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Africa: le Donne del quotidiano

Le donne africane rappresentano, visto il ruolo bellicoso o apatico del maschio, la locomotiva della società, infatti, come viene evidenziato nel recente studio del World Farmers Organisation, il 43% dei contadini sono donne, anche se in alcuni Paesi la percentuale sale al 70%, e sono ancora le donne, secondo la Fao (agenzia Onu per l’alimentazione e l’agricoltura), a farsi carico dell’approvvigionamento del 90% della fornitura d’acqua domestica e tra il 60% e l’80% della produzione di cibo consumato e venduto dalle famiglie.

Sono sempre le donne ad essere coinvolte nell’80% delle attività di immagazzinamento del cibo e trasporto e nel 90% del lavoro richiesto nella preparazione della terra prima della semina.

Sono numeri che ben tratteggiano il ruolo cruciale della donna, nonostante che il 50% delle donne dell’Africa subsahariana non sa leggere né scrivere, nel contesto africano dove molte di esse, soprattutto le vedove, vivono in miseria.

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Foto del missionario gesuita padre Franco Martellozzo

Nel Ciad il Magis (Movimento e azione dei gesuiti italiani per lo sviluppo) sostiene i cosiddetti Orti comunitari, inseriti nel progetto “Le donne per l’agricoltura sostenibile Ciad”, rappresentano per alcune comunità la possibilità di dare un’istruzione ai figli, mentre per altre e’ la conversione dell’economia basata sulla produzione di birra di miglio (Bili Bili), e quindi uno stato cronico di alcolismo degli uomini, in riscatto sociale per svegliare il maschio dalla commiserazione.

Gli orti comunitari delle donne ciadiane non godono del sostegno finanziario della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus e dell’Unione europea, ma usufruiscono delle donazioni di persone per aiutare altre persone, senza gli ambiziosi obbiettivi di realizzare 10.000 orti, definiti dalla Fondazione: “buoni, puliti e giusti nelle scuole e nei villaggi africani significa garantire alle comunità cibo fresco e sano, ma anche formare una rete di leader consapevoli del valore della propria terra e della propria cultura; protagonisti del cambiamento e del futuro di questo continente.”

Una campagna dal grande battage pubblicitario che fa risplendere il blasone di Slow Food e offre un’occasione di riflessione sul futuro alimentare del Mondo.

Il Ciad non ha delle terre talmente fertili da far gola alla Cina e a tutti quei paesi impegnati nell’accaparramento e forse è per questo che viene ignorata sia la situazione politica che economica. E’ un luogo dove l’impegno delle donne non è solo uno stimolo ad una dignitosa vita, ma anche l’occasione di fronteggiare la desertificazione.

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Le Repiquage Opera dell’artista ciadiano Idriss Bakay

Qualcosa di più:

Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile

Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo

I sensi di colpa del nostro consumismo

Le scelte africane

Solidarietà: il lato nascosto delle banche

Cellulari per delle cucine solari

Africa: Speciali visite a domicilio

SAalute in bicicletta

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Missione e Cooperazione

olo-missioni-e-cooperazioneIn una recente serie di documenti ufficiali risalta la differenza tra le spese italiane per la Difesa e quelle per la Cooperazione, fortemente sbilanciate: 9 contro 1 (fonte: Rapporto Sbilanciamoci! 2016). In dettaglio, nel confronto con la spesa militare, negli anni l’investimento nella cooperazione è passato dal 14% all’11%. Mettendo insieme i due settori, l’Italia ha diminuito i fondi del 16,6%. E’ vero che, nel corso degli anni, attraverso il Decreto Missioni, la percentuale delle risorse destinate alla cooperazione è aumentata. Dobbiamo però ricordare che i fondi stanziati con l’atto rappresentano appena il 4% del bilancio totale per difesa e l’aiuto allo sviluppo. Per le missioni militari con il provvedimento si eroga all’incirca 1,3 miliardi di euro all’anno, la spesa militare totale dell’Italia è invece di 23 miliardi. Stesso discorso vale per la cooperazione: per una spesa totale poco sotto i 3 miliardi, con il Decreto Missioni se ne stanzia solamente il 4,57% (136 mln). Un’analisi complessiva rileva dunque la tendenza a diminuire la parte dedicata alla cooperazione, in dieci anni passata dal 14% all’11%. Nel 2005 la spesa totale era di 4,5 miliardi, passata poi nel 2014 ad appena sotto 3 miliardi di euro. Una contrazione del 34%, quasi tre volte quella della spesa per la difesa, che nello stesso periodo di tempo è diminuita del 13%. Quindi, in 10 anni la spesa complessiva è diminuita del 16,6%. L’investimento militare invece è passato dai quasi 27 miliardi del 2005, ai 23,3 del 2104. Ma perché nel frattempo la percentuale programmata per la cooperazione è scesa nel corso degli anni? E come opera nel mondo? Questo almeno è facile vederlo da questo sito specializzato sulla Cooperazione italiana.

