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Due piccole chiese molto simili

chiese-ss-callisto-e-egidio-img_20161101_073055Grosso modo a destra e a sinistra della basilica di Santa Maria in Trastevere si trovano due chiese abbastanza simili per aspetto e per buona parte della loro storia: San Callisto e Sant’Egidio. La prima si trova nell’omonima piazza e sorge sul luogo dove per tradizione si ritiene sia stato martirizzato San Callisto Papa, ucciso e gettato in un pozzo durante tumulti anticristiani intorno al 220 d.C.. Si ha notizia di un originario oratorio edificato durante il pontificato di Papa Gregorio III nell’VIII secolo e più volte restaurato nel corso del medioevo.

Nel 1610 per opera dell’architetto Orazio Torriani la chiesa fu completamente ricostruita e decorata sulla facciata con lo stemma di Paolo V papa regnante all’epoca, a fianco, nel Palazzo San Callisto, fu sistemato un monastero Benedettino. L’aspetto esterno è di tipo tardo cinquecentesco suddiviso in due ordini, l’inferiore è spartito da quattro paraste con al centro il portale sovrastato da un timpano.

L’interno è ad una navata con una cappella per lato: nella cappella di destra è posto un dipinto rappresentante “ San Mauro Abate” ,opera di Pier Leone Ghezzi, affiancato da due angeli ritenuti opera di Bernini e della sua bottega, in quella di sinistra il “Martirio di San Callisto” dei primi decenni del ‘600, sull’altar maggiore “San Callisto ed altri Santi adorano la Vergine” di Avanzino Nucci anch’esso dei primi del XVII secolo.

Accanto il pozzo dove fu gettato il santo. Dopo il 1870 il monastero fu confiscato ed adibito a caserma; restituito alla Santa Sede fu in parte demolito insieme ad alcune case private, fra cui quella in cui nacque Alberto Sordi; al suo posto, durante il pontificato di Papa Pio XI, fu costruito nel 1936 un imponente palazzo, nello stile dell’epoca, destinato ad accogliere uffici vaticani e godente di extraterritorialità.

La chiesa è abitualmente chiusa ma fino ad alcuni anni fa era stata affidata alla comunità copta cattolica egiziana che si è poi trasferita. Per eventuali visite ci si può rivolgere al Vicariato.

chiese-ss-callisto-e-egidio-img_20161101_072411L’altra chiesa, Sant’Egidio, si trova nell’omonima piazza ed ha anch’essa una storia molto antica; in un documento di Callisto II del 1123 risultano nella zona due chiesette citate come S. Lorenzo de Curtibus e S. Biagio de Janiculo, in seguito è nota la chiesa dei Santi Crispino e Crispiniano di proprietà della Confraternita dei Calzolai.

Nel 1610 il ricco macellaio trasteverino Agostino Lancellotti fece riedificare la chiesa dandole la nuova dedicazione a Sant’Egidio, contemporaneamente, su intercessione di una principessa Colonna, Papa Paolo V Borghese autorizzò la costruzione vicino alla chiesa di un monastero che fu affidato alle Carmelitane Scalze. Nel 1630 con l’autorizzazione di Papa Urbano VIII Barberini fu completato il monastero e ricostruita la chiesa dedicata a Sant’Egidio e alla Madonna del Carmine.

Dopo il 1870 chiesa e monastero furono confiscati ed affidati al Fondo Edifici del Culto; le monache, molto ridotte nel numero, hanno abbandonato la loro antica sede che in parte è stato destinata dal Comune di Roma ad ospitare il Museo di Roma in Trastevere che contiene numerosi reperti di vario genere illustranti la vita e la società della Roma del 7/800. Nella rimanente parte dell’edificio dal 1973 ha sede la Comunità di Sant’Egidio, meritoria associazione cattolica che si occupa del dialogo interreligioso e dell’assistenza a tutte quelle persone che le vicende della vita hanno relegato ai margini della società: poveri, disabili, migranti, senzatetto.

