieme, né è vero che il crimine paga sempre: c’è chi se l’è squagliata col malloppo o non è mai stato identificato, come a via Poma. In più c’è una scia di morti ammazzati forse riconducibili a singoli episodi criminali, ma resta sempre una zona grigia. Infine, in questo libro la magistratura non ci fa bella figura e le polemiche non sono neanche tanto velate. Come dice la mafia cinese, “Testa di dlago e coda di selpente”.

Ma chi sono gli autori e protagonisti di questo spaccato sulla Roma criminale? Il poliziotto è Antonio Del Greco, ex dirigente della Omicidi e di altre sezioni della squadra mobile romana, 88 casi risolti e una sfilza di attestati per il suo intuito e impegno, mentre Massimo Lugli è un giornalista di ‘nera’ e scrittore. Ancora in tempi recenti i cronisti del Messaggero erano di casa in Questura, persino sulla scena del crimine era facile vedersi intorno i curiosi e tra poliziotti e stampa c’era un tacito accordo: le confidenze integravano i “mattinali” e ognuno sapeva fin dove poteva arrivare e quello che si poteva scrivere, pena lo scarico.

Ma torniamo ai fatti, anzi ai fattacci. Anche se gronda sangue e violenza, il libro è persino divertente, tra il noir e la farsa. Grotteschi i “cassettari” catturati mezzi nudi e puzzolenti mentre scappano per fogne e tombini dopo aver tentato il colpo al caveau; pasoliniano il “gattaro” che fa a pezzi il falegname; comiche le scuse dei delinquenti arrestati in flagrante, soprattutto quelli che entrano ed escono da Regina Coeli; pittoreschi da sempre i vari soprannomi dei balordi romani, puntualmente ricamati dal Messaggero. Più subdoli i truffatori, dalle mezze tacche di strada ai Madoff dei Parioli, ma è quasi noiosa la frequenza del loro giro: pezzi di vetro rifilati alle vecchiette, macchine di lusso e appartamenti in asta giudiziaria per la fascia alta. Neanche un rigo sugli zingari, ma parecchio da dire sulla mafia cinese, che aveva da poco iniziato a pelare i propri connazionali ed era quasi impenetrabile: la rete di confidenti della Questura non conosceva certo i dialetti cinesi né le modalità delle Triadi. Né erano ancora dilagati i centri di massaggi, oggi periodicamente chiusi dalla polizia per ovvi motivi.

Alcuni casi ce li ricordiamo benissimo: il Canaro, via Poma, Jonny lo Zingaro, la Banda della Magliana, qui tutti seguiti “sul campo”. E qui saltano fuori documenti inediti, foto scattate dal fotografo Mario Proto sulla scena del delitto, commenti a caldo e la soddisfazione di aver risolto la matassa. Altri casi sono meno eclatanti: l’eredità contesa, i giri di escort all’Hilton, i soldi falsi e altri “bidoni”. A Roma si sparava tanto, ora meno, visto che è più redditizio clonare carte di credito che rapinare un benzinaio o il farmacista, roba da tossici Il commissario e il giornalista sono accomunati dal fiuto e anche dalla competenza di chi vive per strada. E anche da qualche botta diciamo di fortuna.

A margine, si trova anche un utilissimo glossario “poliziese-italiano”, con la spiegazione delle espressioni gergali e giudiziarie, o anche degli “orrori grammaticali”, utilizzati per restituire una narrazione dei fatti quanto più fedele possibile alla realtà.
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Città a mano armata
Massimo Lugli, Antonio Del Greco
Editore: Newton Compton, p. 319, 2017

EAN: 9788822700131
Prezzo: euro 9,90 e-book 4,99

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Manchester e la sua memoria operaia

AP OlO Manchester 2Se Londra, con la “Gloriosa Rivoluzione” del 1649, è il luogo di nascita della democrazia moderna e del parlamentarismo come sistema politico, Manchester lo è della Rivoluzione Industriale, del movimento operaio e della lotta di classe contemporanea.

Fondata nel 79 d. C. dal governatore romano Giulio Agricola, con l’immigrazione di una folta comunità fiamminga nel XIV secolo, la città inaugurò quella che sarebbe diventata la sua grande tradizione tessile. Il famoso telaio idraulico inaugurato nel 1769 da Richard Arkwright nel suo cotonificio (una cui riproduzione è esposta al Museum of Science and Industry) segnò il destino economico della città (che venne ribattezzata Cottonopolis) e della regione (il Lancashire), dando il via a quella rivoluzione industriale che cambiò la faccia del mondo.