Ma se fuori dei confini nazionali spendiamo molto per la componente militare e poco per quella civile, questo rivela un difetto di politica. Da oltre due secoli è assodato che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, mentre il primato della politica già lo aveva preconizzato Machiavelli. Ma è con la teorizzazione del generale prussiano Karl von Klausevitz (1780-1831) che lo strumento militare viene ricondotto sotto l’egida della politica, sorta di ‘ultima ratio’ – visto il suo costo economico e umano – per costringere l’avversario ad accettare le proprie condizioni. Nel caso poi, oggi frequente, di guerre civili e turbolenze esterne al proprio stato nazionale, si mandano i soldati per congelare la situazione sul campo, separando i contendenti o evitando che una parte violenti l’altra. Tutto questo finché non si trova una soluzione politica, altrimenti il presidio militare diventa costoso e indefinito: esattamente quanto avviene in Kosovo, in Afghanistan e in Libano. Sono passati 15 anni dalla nostra presenza in Afghanistan, dove abbiamo perso 53 uomini (di cui 31 militari), speso 6 miliardi di euro, impegnato fino a 4000 soldati per volta (ora sono meno di 1000), con scarsi risultati.  Quando c’erano gli Imperi i conflitti etnici erano una questione interna, oggi gli stati nazionali sono costretti quasi ogni giorno a intromettersi nelle guerre civili altrui per evitare massacri e soprattutto l’alluvione dei profughi alle proprie frontiere. E se l’Impero spostava i propri soldati da una provincia all’altra, gli stati nazionali sono invece costretti a chiedere ai propri cittadini il conto di operazioni militari che nessuno sente come proprie, tant’è vero che vengono sempre presentate come operazioni umanitarie. E se si rientra nelle spese, guai a dirlo! Quando si è saputo che dopo la seconda guerra del Golfo l’ENI aveva ottenuto concessioni petrolifere in Iraq, si è gridato allo scandalo, anche se non sta scritto da nessuna parte che una guerra umanitaria deve essere sempre in perdita, quando nessuno si scandalizza se la Cina cerca di occupare le isole ricche di petrolio del Mar Cinese meridionale in base a teorie simili a quelle dello spazio vitale teorizzato da Hitler in Mein Kampf.

Ho alluso prima alle carenze della politica. Oltre il 70% dei fondi per la cooperazione va ad organizzazioni internazionali e non direttamente ai paesi in via di sviluppo. E il 20% dei fondi per la cooperazione è devoluto a organismi internazionali o bilaterali, il resto viene gestito in proprio dall’Italia per vie dirette con i paesi destinatari. Sono 694 milioni euro. Albania, Afghanistan ed Etiopia sono stati i beneficiari maggiori degli accordi bilaterali, seguiti da Mozambico e Vietnam (dati del 2013). E’ interessante notare che sempre nel 2013 l’Italia ha promosso progetti in 113 paesi nel mondo, ma oltre il 40% delle risorse è stato impegnato entro i confini nazionali per far fronte all’emergenza rifugiati. Come dire che l’idea di aiutarli a casa loro per non doverne andare a prendere troppi davanti alle coste libiche è rimasta una bella idea.