La facciata della chiesa è ad un solo ordine, scompartita da paraste giganti che terminano in un frontone aggettante; l’interno a navata unica con volta a botte ha una cappella per lato. In quella di sinistra, sull’altare, una tela di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, del 1610, rappresentante “Sant’Egidio abate”. Sull’altar maggiore e nel presbiterio varie icone di tipo bizantino sistemate dalla Comunità per esaltare il rapporto con le altre chiese cristiane; sull’altar maggiore l’Icona del Volto di Cristo o Mandylion, tavola dipinta di origine Russa del ‘600 riproducente un panno che avrebbe avuto impresso il volto di Cristo, nel presbiterio l’Icona della Pentecoste, moderna, e l’Icona della Madonna di Kiev del XVII secolo. Su una parete un Cristo ligneo senza braccia detto “ il Cristo dell’Impotenza”. Ai lati della porta d’ingresso due bei sepolcri seicenteschi. La chiesa è visitabile il sabato dalle 10 alle 12.

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Roma

San Calisto
Piazza di San Calisto, 16
Tel. 06/69886466 (Vicariato)-06/5895945

Sant’Egidio
Piazza di Sant’Egidio
Tel. 06/5895945

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Il magico e il sacro a Trastevere ricordando la peste

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Pronti per viaggiare con le ali

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Siete pronti per un viaggio che vi porterà ben oltre le pagine di un libro? Forse a romanzo conlcuso non troverete nessuno che vi dirà “ben tornati”, ma può darsi che tornerete comunque alla realtà con quella sensazione che può lasciare solo una piacevole lettura.

Il romanzo di cui si sta parlando è “Chiedi alla luce” scritto dall’autore nostrano Tullio Avoledo, autore che è riuscito con innegabile maestria a creare queste sensazioni tangibili pagina dopo pagina, le sensazioni di essere un po’ qui un po’ altrove accanto al protagonista Gabriel, uno che di viaggi (e di donne) se ne intende.

Istanbul, Parigi, Mosca, Budapest e altre ancora sono le città dove Gabriel ci porta, ma se pensate di vedere le “solite” capitali  delle guide turistiche dimenticatelo subito, perchè la luce sotto il quale il protagonista le racconta è una luce completamente diversa.

Chi è quindi Gabriel? E’ un Archistar prima di tutto, famoso in tutto il mondo per le sue bellissime opere architettoniche ma, non meno importante, anzi tutt’altro, Gabriel è… un angelo, l’Arcangelo per eccellenza, quello che ha calato la sua mano su Sodoma tanto per internderci. E cosa ci fa, vi chiederete, l’angelo della morte nelle vesti di un ricco architetto? Bè, sembra che a momenti non lo sappia neppure lui, ma sembra anche che a tratti se lo scordi, così come a tratti potremmo scordacelo anche noi che leggiamo. L’unica cosa che ogni tanto sottolinea è che porre fine al mondo sarà compito suo, dettaglio di poco conto insomma. Ma un angelo lo è davvero? Questo solo le pagine del libro possono dirlo ma quello che fa, quello che vede e quello che racconta non fanno certo credere il contrario.

Perchè è vero che magari siete a Istanbul, ma può darsi che un’attimo dopo siete a Istanbul in un’altro tempo e, perchè no, a parlare con un gatto; e che dire di quando a Parigi siete costretti a fare la “voce grossa” quella speciale, per farvi ascoltare da un tizio ostinato? Meglio non andare oltre perchè il resto è tutto un programma, lasciate solo che si parli un attimo di Sabine. Sabine che c’è anche quando non c’è, Sabine che è la bellezza, Sabine che è l’amore e Sabine che è anche dolore. Una donna quindi, e già si è detto abbastanza, ma il modo in cui l’autore attraverso Gabriel la disegna è un qualcosa per cui val la pena di leggere questo libro nella speranza di incontrarla per davvero, sperando che sia lei, alla fine, la chiave di tutto.

La cosa bella però è che anche gli altri personaggi che si incrociano lungo il percorso lasciano sempre quella sensazione che ti spinge a proseguire il viaggio, per scoprire cosa c’è dopo. Personaggi che hanno una storia da raccontare o un passato da dimenticare, ma anche una “condanna” da scontare e chi, ovviamente, ha un futuro da scoprire. La cosa che accomuna tutti quanti è quella pietà che Gabriel prova nei loro confronti, sembra quasi che tutti si trovino sulla sua strada per dargli un messaggio, per fargli afferrare il senso di qualcosa che continuamente gli sfugge. Sarà forse che è la luce giusta quella che gli manca per comprendere il messaggio…? Un percorso lungo e poche pagine alla fine per trovare la risposta a tutto quanto. E che risposta!