Manchester fu però non solo la prima capitale economica del nuovo capitalismo industriale, ma anche – e di conseguenza – quella della formazione dei primi nuclei di classe operaia. Fu ai lavoratori mancuniani e alle loro drammatiche e degradate condizioni di vita che Friedrich Engels guardò quando scrisse il suo celebre saggio, La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845), in cui il nuovo ambiente industriale veniva dipinto come un inferno sociale dove i lavoratori, mal pagati e affamati, morivano negli slums, negletti, disprezzati e coartati da una borghesia che li considerava oggetti e non esseri umani. Da questa condizione di subalternità pian piano maturò quella che più tardi venne chiamata la “coscienza di classe”. Il movimento operaio nacque e si sviluppò in tutta la Gran Bretagna attraverso varie fasi: la rivolta individuale; il luddismo; il tradunionismo e gli scioperi; il cartismo; le organizzazioni sindacali e le teorie socialiste.

A duecento anni di distanza il tessuto economico e sociale della città è radicalmente cambiato, non senza profonde crisi: nel secondo dopoguerra la filiera del tessile fu sostanzialmente spazzata via dalla concorrenza asiatica e statunitense, ma fu sostituita da quella dell’informatica (il primo computer fu costruito proprio a Manchester nel 1948). Dopo la depressione degli anni Ottanta, la città vide poi una profonda ristrutturazione urbanistica che la rilanciò come importante centro turistico e soprattutto culturale (con tre sedi universitarie). Ciò non ha, però, impedito alla comunità mancuniana di mantenere e preservare la propria memoria.

 

Un corteo lungo duecento anni di storia

AP OlO Manchester People_s History Museum«Join a march through time following Britain’s struggle for democracy over two centuries»: con questa frase si apre la presentazione del People’s History Museum sul proprio sito web. Allestito in un edificio che nell’epoca edoardiana (1901–1910) era adibito a centro di pompaggio, il museo di sviluppa su due piani in rigoroso ordine cronologico.

Al primo piano lo spazio è suddiviso in cinque sezioni. Revolution (1780-1840), è la parte dedicata alla rivoluzione industriale e alle prime grandi battaglie per il suffragio universale (come quella del 1818-1819 proprio a Manchester, che culminò in una manifestazione di 80mila persone duramente attaccata dall’esercito che fece 11 morti e centinaia di feriti, il famoso “Massacro di Peterloo”). In questa sezione trovano posto anche oggetti personali appartenuti a personalità di spicco del movimento democratico e rivoluzionario di allora, come la scrivania sulla quale Thomas Paine scrisse il suo I diritti dell’uomo (1791). Reformers (1786-1846) è invece lo spazio dedicato alla formazione dei primi due grandi partiti politici, i liberali (Whigs) e i conservatori (Tories), al Great Reform Act (1832) la legge sulla rappresentanza del popolo, e al Cartismo. Workers (1821-1930) e Voters (1880-1945) sono le sezioni più ampie del primo piano. In un tripudio di stendardi sindacali, ma anche di manifesti di propaganda ed elettorali, in questi spazi viene ricostruita la storia delle forme di organizzazione del movimento operaio, dalle prime società segrete, ai sindacati di mestiere, dai primi sindacati industriali al partito laburista e comunista (ma ci sono anche spazi dedicati alla propaganda conservatrice e liberale sui temi del lavoro). Questa parte, che raccoglie anche l’esposizione dedicata alla battaglia del movimento delle donne per il diritto al voto, si conclude con il periodo della seconda Grande Depressione e dei due conflitti mondiali. Infine, al centro della galleria è presente un piccolo teatro, dal quale si possono vedere o ascoltare brevi ricostruzioni audio-video degli eventi caratterizzanti l’esposizione.