 

 

Roma: Tre incoerenze iperboliche

C’è all’Ostiense un ponte realizzato per rendere agevole il transito ciclo-pedonale tra la riva del Tevere del teatro India e della Casa dello Studente, in attesa di essere utilizzata, con quella del museo della Montemartini e della Università Roma Tre, ma che per ora, nonostante i buoni propositi del Sindaco nel rilanciare l’impegno dell’Amministrazione per il quartiere, non porta a nulla.

Un “nulla” di oltre 5 milioni di euro che viene commentato dal segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, nel servizio del Tg R – Settimanale, insieme al cantiere finito degli ex Mercati Generali.

Un transito che s’interrompe davanti a muro di cinta di un’area d’archeologia industriale, con manufatti pericolanti che rendono il passaggio su lungotevere verso la Montemartini amletico e triste andando in direzione del Ponte di “Ferro”.
01 Roma Ostiense Un Futuro dietro ad un Muro Ponte delle Scienze Gasometro DSC_4470 webUn ponte intitolato alla Scienza con una misera targa per Rita Levi Montalcini che potrebbe essere l’occasione vitale per l’Ostiense, visto che l’asse Piramide – basilica di san Paolo non viene valorizzato attraverso il trasporto pubblico. Un asse sul quale splende il “sepolcro imbiancato” degli ex Magazzini generali che attendono il completamento dei lavori per essere trasformato nella città del divertimento adolescenziale e per la promozione culturale che non contempla la sola tinteggiatura, ma la realizzazione di nuovi manufatti, su progetto dell’architetto olandese Rem Koolhaas, per la rinascita, con la «Città dei ragazzi», dell”Ostiense.
Il recente ponte che collega la Garbatella con l’Ostiense, dalle evocazioni inquietanti con la sua cresta dinosaurica, fa da fondale all’area.
Per ora gli edifici degli ex Mercati che si affacciano sull’Ostiense sono stati tinteggiati, senza avere l’accortezza di smontare i vecchi apparati dell’area condizionata, ma dietro una voragine aspetta di essere colmata con sbalorditive strutture.
Un Polo, quello degli ex Mercati, che Rutelli voleva culturale, Veltroni lo pensava della scienza, mentre Alemanno era propenso per un fine commerciale e per Marino cosa mai sarà?
Una solitaria testimonianza di archeologia industriale convertita allo svago che continuerà a soffrire di una viabilità che alle prime gocce di pioggia va in tilt, formando laghetti che rendono la vita difficile a pedoni e mezzi, soprattutto nelle immediate vicinanze della Montemartini.
Un complesso museale quello della Montemartini che si appresta ad ampliare i suoi spazi espositivi, ma che soffre, al pari della occultata fermata della metropolitana, di una scarsa pubblicizzazione.

01 Roma Tre incoerenze iperboliche Portico d'Ottava Casa dei Vallati 7 webLascia perplessi, al pari di un ponte senza “sbocchi”, anche la scelta di realizzare provvisoriamente il Museo Shoah nell’angusto edificio dei Vallati nel Ghetto, attualmente adibito a sede amministrativa della Sovrintendenza.
La Casa dei Vallati è un esempio di rivisitazione che negli anni ’20 venne fatta di un edificio quattrocentesco, assemblando parziali strutture sopravvissute ai crolli con integrazioni di materiali recuperati nell’area.
Un edificio con scarse garanzie di accessibilità per persone con difficoltà deambulatorie per essere temporaneamente sede per il Museo della Shoah che potrà trovare la sua sede definitiva a Villa Torlonia o magari all’Eur. A luoghi carichi di storia, anche ingombrante, non sarebbe meglio optare per un edificio realizzato ex novo come si è scelto di fare in altre città europee? E poi quali garanzie ci sono che una soluzione transitoria non diventi stabile?