Tullio Avoledo non è nuovo nel panorama letterario italiano, tanto che da una sua opera è stato addirittura tratto un film intitolato, come l’opera, “Breve storia di lunghi tradimenti”. E’ sempre un piacere però trovare autori come lui che, romanzo dopo romanzo, continuano a stupire per la loro inventiva e per la loro capacità narrativa.

L’esperienza non manca, e “Chiedi alla luce” ne è la riprova.

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Titolo: Chiedi alla luce
Autore: Tullio Avoledo
Editore: Marsilio (Collana Romanzi e Racconti), 2016, p. 483

https://it.wikipedia.org/wiki/Tullio_Avoledo

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Indagini su Giotto

editoria-stefaneschiNon è una notizia di cronaca nera ma di storia dell’arte. Nell’autunno scorso si è tenuta a Milano, a Palazzo Reale, una mostra su Giotto e, tra i tanti capolavori, è stata esposta un’opera proveniente dalla Pinacoteca Vaticana: il Polittico Stefaneschi.

Si tratta di una grande tempera su tavola in tre scomparti, con una predella divisa in tre parti, dipinta su tutti e due le facciate. Fu commissionata a Giotto e alla sua bottega dal Cardinale Jacopo Stefaneschi, ricco e colto prelato romano, che lo destinò all’altar maggiore dell’antica basilica di San Pietro fatta costruire dall’imperatore Costantino. Era l’anno 1320 e sia il Papa che il Cardinale si trovavano ad Avignone. Nella parte rivolta verso i fedeli nello scomparto centrale giganteggia la figura di San Pietro in trono, avvolto in una splendente veste rossa, affiancato da Angeli e Santi con davanti la piccola immagine inginocchiata del donatore presentato da San Giorgio; dall’altro lato un’altra figuretta identificabile con Papa Celestino V santificato pochissimi anni prima. Lo Stefaneschi, con le mani velate, offre all’Apostolo una piccola ma precisa miniatura del polittico con la sua originaria cornice gotica.

Nei due scomparti laterali due santi per parte identificati da scritte. La predella sottostante contiene una sola tavola, essendo andate perdute le altre due, con dipinti tre santi. La faccia posteriore, che si ritiene rivolta verso l’abside dove si trovavano i sacerdoti, ha al centro la maestosa figura di Cristo in trono sotto un elegante ciborio, con una veste blu, circondato da angeli; di fronte un uomo inginocchiata, forse sempre lo Stefaneschi, in abiti modesti.

Negli scomparti laterali due scene animate, la Decollazione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro con numerose figurette vestite con abiti dai colori squillanti; le tre tavole della predella contengono i dodici apostoli, cinque in ognuna delle due laterali mentre in quella centrale sono dipinti due Angeli, due Santi ed al centro la Madonna con Bambino.

L’iconografia del polittico rispondeva ad una ben precisa strategia, poneva di fronte ai fedeli l’immagine di San Pietro, con in mano una gigantesca chiave, ribadendo il concetto dell’immediata sequenza Cristo, Pietro, Papa in carica che in quanto vicario di Cristo assumeva la veste di prima autorità della Cristianità, superiore all’Imperatore e ai Re, secondo quanto già affermato in precedenza da Gregorio VII e Bonifacio VIII. Il polittico che ha quasi settecento anni, ha avuto una vita lunga, tribolata e. in certi periodi, oscura. Fu istallato sull’altar maggiore e vi rimase per un certo tempo poi, forse dopo il rientro del Papa dalla Cattività Avignonese, nel 1377, potrebbe essere divenuto di ostacolo alla liturgia e quindi spostato, ma le fonti tacciono in proposito; nel ‘500 viene citato nella Sagrestia dei Canonici e successivamente nel ‘600 nell’ Archivio Capitolare utilizzato come dipinto a parete celando la faccia con S. Pietro forse danneggiata e scurita dal fumo delle candele.