Al secondo piano la galleria è costituita da quattro sezioni. Citizens (dal 1945 ai giorni nostri), raccoglie fotografie, manifesti, striscioni, prime pagine di giornali che riassumono la storia delle lotte democratiche e sociali del secondo dopoguerra britannico: dall’epoca del Welfare State e dell’introduzione del Servizio Sanitario Nazionale a quella del “consenso” ai partiti (1946-1979), dal Thatcherismo alla crisi della politica tradizionale, dall’esplosione dell’immigrazione alle grandi lotte per l’eguaglianza (in particolare i diritti della comunità LGBTQ), per la pace, contro la Poll Tax e contro il nucleare, fino ai grandi scioperi fra i quali giganteggia quello dei minatori del 1984. Banners è una parte dedicata agli striscioni e agli stendardi che, come un po’ nella tradizione militare, venivano issati alla testa della grandi manifestazioni sindacali, pacifiste e per i diritti civili. Accanto a questo spazio è possibile visitare il Textile Conservation Studio, dove per l’appunto vengono conservati e restaurati gli stendardi esposti all’interno del museo. Infine, con Time Off? l’esposizione si conclude con una sezione dedicata alla lotta per la riduzione dell’orario di lavoro, al sindacato dei calciatori, alle società di mutuo soccorso e al movimento cooperativo. A salutarci mentre usciamo dalla galleria, un juke-box d’epoca manda a getto continuo canzoni di lotta, ma anche brani di musica pop che hanno caratterizzato i movimenti sociali in Gran Bretagna e le loro lotte.

Ma il People’s History Museum non finisce qui: oltre agli spazi per mostre temporanee, allo shop e alla caffetteria del piano terra, nel seminterrato è possibile visitare il vasto archivio, dove vengono raccolti documenti (anche interni), giornali, riviste, pubblicazioni del movimento operaio e democratico, del Partito Laburista e del Partito Comunista.

 

Esplorare il passato per cambiare il presente

AP OlO Manchester 1«Explore the past. Change the future». Questo invece è l’incipit sul volantino informativo della Working Class Movement Library. Situata a Salford, nella contea di Greater Manchester, la biblioteca è stata costruita negli anni Cinquanta del secolo scorso a partire dalla collezione personale di Ruth e Edmund Frow, militanti comunisti, e ora detiene decine di migliaia di libri, opuscoli, archivi, manifesti, striscioni, giornali, dipinti, fotografie, fumetti e molto altro ancora. La collezione copre documenti che riguardano temi che vanno dalla vita lavorativa a quella politica, dalla vita sindacale a quella sportiva. Che si tratti di un ricercatore o una ricercatrice,  che si venga mossi da semplice curiosità per i grandi eventi o la vita comune del passato, chiunque (l’accesso è libero) può non solo consultare l’enorme mole di materiale raccolto nella biblioteca, ma anche partecipare ai numerosi eventi gratuiti che lì vengono organizzati. Entrando nell’edificio, è possibile prendere visione della vasta gamma di documenti collezionati attraverso il display presente al piano terra. Fra questi: 1) le grandi campagne politiche del Paese, dal Cartismo al “Grande Sciopero Generale” del 1926, fino alle proteste più recenti; 2) il lavoro e la vita delle persone che hanno lavorato in fra la fine del XVIII e il XIX secolo (le operaie delle fabbriche di spazzole, i lavoratori della seta, i sarti, i calderai, ecc.); 3) le storie drammatiche di coloro che hanno lottato per le trasformazioni sociali – come Benny Rothman, il militante della Youth Communist League che nel 1932 guidò l’occupazione delle terre di Kinder Scout nel Derbyshire, per affermare il diritto di poter accedere alle aree di aperta campagna (all’epoca vietato); 4) altri importanti eventi come il Massacro di Peterloo, la storia dell’indipendentismo irlandese, la guerra civile spagnola.

Per concludere, il People’s History Museum e la Working Class Movement Library non solo sono due fra i maggiori istituti culturali della città, ma, attraverso metodologie espositive  e strategie comunicative che sfruttano a piene mani anche le nuove risorse digitali, riescono a garantire e preservare la memoria operaia e democratica della città (e del Paese), come confermano le numerose visite, non solo di studiosi e ricercatori, ma di scolaresche e di gruppi di giovani provenienti da tutta l’Inghilterra.

Biblioteche: La carta in Rete

Eitoriale Digitare la conoscenza Libri

Il Ministro dei beni e delle attività culturali, Dario Franceschini ha scelto la conferenza “Cultura e turismo per la crescita del Paese”, presso l’Accademia dei Lincei, per dare l’annuncio che l’ICCU verrà dotato del servizio Digital Library, il quale coordinerà i programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale, elaborerà il piano nazionale di digitalizzazione e ne curerà l’attuazione, anche in collaborazione con altri enti pubblici o privati. Grandi pacche sulle spalle e congratulazioni a non finire per il provvedimento che il Ministro ha firmato a marzo per finanziare con due milioni di euro la nascita della Digital Library Italiana. Un lodevole proposito quello del Ministro, ma se l’iniziativa fosse stata battezzata Biblioteca Digitale, nessun motivo per sottolinearne la nazionalità.