Google MapsAngusta è anche l’area scelta per lo stadio giallorosso a Tor di Valle, stretto tra una via del Mare e il Tevere, inserendosi nel delicato equilibrio ambientale della zona.
Una scelta solo per dare un’altra occasione alla speculazione edilizia, che prevede anche tre torri di oltre 200 metri, commettendo un grande errore per la viabilità e per l’ecosistema.
Forse il Sindaco dovrebbe cambiare i consiglieri o le dosi di ricostituente mattutino, se non pensa di verificare la possibilità di realizzare le infrastrutture necessarie alla viabilità e dare il via al restyling della linea ferroviaria Roma-Ostia più volte annunciata e poi constatare la possibile fattibilità del progetto.
Tor di Valle stadioIl progetto dello stadio comporta la realizzazione di una serie d’infrastrutture come il ponte carrabile e uno ciclopedonale sul Tevere, il prolungamento – l’adattamento – della linea B della Metro che sconvolgeranno tutta l’area, espropriandola delle sua bellezza naturalistica, seppellendola nel cemento.
Uno sconvolgimento che non è passato inosservato a Italia Nostra e suscitando divisioni nel Pd romano e all’interno della stessa Giunta Marino, oltre che nella cittadinanza, e che potrebbe far pendant con la lottizzazione di un terzo dell’area dell’ex deposito militare di Vitinia, senza prevedere il prolungamento del vecchio tracciato sino a Spinaceto.

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Qualcosa di più:

Un Sindaco di buone intenzioni
Viae Publicae Romanae
Campidoglio: ed ora cosa succede?
Un nuovo decoro adiacente alle Mura
C’è Ponte e Ponte
Un’altra Roma non solo di propositi
Sindaco nuovo vecchi problemi
Altro cemento sull’Ostiense
Infrastrutture in cambio di cemento

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Un Sindaco di buone intenzioni

Roma Ostiense Mura Aureliane Piramide dal Museo di Porta san Paolo DSC_3342La volontà del sindaco Ignazio Marino di migliorare la vivibilità di Roma, trasformandola in una città capace di accogliere e attirare investimenti per tornare a primeggiare nel mondo, è stato ribadito con la presentazione delle linee programmatiche per il mandato amministrativo 2013-2018.

L’Amministrazione, prima di realizzare una città senza barriere sociali, dovrà intervenire sulle barriere fisiche, quelle architettoniche e di mobilità che possono migliorare la qualità della vita, come il non trovare sul proprio cammino auto parcheggiate su passaggi pedonali protetti che influenzano molto l’umore degli abitanti.

Non basta istituire all’assessorato alla Qualità della vita e allo Sport per favorire la salute, è utile intervenire sul rispetto delle regole di vita tra persone.

Su queste linee programmatiche il Sindaco potrebbe trovare dei buoni risultati nel potenziamento dei trasporti pubblici, perché non è concepibile attendere il passaggio nel centro di Roma di un bus per oltre trenta minuti o assistere esterrefatti nella desolazione che versa l’Ostiense nel tratto tra la Piramide e la Basilica di san Paolo. Occorre rivedere gli orari di transito dei mezzi pubblici sulla via Ostiense con la presenza del polo universitario di Roma Tre, con il complesso museale della Montemartini, con i servizi di Sovrintendenza annessi, con le prospettive dei Mercati Generali trasformati nella Città dei Giovani e soprattutto con il complesso archeologico e museale di san Paolo fuori le Mura con la Basilica e l’Abbazia.

Il trasporto pubblico è tra gli interessi del Sindaco, come non manca di ricordare in ogni occasione, che va oltre al risanamento del bilancio catastrofico dell’Atac, ma arrivare a garantire un regolare transito di autobus e tram, senza che la pioggia non sia un ostacolo al transito della metropolitana.

È necessario, se la cultura e il turismo sono le risorse di Roma, guardare all’accoglienza sottraendo gli abitanti e i turisti a lunghe attese sotto il sole o la pioggia su di una pavimentazione sconnessa. Una sofferenza per recarsi a visitare un museo o un monumento che non è un buon biglietto da visita.