Nel 1618 il polittico viene presentato smembrato e ridotto a quadri indipendenti, scomparsa la ricca cornice gotica e forse già da allora due tavole della predella; solo a fine ‘700 il dipinto viene riscoperto e rivalutato, montato su cerniere in modo da essere visibile da ambedue i lati e sistemato nella Sala Capitolare della Basilica. Nel 1931 Papa Pio XI Ratti nell’ambito di lavori destinati a dare un volto definitivo al nuovo Stato della Città del Vaticano scaturito dal Concordato del 1929 fece costruire un edificio appositamente destinato a ospitare i molti dipinti sparsi per i palazzi vaticani; la Pinacoteca fu progettata dall’architetto Beltrami e ad essa fu destinato il polittico che fu restaurato con la supervisione di Biagio Biagetti che non volle creare un falso storico con una cornice gotica posticcia ma ideò un supporto ligneo semplice e lineare che dura tutt’oggi.

Un altro restauro fu fatto tra il 1965 e il 1971 lasciando il dipinto in condizioni tali da non rendere necessari ulteriori interventi. A seguito delle indagini sulle tavole svolte in occasione della mostra di Milano si è giunti alla decisione di predisporre una protezione climatologica del polittico sistemandovi sopra dei vetri speciali che proteggono ma non impediscono la massima visibilità. Altre indagini si sono svolte sulla questione discussa da molti anni sull’intervento della bottega e su quanto del dipinto sia autografo di Giotto; è da tenere presente che le botteghe degli artisti medioevali erano costituite da parecchie persone con differenti specializzazioni, dai garzoni che preparavano colori e tele ai pittori di sfondi e parti secondarie a pittori di qualità con capacità di mimetismo con il Maestro titolare.

Le indagini non hanno dato un risultato definitivo e Giotto è stato “assolto” per mancanza di prove. Il “verbale” delle investigazioni, insieme ad altri interessanti spunti sul polittico, la storia, le vicende costruttive, i restauri, le analisi su singole parti, è contenuto nel libro “Ricerche sul Polittico Stefaneschi. Giotto nella Pinacoteca Vaticana” edito insieme da Edizioni Musei Vaticani ed Electa.

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editoria-stefaneschi_1coverRicerche sul Polittico Stefaneschi
Giotto nella Pinacoteca Vaticana
A cura di Antonio Paolucci, Ulderico Santamaria e Vittoria Cimino
AA.VV.

Presentazione di Antonio Paolucci

Edizioni Musei Vaticani – Electa
Città del Vaticano – Milano 2016

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Arte Astratta- Arte Distratta 2

arte_astratta_distrattaA proposito della pittura astratta, ancora è in auge la logora e sciocca frase dell’ignaro spettatore; “….Ma questo saprei farlo anch’io!”.
Si deve dire che sì, nel passato e forse ancor più oggi, eserciti di mediocrissimi pseudoartisti si sono rifugiati furbescamente in un “astratto” pasticciato, sciatto e volgare, avvalorando l’antica frase di Nietsche a proposito dei falsi profeti; “…che intorbidano l’acqua del catino perché sembri più profonda…”.
Ma noi sappiamo bene che tutti i grandi astrattisti hanno avuto trascorsi figurativi di alta qualità, esperienza e maturità artistica a tutta prova.
L’astratto non è il “refugium peccatorum” degli incapaci, né il gioco aleatorio di chi ancor oggi tira a stupire l’impreparato spettatore.
Se c’è una ricerca che va nel profondo è la ricerca dell’astrazione, essa non è il puro e semplice pretesto di chi è inadeguato per la Realtà ma, al contrario, è il massimo dell’attenzione per il fenomeno, è un Realismo che va oltre la superficie illusoria delle cose, indagando fino alle ultime conseguenze moventi, connessioni e forze che sono alla radice degli eventi universali, perché sappiamo bene che in ogni frammento, pur apparentemente insignificante, si cela il senso e la ragione del Tutto.
Perché le leggi dell’Assoluto si manifestano allo stesso modo nell’infinitamente piccolo come nell’infinitamente grande.