L’Italia s’impegna dunque a valorizzare il patrimonio d’immagini conservato nei 101 Archivi di Stato, nelle 46 biblioteche statali e negli archivi fotografici delle soprintendenze. Ma piuttosto che varare Digital Library Italiana, non era più logico potenziare il Sistema bibliotecario nazionale (SBN) http://www.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/free.jsp, magari ampliandone i servizi? SBN non discrimina le biblioteche in base alla gestione (statale o enti locali, etc.), ma permette di offrire in qualsiasi luogo del mondo i propri servizi e acquisire informazioni su milioni di pubblicazioni conservate in strutture piccole e grandi.

Proprio quelle che meriterebbero più risorse. Infatti il Ministro afferma che quel patrimonio è “un bene ineguagliabile di enorme valore culturale che nell’era della rete ha anche un valore economico considerevole”, ma lascia finanziamenti irrisori ad Archivi e Biblioteche di Stato, strutture fisiche con materiale cartaceo e personale in carne e ossa. E proprio l’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane) http://www.iccu.sbn.it/opencms/opencms/it/ ha fatto notare al Ministro che si sta varando ennesimo pirotecnico progetto, un gran bel fuoco d’artificio che abbaglia, ma non prende in considerazione la realtà del patrimonio culturale italiano. Prima di digitalizzare è necessario conservare e per farlo bisogna avere dei luoghi idonei e del personale con le attrezzature adatte per tradurre il patrimonio cartaceo adattandolo alla consultazione in Rete.

Rete già piena di relitti: nulla si è più saputo del coinvolgimento e Argentina Buenos Aires letture sotto terra permite_descargar_mas_de_200_libroscontributo italiano nel World Digital Library www.wdl.org/en che nel giugno del 2011 era stato presentato dall’allora Ministro Galan. Un progetto gestito dalla Library of Congress of Washington https://www.loc.gov/, con il patrocinio dell’UNESCO, e in collaborazione con centinaia d’istituzioni nel mondo, indirizzato ad ampliare gli orizzonti del sapere, grazie ad una biblioteca digitale multilingue. Da non dimenticare poi l’esperienza di Internet Culturale http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/index.html.

Era il portale di Stato inaugurato nel 2005, che s’inseriva nel quadro del progetto “Biblioteca digitale italiana” risalente al 2001, con l’obiettivo di rendere disponibili i cataloghi e parte delle informazioni contenute nelle biblioteche pubbliche. Un portale web promosso dagli addetti ai lavori di allora (Salvatore Italia, Capo Dipartimento per i Beni Archivistici e Librari e Luciano Scala Direttore Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali) per il Servizio bibliotecario nazionale, tenendo invece ai margini Ministro di allora Rocco Buttiglione, peraltro più preparato di altri.

Ma torniamo alla World Digital Library (WDL). Essa mette gratuitamente a disposizione sul Web materiali che testimoniano le diverse culture del mondo. Manoscritti, lettere, carte geografiche, stampe, giornali, libri rari, documenti, filmati, registrazioni sonore, manifesti e illustrazioni sono messi a disposizione da istituzioni di tutto il mondo, mentre la Digital Library italiana vuol essere originale e far pagare il sapere.

Sembra dunque che in Italia, più che in altri Paesi, i portali Web hanno la capacità di moltiplicarsi sulle stesse tematiche per poi rimanere sospesi nel nulla. Un modo come un altro per far apparire il politico di turno estremamente efficiente nello spendere e spandere, mentre i fondi speciali nelle biblioteche degli enti locali sono lasciati alla rara sensibilità di amministratori senza soldi o alla ottusità di personaggi pavidi e poco interessati alla valorizzazione il patrimonio librario come bene comune da condividere.

Gianleonardo Latini – Marco Pasquali
(Librarians and Digital publications)

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Digitare la conoscenza

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La Belle Epoque al Vittoriano

Mostre Boldini - Franca Florio aLa pittura sontuosa ed elegante, le linee sinuose, le dolci cromie di Giovanni Boldini sono in mostra al Vittoriano; sono esposte circa 130 opere provenienti da almeno 30 musei italiani ed esteri e da altrettante collezioni private; sono in mostra anche una trentina di dipinti di artisti suoi contemporanei per un utile ed interessante confronto. E’ una rivisitazione dell’arte del pittore alla sua epoca di grande fama ed poi purtroppo un po’ in ombra e che la mostra si incarica di riabilitare completamente. Il Boldini nacque a Ferrara nel 1842 e fece il suo apprendistato con il padre, pittore di tipo accademico, fu poi a Firenze a contatto con l’ambiente dei Macchiaioli di cui per qualche tempo seguì lo stile. Il salto di qualità lo fece trasferendosi a Londra dove acquistò larga notorietà come ritrattista dell’alta società.