L’inizio del Sindaco Ignazio Marino è stato di buoni propositi e di alcune concretizzazioni come l’aver tenuto, sino ad ora, le collaborazioni esterne fuori dalla direzione della Sovrintendenza e di quella del Macro, ma sono solo delle pie illusioni e a settembre, si potrà tornare alla poco apprezzabile abitudine dei consulenti esterni per adattarsi allo spirito romanesco del damose ‘na mano. Se crede che la tutela del patrimonio dovrà essere affidata ad una consulenza esterna che sia una persona capace a non sprecare preziose occasioni di promuovere progetti validi per l’utilizzo dei fondi europei per la cultura.

Alcuni avvertimenti si erano avuti con la collocazione delle persone di fiducia negli assessorati, la consultazione dei curricula dei candidati per le poltrone dei diversi incarichi deve aver subito l’influenza di un colpo di vento che deve aver scompigliato, oltre alla capigliatura del Sindaco, i buoni intenti di affidare le mansioni per competenza e non per logiche di partito, anche all’insaputa degli interessati per una giunta creativa.

Sono pochi i nomi nelle giuste caselle, molto è dato all’inventiva atta a confondere i questuanti di turno pronti a parcheggiare il loro sedere sulle poltrone delle diverse sale d’attesa.

Una buona riuscita è stato l’accorto dosaggio di presenze femminili e maschili, oltre che tra tecnici e politici.

Bisogna annoverare tra le buone intenzioni il progetto di pedonalizzare l’area tra il Colosseo e piazza Venezia, ma sarà una vera prova del fuoco con le polemiche che ha già suscitato la modifica della viabilità, per smettere di utilizzare uno dei monumenti più visitati e fotografati del Mondo come spartitraffico. Svilire il simbolo della città eterna a fondale del traffico è il sintomo di quanto poco sino ad ora la politica si è interessata di cultura e turismo.

La città e i suoi abitanti andranno incontro a un vero e proprio cambiamento della filosofia di vita, un nuovo modo di pensare la mobilità e la cultura come una risorsa per Roma.

Il Sindaco potrà fregiarsi della soddisfacente conclusione dei lavori di restauro e consolidamento del basamento della Rocca Savella (Aventino – Lungotevere), con i depositi archeologici connessi, con la speranza che l’area non sia nuovamente dimenticata, ma promossa come luogo da visitare e non come la recente sistemazione dell’area di rispetto delle Mura Aureliane nel tratto di via Guerrini – viale Giotto

Il Sindaco sembra anche interessato al recupero edilizio più che alla smodata edificazione che ha caratterizzato negli anni Roma, per questo dovrebbe riflettere attentamente sulla colata di cemento che si riverserà su Tor di Valle, una zona in precario equilibrio ambientale e urbanistico, per edificare lo Stadio della Roma. Un luogo senza sbocchi, schiacciato tra il Tevere e la via del Mare, senza alcuna possibilità di migliorare la viabilità in un’area ricca di testimonianze archeologiche e naturalistiche, quella tra Tor di Valle e Acilia, dove si è fin troppo edificato.

01 Roma Ostiense Un Futuro dietro ad un Muro Ponte delle Scienze Gasometro DSC_4470 webUna sensibilità quella del Sindaco per la vivibilità della città che verrà messa alla prova con la riorganizzazione dell’area del ponte pedonale delle Scienze (Rita Levi Montalcini) che coinvolge la zona Marconi, ma soprattutto quella dell’Ostiense. Una vera riqualificazione per una zona di Roma che custodisce sorprese e gioielli, non solo come polo universitario, ma anche come polo museale.

È il turismo culturale il vero patrimonio di Roma e il pedonalizzare i Fori potrà essere un incentivo, ma è il facilitare l’accesso ai monumenti e l’aree periferiche che permetterà una “musealizzazione” diffusa.

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Qualcosa di più:

Un Sindaco di buone intenzioni
Viae Publicae Romanae
Campidoglio: ed ora cosa succede?
Un nuovo decoro adiacente alle Mura
C’è Ponte e Ponte
Un’altra Roma non solo di propositi
Sindaco nuovo vecchi problemi
Altro cemento sull’Ostiense
Infrastrutture in cambio di cemento

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