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Dello stesso argomento:

ARTE ASTRATTA E ARTE DISTRATTA 1

DISINCANTATA RIFLESSIONE SU CERTA ARTE CONTEMPORANEA

EVOCAZIONE ED AMBIGUITÀ NELL’OPERA D’ARTE

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L’ISIS e i gatti

olo-isis-e-i-gatti-gatto-islamMai più gatti in casa. La notizia di una fatwa – sentenza religiosa – emessa dallo Stato islamico a Mosul, roccaforte irachena del Califfato ora sotto assedio, arriva dal giornale inglese Daily Mail, che cita la tv satellitare Al Sumaria, che la riprende a sua volta da Iraqi News. Andiamo dunque alla fonte.

Testo: (IraqiNews.com) Nineveh – Al Sumaria News reported on Tuesday that ISIS issued a fatwa in Monsul <sic> to forbid indoor cat breeding. Al Sumaria News stated, “The so-called Islamic State’s Central Fatwa Committee issued a fatwa (Islamic legal decree) prohibiting the breeding of cats inside houses in Mosul.” “ISIS called on the residents of Mosul to obey the fatwa and not violate it,” Al Sumaria explained. “ISIS issued dozens of fatwas in Mosul based on its vision, ideology and beliefs,” Al Sumaria added. The Islamic State group (ISIS) relies on a central committee to issue fatwas; it is comprised of influential clerics and figures from the terrorist group.

Dunque la notizia l’ha data per prima la rete televisiva Al Sumaria, la quale ha un sito ufficiale in arabo e in inglese.

Questa rete televisiva è molto professionale e relativamente liberale:

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le speaker p.es. non sono velate, e solo a scorrere i titoli scopriamo che il mondo islamico è molto meno schematico e rigorista di quanto siamo abituati a pensare. Inoltre, il sito è pieno di servizi giornalistici trasmessi da zone dove noi occidentali abbiamo pochi corrispondenti, quindi anche in futuro vale la pena di seguire questa rete simile ad Al-Jazeera. Non sono riuscito però a trovare la notizia sui gatti, anche se è registrata una buffa fatwa dell’Arabia Saudita che vieta dal 2015 i pupazzi di neve perché simili a idoli antropomorfi. Dove trovano la neve per farli non lo spiega. Questo però dà l’idea dello spirito che anima la rete televisiva: rispetto della religione islamica ma spirito liberale. Per saperne di più sulla proprietà, sulla redazione e sui paesi coperti c’è Wikipedia (voce solo in inglese e arabo)

E a rileggere il comunicato riportato da IraqiNews si dice che di fatwe l’Isis ne ha sfornate a dozzine e che a deciderle è un ristretto gruppo di chierici e capi terroristi.

Le principali testate italiane hanno quindi amplificato la notizia, parlando di caccia e sterminio felino dopo la direttiva impartita dagli uomini del califfo Abu Bakr al Baghdadi. In realtà Mosul è sotto assedio e a pochi giorni dalla battaglia finale gli uomini dell’Isis hanno ben altro da pensare che andar per gatti.

olo-isis-e-i-gatti-schermata-2014-08-26-alle-14-15-13-770x721-copiaAllora è una bufala? Visto che nessuno può andare oggi a Mosul a controllare, proviamo a ragionare. Intanto si parla di divieto ma non di strage felina. Strano: il gatto non è per l’Islam un animale impuro, come il cane o il maiale. Il presidente afghano Karzai si lamentava con i soldati americani perché entravano a rastrellare le case introducendo i cani, un’offesa grave per loro ma incomprensibile per noi. Purtroppo non m’intendo di teologia o diritto islamici e quindi non posso dire nulla sui gatti, ma è anche vero che l’Isis ha p.es. trasformato quest’anno il ramadan, mese della preghiera, del digiuno, della meditazione e della purificazione in un mese di guerra santa agli infedeli. E’ una radicale innovazione – eretica o fondamentalista – che dovrebbe aver suscitato anche discussioni all’interno dell’Islam stesso. E i gatti? Non è rara all’interno dell’islam la tendenza a smorzare quei tratti culturali che possono essere sentiti come identità altra rispetto alla loro. E qui più che il Corano conta la stratificata tradizione del diritto consuetudinario islamico, fatto di migliaia se non milioni di sentenze, detti, prese di posizione dei saggi e leggi tribali.

Ma il problema è che l’informazione da noi si è fatta subito propaganda: delle vittime civili nello Yemen o ad Aleppo o a Mosul infatti poco ce ne cale, ma guai a toccare gli animali. E qui voglio aprire una parentesi forse sgradita.