Nel 1871 si spostò a Parigi, pur con frequenti viaggi in Europa, frequentando gli Impressionisti ed appoggiandosi alla Maison Goupil dell’omonimo importante mercante d’arte; attraverso la Contessa Gabrielle de Rasty, che divenne sua amante, entrò in contatto con la nobiltà e l’alta borghesia parigina. Assieme ai suoi compatrioti De Nittis e Zandomeneghi, un trio noto come “les Italiens de Paris” si specializzò nella ritrattistica effigiando i maggiori esponenti della vita mondana e della cultura internazionale. Si distinse per una eccezionale abilità tecnica, per l’uso accattivante del colore, per le linee dolci, caratteristiche che fecero di lui un maestro nell’interpretazione dell’eleganza femminile e dei costumi dell’alta società del suo tempo. Per molti anni fu uno dei pittori più richiesti dai committenti, apprezzato e corteggiato dal bel mondo fino a diventare uno dei simboli della Belle Epoque.

La Grande Guerra e gli epocali mutamenti sociali ed economici intervenuti negli anni Venti del ‘900 spazzarono via il suo mondo di grazia, di stile, di eleganza e misero in ombra il Boldini che morì a Parigi, quasi novantenne, nel 1932.

La mostra si articola in quattro sezioni: la prima, “la luce nuova della macchia” (1864-1870), riguarda il suo primo periodo fiorentino e i rapporti con i Macchiaioli, la seconda, “La Maison Goupil tra chic e impressione” (1871-1878), tratta dei suoi esordi parigini e dei suoi contatti con gli Impressionisti, la terza, “la ricerca dell’attimo fuggente” (1879-1890), è relativa al suo periodo di maggior fama ,alla quarta infine, “Il ritratto della Belle Epoque” (1892-1924), appartengono gli anni dei grandi ritratti, tra cui quello di Giuseppe Verdi, con un ripetersi di immagini sensuali, colorate, piene di vita. Le donne sono bellissime, con lunghi colli flessuosi, con forme generose, gli uomini seri, austeri, con un’eleganza semplice e severa. I suoi ultimi dipinti, di poco anteriori alla guerra. Risentono di un qualche influsso delle nuove mode, quali il futurismo di Boccioni, quasi un tentativo di “adeguarsi” con colori stridenti ed ampie linee di movimento. Ma ormai l’arte del Boldini era al tramonto, la Storia aveva distrutto il suo mondo, le Avanguardie artistiche demolivano la figura, annullavano il disegno, scomponevano il colore.

La mostra è un susseguirsi di immagini piacevoli e, soprattutto nelle sezioni terza e quarta, una sfilata di ritratti femminili di grande fascino. Tra loro spicca quello della Baronessa Franca Florio che ha una storia interessante; fu dipinto nel 1901 ma non fu apprezzato da Don Ignazio che trovò il ritratto troppo scollato e provocatorio e sostituito nel 1903 da un altro successivamente sparito.

Il primo, conservato nello studio del Boldini, fu acquistato anni dopo da Donna Franca ma nel 1928, a seguito della bancarotta dei Florio, fu venduto e dopo diversi passaggi è finito nella raccolta Bellavista Caltagirone a cui è stato confiscato a seguito di una procedura giudiziaria; è eccezionalmente esposto in mostra e poi andrà in asta. Accanto ai dipinti sono esposte una quarantina di lettere scritte dal Boldini a Telemaco Signorini nel 1889 nella sua qualità di presidente della commissione d’arte per la sezione italiana dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889.

La mostra è stata organizzata da ARTHEMISIA Group e dall’Assessorato alla Crescita Culturale del Comune di Roma.
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GIOVANNI BOLDINI
Dal 3 marzo al 16 luglio 2017

Complesso del Vittoriano
Roma

Orario:
da lunedì a giovedì 9,30 – 19,30
venerdì e sabato 9,30 – 22,00
domenica 9,30 -20,30
la biglietteria chiude un’ora prima

Catalogo
SKIRA

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