“Poche idee, primitive, ma ripetute di continuo e amplificate dai moderni mezzi di comunicazione”. Non è la descrizione dell’ISIS ma del nazismo, fatta a suo tempo da George Mosse, il maggiore storico della moderna storia politica tedesca. Mentre verso il nazismo la gente normale prova una repulsione istintiva (perlomeno dopo aver visto le immagini dei campi di sterminio o di altri crimini di guerra), lo stesso non si può dire delle violenze perpetrate dal c.d. Califfato nelle zone occupate. C’è da parte della gente comune un atteggiamento misto d’indifferenza, rassegnazione e paura, ma non odio o rigetto. Eppure in televisione e in rete abbiamo visto di tutto, dagli sgozzamenti degli infedeli alla distruzione dei villaggi, dai proclami violenti alla guerra santa, dall’addestramento dei bambini alle bandiere nere. Forse che una parata della Hitlerjugend era diversa? Eppure le reazioni non sono le stesse, anche se è vero che il nostro odio verso il nazismo è maturato dopo una guerra europea e settant’anni di educazione scolastica e civile. Si direbbe invece che l’islamismo radicale non sia stato ancora metabolizzato al punto di creare anticorpi.

Uno dei motivi è sicuramente la distanza culturale. L’Islam è l’ultima grande religione monoteistica e si pone come superamento dell’ebraismo e del cristianesimo, ma delle tre è in realtà la più arcaizzante, e il tentativo dell’ISIS di riportare l’Islam alle sue origini – in realtà è un mito politico – peggiora le cose, visto che la modernità non può essere governata con le leggi che si erano dati gli allevatori nomadi mille se non duemila anni fa.

L’altra osservazione è che il dissenso non ha la reale possibilità di esprimersi in modo corretto. Partiamo dall’espressione “islamofobia”. Perché mai un atteggiamento politico dev’essere ascritto a categorie legate alla psichiatria? Chi dissente è forse un instabile mentale o un “asozielle Element”, come dicevano i nazisti? Nessuno ha mai definito Togliatti e Pertini “fasciofobi”. Come si vede, etichettare il dissenso non porta molto lontano ma fa comodo. Ma nel momento in cui i vari governi occidentali mantengono una sostanziale ambiguità verso chi finanzia il terrorismo internazionale o temono per l’incolumità dei depositi bancari prima ancora che di quella dei cittadini, mantenere basso il livello della polemica è strategico.

Terzo elemento, l’ambiguità di una certa “intelligencija”. I movimenti islamisti sono nati come anticoloniali, a cominciare dai Fratelli Musulmani, che in Egitto sono attivi e ben strutturati almeno dagli anni ’30 del secolo scorso, quindi hanno avuto la benedizione delle forze democratiche internazionali. La rivolta antioccidentale usa la religione in realtà da pochi anni, ma qualcuno sembra essersi dimenticato del laico marxismo-leninismo e sottovaluta l’estraneità della strumentalizzazione religiosa nella costruzione della modernità. In più, l’Islam tutto è meno che una cultura subalterna da proteggere. E’ una contraddizione dalla quale non si è ancora usciti.

Infine, i sensi di colpa per gli errori culturali e strategici recenti: cosa vuole dire “Islam moderato”? E in Siria chi sono realmente i guerrieri finanziati dagli USA? Tutti sappiamo che i Talebani sono stati creati proprio da loro per combattere i sovietici, salvo poi pentirsene amaramente. Se dalla Siria all’Iraq è saltato l’equilibrio raggiunto negli anni ’20 del secolo scorso – equilibrio fissato dalle potenze europee – questo si deve anche all’invasione dell’Iraq e l’incapacità di governarlo realmente o di renderlo autogovernabile. Anche le primavere arabe hanno visto troppi attori esterni entrati in massa e male. Quindi per ora nessuno sembra legittimato a dire l’ultima parola.

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Qualcosa di più:

Islamia: accoliti con benefit

Medio Oriente: un buco nero dell’islamismo

Un anno di r-involuzione araba

Primavere Arabe: il fantasma della libertà

Solidarietà: il lato nascosto delle banche

Donne e Primavera araba. Libertà è anche una patente

Mediterraneo megafono dello scontento

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